IL PARADISO

Versi tratti da "IL PROFUMO DI KETHER" Ed. ANANKE 2010 di Giancarlo Guerreri

PARADISO

 

“Il dì che fu, facemm’ il grande salto:

conobbi delle vite mie gli errori,

che vanno visti, per salire in alto,

 

e anche se a nui, paiono fori,

comprendere dobbiam che sono dentro.

Di più hai da guardar se son orrori,

 

nascosti dentro l’Alma, nel suo centro.

Fatto che fu da me, l’antico esame,

conobbi tutti vizi ch’avea entro,

 

e vidi delle vite, fosche trame,

svelate da quell’atto di magia.

D’Egitto noi sappiam, che nel reame,

 

Anubi praticò psicostasia,

munito di bilancia, a due piatti,

dispose d’ogni Spirto la sua via.

 

Il Duca m’indicò, che spesso, a tratti,

si parano d’innanzi li misteri,

ch’a’ntendere la Fede, sono atti,

 

e sono veri oggi come ieri.

Cos’ trovammo un, beat’ Appeso,

distinto dalli gesti, molto seri,

 

legato per un piè, ch’avea reso,

l’imago Santa del, Santo Messia.

E fu, ch’in un’istante, ebb’inteso,

 

che per portare l’Alma, sulla Via,

necesse dell’aiuto d’un Maestro,

che doni quello che, più giusto sia.

 

Intesi or, che ero pieno d’estro,

largito dal Messia sacrificato,

ch’innanzi v’era un bivio, e sul destro,

 

trovassi Monna che, avea pregato;

e a mancina stava una pulzella,

che ogni santità avea scordato.

 

Provai così a pensar, qual fusse quella,

la strada che, percorrere dovevo,

e cogliere d’amor l’Alma più bella.

 

Lo Duca mio, mi disse che potevo,

mirando entro al cor delle due Dame,

trovarvi uno Spirito di Devo,

 

che m’indicasse qual, tra le due Lame.

E certo fu, ch’usando quel segreto,

a dritta vi trovai colei che brame,

 

di coglier di Sophia, con Spirto cheto,

la Luce che rischiara la mia vita.

E sciolta fu l’incognita d’Amleto.

 

Ripresi col mio Duca Via smarrita,

che lungamente ci portaro avante

fin tanto che giungemmo, ove è sita,

 

l’imago di un Santo Ierofante.

Chinamm’il capo sotto le sue palme,

capendo quanto quell’erano sante,

 

vedend’al tempo che, le nostre Alme,

infanti si mostrarono, a confronto.

Il Papa disse poi, con note calme,

 

che v’era luce nova oltre il Monto,

e ci mostrò gli Spiriti viventi,

che temono di Santi, gnun raffronto.

 

Alme soavi di luce risplendenti,

fulgid’Essenze, in via di perfezione,

mirabili, negli abiti lucenti,

 

si movon verso l’alto, in processione.

Attesi da Colei che luc’infonde,

raccolti in sublime dimensione,

 

rapiti in quel mar, di calme onde,

vedemmo che la forza, sua nutrice,

più pura delle purità più monde,

 

donava alla divin Imperatrice,

occulte di Natura, sacre Leggi.

Rapito da quell’estasi felice,

 

io non vedeva più, quel che si veggi,

con l’Alma chiesi a Lei di percepire,

chi del Creato ancor, le fila reggi.

 

“Ciò che tu vedi or”, mi fè capire,

“è solo una porzione dell’Essenza,

oltre dovet’andar, per concepire,

 

di Pian sottil, la vivida presenza”.

Così partimmo noi, con quell’intento,

ma giorno venne a dir la propri’assenza,

 

mostrandoci nel ciel, del firmamento,

l’astro che più, tra tutt’i Luminari,

portava li colori dell’argento.

 

E pianse delle lagrime gli amari,

sospiri che di sangue van fluendo,

in tristo lago, in dove poi notari,

 

che gambero da lì, ci par uscendo.

Un lupo vi trovai, appress’un cane,

urlanti in terribile crescendo,

 

intenti a sorbir, qual fosse pane,

il rubeo fluido che, dona la vita.

E’ questo lo poter d’occulta, immane,

 

secreta Gerarchia, ch’in ciel è sita,

di Maghi, che ’l colore ner’impone,

portando l’omo sulla, Via smarrita.

 

Lo Duca disse che, v’era ragione,

per una causa, non del tutto nota,

di corpo vivo toglier la prigione,

 

che rende l’Alma nostra, sol’ immota.

Pertanto mentre io non m’accorgeva,

trafitto fui nel pieno della gota,

 

e vidi che la Morte mi cingeva,

strappando quella vita da profano.

Lo Spirito uscì, mentre gemeva,

 

unito all’Ermitto, con la mano,

ottenni d’Iniziato ‘l primo grado,

lo giusto per poter mirar lontano.

 

E  poi ci ritrovammo a novo guado,

entrati nella dimension sottile,

poiché si era tratto, il noto dado,

 

e Luce riscaldò il cor gentile.

Intorno v’eran grappoli di Santi,

e d’Angeli i cori, su più file,

 

dischiusi nell’Amor di tanti e tanti,

Consigli di vetuste, bianche schiere.

E v’erano, mirai, pure quei manti,

 

che nobil Cavalier poteano tenere,

segnati dalle croci rubiconde,

i segni, ch’indicavano potere.

 

Ancor più su, le Alme delle monde,

Essenze dei divini Rosacroce,

portavano una luce, che innonde,

 

la sacra armonia della Sua Voce.

E vidi là, seduto sullo scranno,

di lamine di or e ligneo noce,

 

un vecchio Imperator, che Savi vanno,

a riverir portando li gioielli,

     che in Malkut, nemmeno i grandi hanno.        

 

Così potei guardar quelli Fratelli,

che portano ‘l candor di sacra Luce,

beato anche sol, di veder quelli,

 

al fianco dello mio, amato Duce.

Al fine noi passamm’in mezzo ai campi,


avvolti nello foco che non bruce,

 


 

ma dona tra baglior e mille lampi,


profumo di Kether che ci ristora


e giunti sulla via non son più 'nciampi

 


 

che possano tradir la nostra ora,


udendo delle trombe dell'Arcano,


un suono che da dentro paria fora.

 


 

Epossa ora l'AQngiolo sovrano


mostrare del divino vera nota,


udita senza udir, né forte, piano,

 


 

che solo lovibrar, fa terr'immota.


Potei capir che tutte l'Alme, quelle,


son mosse da una forz' a tutt'ignota:


 

 

l'Amor che mov'il Sol e l'altre Stelle.

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Articolo pubblicato il 19/08/2015