Armi & affari

La Francia vende in Egitto ma deve rimborsare la Russia

Soldi che vengono, soldi che vanno. Mentre François Hollande si godeva la sua giornata egiziana a Suez, ospite d’onore del presidente al Sisi, in occasione del raddoppio del canale, i suoi “sherpa” al Cairo chiudevano contratti per 4 corvette “Goodwind”, altri Rafale e armamenti vari.

 Una fattura da 5,2 miliardi di euro.

La repubblica araba è un buon cliente dell’industria della difesa francese come conferma l’arrivo, giusto in tempo per la cerimonia, della fregata Fremm ex Normandie, ora Tahya Misr (“Lunga vita all’Egitto”) nuova nave ammiraglia della Marina da guerra egiziana. Un altro ottimo affare.

Nelle stesse ore il Ministero della Difesa francese ha annunciato, a malincuore, che dopo otto mesi di negoziati con Mosca, Parigi dovrà rimborsare “integralmente” le somme anticipate dalla Russia per la costruzione delle due portaelicotteri classe Mistral. Un colpetto da circa 1,2 miliardi di euro.

La vicenda delle Mistral, ordinate da Putin ai cantieri francesi ai tempi di Sarkozy, e varate l’anno scorso è imbarazzante. Sfruttando la crisi ucraina gli americani misero il veto alla consegna delle due modernissime unità.

 Hollande, evidentemente dimentico della lezione di Charles de Gaulle,  piegò il testone e bloccò la consegna delle navi. Il tutto con grande incazzatura dei manager transalpini e forte dispetto dei russi.

Ora il cerino acceso è rimasto in mani francesi. Che fare?

La Marine Nationale dispone già di tre unità similari e non ha bisogno di altre Mistral. Bisogna perciò trovare un nuovo cliente — molto danaroso e gradito ad Obama (l’Arabia Saudita o il Canada?), nel più breve tempo possibile.

Ogni mese le spese per il mantenimento (e l’obbligatoria “de-russificazione” degli interni e di parte degli strumenti) delle due navi ormeggiate a Saint Nazaire ammontano a cinque milioni di euro, tutti a carico dei contribuenti gallici.

Utopie d’Europa. Tanto per compiacere Obama e i piagnoni Ucraini, si manda a scatafascio l’economia del continente. L’Italia e anche i frutticoltori piemontesi ne stanno patendo le conseguenze.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 15/08/2015