Gli accordi di Bretton Woods

Ripartire da ieri, per affrontare il futuro

Nel corso di un articolo pubblicato il 2 agosto su Civico20News, l’autore faceva un riferimento agli ormai datati accordi di Bretton Woods.  Per completezza di trattazione, vorremo tornare un attimo al lontano 1944.

 Bretton Woods è una località dipendente dal comune di Carroll circondata dalla Foresta Nazionale delle White Mountains e situata nello Stato di New Hampshire.

È in questa cittadina che ha sede il Mount Washington Hotel, l’albergo in cui nel 1944 si svolse dal 1 al 22 luglio la Conferenza di Bretton Woods che portò alla creazione della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (FMI).

Quando si parla di Bretton Woods, si fa riferimento al sistema di regolazione dei cambi internazionali che ha caratterizzato il periodo compreso tra la fine del secondo dopoguerra e il 1971, data in cui il sistema venne abbandonato.

Durante la conferenza di Bretton Woods furono presi gli accordi che diedero vita ad un sistema di regole e procedure volte a regolare la politica monetaria internazionale con l’obiettivo di governare i futuri rapporti economici e finanziari, impedendo di ritornare alla situazione che diede vita al secondo conflitto mondiale.

 Secondo gli storici tra le cause della guerra andavano infatti, conteggiate anche le diffuse pratiche protezionistiche,  le svalutazioni dei tassi di cambio per ragioni competitive e la scarsa collaborazione tra i paesi in materia di politiche monetarie.

I due principali compiti della conferenza furono perciò quelli di creare le condizioni per una stabilizzazione dei tassi di cambi rispetto al dollaro (eletto a valuta principale) ed eliminare le condizioni di squilibrio determinate dai pagamenti internazionali (tale compito fu affidato al FMI).

Bretton Woods istituì, per il raggiungimento del secondo fine, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (Banca mondiale), due importanti istituzioni esistenti ancora oggi che diventarono operative nel 1946.

Dei due progetti presentati, quelli di Harry Dexter White, delegato USA e di John Maynard Keynes, delegato inglese, fu scelto il primo.

Secondo il sistema definito da Bretton Woods, il dollaro era l’unica valuta convertibile in oro in base al cambio di 35 dollari contro un’oncia del metallo prezioso. Il dollaro poi venne eletto valuta di riferimento per gli scambi.

Alle altre valute erano consentite solo oscillazioni limitate in un regime di cambi fissi a parità centrale.

L'istituzione creata con l’obiettivo di vigilare alle nuove regole e al sistema dei pagamenti internazionali, fu per l’appunto il Fondo Monetario Internazionale.  Inizialmente il numero di paesi aderenti al FMI era ridotto.

Per aderire ogni Stato doveva versare una quota in oro e una in valuta nazionale sulla base delle quali veniva stabilito il suo peso decisionale.

L’obiettivo del Fondo, inizialmente era quello di controllare la liquidità internazionale e coadiuvare i vari paesi nel caso di difficoltà nella bilancia dei pagamenti.

La guerra del Vietnam, il forte aumento della spesa pubblica e del debito americano segnarono la fine del sistema istituito a Bretton Woods.

Il 15 agosto 1971, a Camp David, Richard Nixon, sospese la convertibilità del dollaro in oro, in quanto, con le crescenti richieste di conversione in oro, le riserve americane si stavano sempre più assottigliando.

Il dicembre del 1971 segnò l’abbandono degli accordi di Bretton Woods da parte dei membri del G10 (il gruppo dei dieci paesi formato da Germania, Belgio, Canada, Stati Uniti, Francia, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia). Con lo Smithsonian Agreement, il dollaro venne svalutato e si diede il via alla fluttuazione dei cambi.

Tuttavia le istituzioni create a Bretton Woods sopravvissero ma si trovarono a ridefinire priorità e obiettivi.

In particolare, il FMI con la caduta di Bretton Woods ha visto, di fatto, cambiare il proprio ruolo di sorveglianza.

Venuto meno con i cambi flessibili e l’abbandono dello standard aureo la necessità di gestire la liquidità internazionale, l’attenzione del FMI è stata portata sulle politiche macroeconomiche interne perseguite dai membri e sugli elementi strutturali dei loro mercati. 

Venne data priorità all’obiettivo di finanziamento degli squilibri della bilancia dei pagamenti dei paesi in via di sviluppo trasformando il FMI da prestatore  a breve termine a prestatore a lungo termine.  

Il FMI si trovava quindi investito del compito di effettuare prestiti vincolati al rispetto di specifiche condizioni e a piani di rigorosa stabilizzazione macroeconomica. Una funzione che il FMI mantiene ancora oggi come dimostrano i recenti sviluppi collegati alla crisi dell’Euro che vedono il Fondo prestatore di prima istanza insieme all’Ue con i recenti piani di salvataggio di Grecia, Irlanda e Portogallo

Alcuni economisti, preso atto delle problematiche di deficit di Bilancio, d’inadeguatezza normativa e di mancata incidenza di politiche riformatrici in alcuni Paesi del Sud Europa, Grecia in testa, stanno elaborando tesi per il superamento delle logiche che avevano animano i meccanismi scaturiti da Bretton Woods, muovendosi principalmente sulle seguenti direttrici.

1. Definizione di un ruolo molto più attivo della Bce sul modello di quanto fatto dalle banche centrali di Stati Uniti e Regno Unito che si spinga fino alle politiche di acquisto di titoli pubblici e privati.

2. Inutilità a costruire un’unione monetaria se non si sfrutta e capitalizza appieno il potere della sua banca centrale che è potenzialmente superiore a quello delle banche centrali nazionali.

3.  Necessità di porre i paesi membri nelle condizioni di poter realizzare riforme di struttura sui principali assi di modernizzazione delle loro economie (infrastrutture digitali, politica industriale e di innovazione tecnologica ed organizzativa del lavoro. Ricercare l’efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione e della amministrazione della giustizia, garantire la protezione sociale per coloro che sono esclusi dal lavoro, contrasto alle disuguaglianze economiche e sociali divenute insostenibili e che compromettono la crescita dei sistemi economici).

4. Costruzione di meccanismi in grado di contrastare le asimmetrie dell’area euro. In primis con la introduzione di penalità non solo per paesi in deficit ma anche per paesi in surplus con obbligo a realizzare politiche di rilancio della domanda interna per contrastare le asimmetrie.

5. Varo di una concreta e non solo annunciata politica fiscale Ue espansiva per realizzare su scala europea investimenti pubblici e realizzare infrastrutture fisiche e digitali nei paesi membri, puntando ad un bilancio comunitario con risorse proprie ben oltre l’1% attuale (tra il 3% ed il 5%).

6. Prevedere un forte impegno verso l’armonizzazione fiscale e la riduzione delle forchette eccessive nelle aliquote nazionali sulle imprese che producono elusione fiscale e spostamento dei profitti alterando le stesse statistiche sulla crescita.

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Articolo pubblicato il 10/08/2015