La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Il cappellaio della contrada detta di Dora grossa

Nella Torino di fine Settecento il supremo tribunale dello Stato sabaudo è il Senato di Piemonte, con funzioni paragonabili a quelle attuali della Corte d’Appello e della Corte di Cassazione.

Non deve essere confuso con il Senato del Regno, uno dei due rami del Parlamento e precisamente la Camera di nomina regia, che sarà istituita dal Re Carlo Alberto con lo Statuto del 1848.

Il Senato di Piemonte ha origini antichissime che vengono fatte risalire alla prima metà del 1400, anche se la denominazione di Senato è stata assunta nel 1529. Con  l’abolizione di altri Senati, quello di Piemonte è rimasto l’unico magistrato superiore a tutti i tribunali con giurisdizione su tutto il territorio subalpino.

Le sentenza di condanna emesse dal Senato contro persone «contumaci» cioè nei confronti di latitanti, prevedono che i condannati siano inseriti in due elenchi, quello dei Banditi di Primo Catalogo e quello dei Banditi di Secondo Catalogo che venivano stampati e diffusi.

Si tratta di una sorta di rudimentale «Bollettino dei Ricercati», tanto più che è riportata, anche se non sempre, una breve descrizione fisica del personaggio che, ottimisticamente, dovrebbe permetterne la cattura.

Sono considerati Banditi di Primo Catalogo gli autori di «delitti atrocissimi» come Lesa Maestà, omicidi commessi a tradimento, rapine ed altri delitti «atrocissimi» per i quali nella sentenza i magistrati indicano i colpevoli come meritevoli di essere «esposti alla pubblica vendetta come nemici della Patria, e dello Stato».

Può essere curioso annotare che Giuseppe Mazzini, nel 1833, sarà inserito fra i Banditi di Primo Catalogo e, nell’anno successivo,  anche Giuseppe Garibaldi, a causa del progetto di una insurrezione mazziniana a Genova!

I Banditi di Secondo Catalogo comprendono i condannati in contumacia, a morte ed alla galera, perpetua ed a tempo, per delitti che non sono «atroci» come i precedenti.

La lettura di questi Cataloghi offre uno spaccato preciso e puntiglioso della quotidianità e delle abitudini di vita delle classi subalterne del Piemonte del tempo. I ricercati, infatti, sono perlopiù contadini, artigiani, operai, soldati di bassa forza, disertori. I personaggi del Secondo Catalogo, inoltre, a differenza dei malviventi accaniti e incorreggibili del Primo, ci appaiono talvolta come delinquenti d’occasione, trascinati ai cattivi comportamenti dal troppo vino, da liti per motivi di interesse, da gelosia o da odio inveterato.

Questo fatto si registra soprattutto in diverse aree del Piemonte contadino.

Da queste carte giudiziarie emergono informazioni sulla microstoria delle classi subalterne piemontesi che nessuna ricerca etnografica potrebbe ormai restituirci.

Ma qui si parla di “Torino noir” e, dal Secondo Catalogo dell’anno 1798 pubblicato a Torino nel 1799, riprendiamo la vicenda di Alessandro Borani fu Domenico Maria, definito come «già Fabbricatore Negoziante in cappelli, galloni d’oro, argento, e lana». A queste chiare indicazioni la sentenza aggiunge la poco decifrabile dizione «ed anche in cambj». Questo significa che Borani effettuava scambi di merce usata oppure che operava anche come cambiavalute?

In ogni caso, Borani svolgeva la sua attività a Torino, «nella contrada detta di Dora grossa» cioè in via Garibaldi.

Alessandro Borani, in termini moderni, è latitante ed stato accusato di fallimento doloso.

Si è allontanato dal Regno di Sardegna dal 23 al 24 maggio 1795, dopo aver abbandonato la sua casa d’abitazione, che pare coincidere con il suo negozio di via Garibaldi. Non ha lasciato nessun libro di cassa e neppure inventari ma soltanto «un infedele, e confuso bilancio», come è scritto nel Catalogo.

E, cosa che appare assai grave, prima di sparire all’estero, è riuscito a trafugare e nascondere una certa quantità di merci e prodotti dal suo negozio, evidentemente di un certo pregio. Borani, inoltre, ha messo insieme e si è portato via un discreto gruzzoletto: «con maliziosi raggiri» si è procurato del denaro perché, anche nei giorni immediatamente precedenti alla sua fuga, ha truffato molti dei suoi creditori, che risultano così defraudati della somma totale di più di 250 mila lire.

Questa somma, definita «cospicua» dal Catalogo, appare piuttosto come astronomica!

Vero è che non si tratta di una somma tutta in contanti ma ottenuta calcolando anche le perdite economiche subite dai creditori.

Alessandro Borani è fuggito verso la fine del maggio 1795, la giustizia lo ha condannato ai lavori forzati a vita («galera perpetua»), lo ha dichiarato infame, ha ordinato la confisca dei suoi beni, gli ha imposto di indennizzare le persone che ha danneggiato e di pagare le spese processuali.

Il 5 maggio 1798 lo ha messo al bando ed è stato inserito nel Secondo Catalogo.

Qui terminano le informazioni disponibili.

Chi era realmente Alessandro Borani? È fuggito da solo oppure aveva una famiglia? Che fine avrà fatto?

Quando si ricostruiscono, come in questo caso,  vicende di microstoria sulla base di documenti autentici molte domande – come si dice – “sorgono spontanee”.

Per ipotizzare una risposta, si rende necessario ricorrere a qualche volo pindarico di fantasia, sempre tentando di attenersi alle ipotesi e alle interpretazioni più ragionevoli per la mentalità del tempo.

Ma la vicenda del truffaldino Alessandro Borani è avvenuta alla vigilia della buriana del periodo napoleonico, con tutti i suoi profondi sconvolgimenti non soltanto in Piemonte ma in tutta l’Europa, e così molte domande restano senza risposta.

 

Ringrazio per la cortese collaborazione l’amico Gianni Zoppi, già antiquario a Viù (m.j.).

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 17/08/2015