La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

La vedova del ladro

Una malavita “nostrana”, insediata nel degradato centro storico di Torino, che campa di furti modesti ma che dimostra un suo codice di comportamento, un poliziotto sagace ma bonario, questo quadro emerge da un articolo della Cronaca Cittadina di “Stampa Sera” di sabato 2-domenica 3 luglio 1960, col titolo « Ai funerali del complice / si spartivano il bottino», con l’occhiello « Insolita discussione di diritto ereditario dietro la bara» e col sommario «“Bisogna lasciare qualcosa alla vedova: era una brava donna, andava sempre a trovarlo in carcere” - Un maresciallo della Mobile, presente per caso, in base a questa parole scopre una serie di furti.».

Evoca immagini di film come “Guardie e ladri” del 1951, con Totò e Aldo Fabrizi, e “I soliti ignoti” di Mario Monicelli del 1958, oppure i protagonisti delle canzoni della mala di Gipo Farassino e Roberto Balocco.

Da sottolineare lo stile narrativo dell’anonimo cronista.

Prima cita il libro “Cuore” di De Amicis poi sciorina nozioni giuridiche con la dissertazione sul termine «decuius», per concludere col finale ancora aperto della storia: la sorte incerta dei due denunciati a piede libero, un po’ troppo loquaci anche se a loro modo scrupolosi nei confronti della vedova, della quale il cronista riconosce l’assoluta onestà ma che resterà priva dell’aiuto economico solidale che il complice del marito intendeva offrirle… (m.j.).

 

L’altra mattina, passando in una via del vecchio centro di Torino, il maresciallo Sanfet della «Mobile» notava un funerale che si muoveva da una casa dove abitava una sua «vecchia conoscenza». Si avvicinava ai drappi funebri e constatava che il defunto era proprio il pregiudicato, un uomo dal lungo e voluminoso fascicolo. Il sottufficiale che pure aveva dovuto più volte, per motivi professionali, mandarlo in carcere aveva conservato di lui un ricordo non cattivo: sapeva che si trattava di un buon diavolo di ladro, spinto ad una vita irregolare da una serie di sventurate circostanze, colpito da lutti e da sventure.

Spinto solo da un impulso di umana pietà, il poliziotto seguiva per un breve tratto il funerale del ladro. Ma proprio mentre avveniva questo episodietto degno di Cuore, un discorso captato a volo risvegliava le doti di investigatore del sottufficiale.

Due uomini parlavano tra di loro di un’elegante questione di diritto ereditario.

«Adesso che lui è andato, facciamo parti uguali fra noi?».

«No, non sarebbe giusto. Bisogna ricordarsi di sua moglie. È una brava donna, che gli portava sempre arance e sigarette in prigione e poi la legittima le spetta».

Il maresciallo, conoscendo bene il «decuius» (questa parola latina definisce in termini giuridici colui che ha lasciato l’eredità) era certo che il ladro non avesse potuto raggranellare dei sudati risparmi.  Intuiva quindi che, dietro la bara dello svaligiatore, si stava discutendo una divisione ereditaria di refurtiva, e tendeva le orecchie.

«Senti – insisteva il secondo – la roba l’ho in consegna io e la parte alla moglie gliela do, anche se non sei d’accordo».

Il sottufficiale, non volendo turbare il rito funebre, aspettava che la breve cerimonia in chiesa fosse finita. All’uscita invitava i due a seguirlo in Questura. Entrambi negavano ogni complicità in furti, dicevano di aver ricevuto alcuni oggetti dal defunto con l’incarico di venderli. La perquisizione compiuta poco dopo ha permesso di trovare una discreta quantità di refurtiva, tutti oggetti provenienti da furti in alloggi.

Tutta la merce è stata sequestrata ed ora si cerca di identificarne i legittimi proprietari. I due amici dello scomparso, che continuano a protestare la loro assoluta buona fede, sono stati denunciati a piede libero per ricettazione.

Toccherà ora all’autorità giudiziaria decidere. Nessuna responsabilità è risultata a carico della vedova del ladro.

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Articolo pubblicato il 03/08/2015