Ripartire dalla condivisione

Nell’era del liberismo sfrenato e dell’individualismo, coesione a condivisione sono la nuova frontiera per andare avanti

Una delle grandi differenze del local nei confronti del global (per utilizzare la terminologia contemporanea), o del piccolo paese rispetto alla grande metropoli, sta nel fatto che le vecchie comunità erano fondate anche sull’aiuto reciproco, la collaborazione, la condivisione, mentre la società di oggi è notoriamente più individualistica.

Nelle grandi città, spesso, anche dopo anni, non si va oltre il semplice saluto coi vicini di casa e le situazioni di solitudine, seppur circondati da migliaia di persone, sono cosa frequente.

Le famiglie costituite da un solo individuo sono ormai più che diffuse e le amicizie virtuali nate nei social network ma che, talvolta, lasciano dentro un vuoto incolmabile nel momento in cui ci si scollega dalla rete sono uno dei grandi problemi sociologici del nostro tempo.
Sebbene la presenza, soprattutto in Europa, di ammortizzatori sociali, welfare, diritti dei lavoratori, detrazioni fiscali e molto altro hanno fatto della seconda metà del Novecento un periodo di grande evoluzione nel supporto da parte degli Stati nei confronti dei propri cittadini, con la fine del comunismo, e quindi della sua contrapposizione con il liberismo e il capitalismo, gli ultimi decenni, a partire dal “thatcherismo” inglese degli anni ’80, si sono caratterizzati dall’idea che meno presenza dello Stato c’è e più gli individui possono migliorare, emanciparsi, realizzarsi e la società nel suo complesso prosperare.

Con la crisi che stiamo avvertendo dal 2008, le cose sono via via cambiate, facendo emergere una società in cui, venendo a mancare sempre più quel senso social-democratico che le democrazie post belliche avevano sviluppato e attuato sino a qualche decennio fa, la forbice sociale tra ricchi e poveri si fa sentire con maggior vigore.

Se i Governi sembrano in parte aver abdicato al proprio ruolo di supporto, aiuto, comunitario nei confronti dei cittadini (forsanche perché oggi essi contano sempre meno rispetto alla governance globale della finanza), si riscontrano da più parti situazioni in cui i cittadini stessi realizzino quel senso comunitario e di coesione partendo dal basso.

Oggi assistiamo, anche in questo caso con la terminologia anglosassone, al diffondersi di pratiche quali il “car pooling” (condividere un auto per ripartire le spese di viaggio, praticamente una sorta di autostoppisti del XXI secolo), il “crowd funding” (finanziamento collettivo in rete per supportare e sostenere una buona idea imprenditoriale), il “cohousing” (insediamenti abitativi costituiti da ampi spazi comuni per dividere le spese), il “book crossing” (si lascia un libro in zone adibite affinché possa essere preso da altri che lo leggano e lo facciano circolare), il “coworking” (messa a disposizione di spazi e scrivanie per far lavorare solitamente giovani liberi professionisti).

A queste pratiche, si aggiungono poi attività rivolte alle persone più bisognose come la colletta alimentare e il banco farmaceutico (per raccogliere cibi e medicine da distribuire a chi ha meno), associazioni di consumatori (suddivise sempre più in ambiti molto settorializzati).

In ordine temporale, nell’ultimo anno, facendo riferimento a un articolo del decreto “Salva Italia”, alcuni piccoli Comuni hanno messo in pratica il così detto “baratto amministrativo” attraverso il quale un cittadino in debito con le imposte locali può per così dire saldare il creditore (ossia il Comune) mettendo a disposizione il proprio tempo per assolvere ad alcune piccole attività (pulizia strade, potatura delle aiuole, …).

In questi giorni, poi, dopo quanto è emerso nelle prime pagine di un quotidiano americano che evidenzia quanto siano degradate e sporche alcune strade e piazze della capitale romana, da più parti è arrivato il consiglio di far sì che ogni cittadino romano pulisca il proprio pezzo di strada.

Tutto ciò, quindi, è da vedere nell’ottica di un ritorno a quella sorta di “share economy” che era tipica della vecchia economia di paese, di quartiere, di famiglia, all’interno della quale ognuno dava il suo piccolo contributo poiché, in fondo, lo Stato siamo poi tutti noi, e quando lo Stato (quello istituzionale) non ci pare più adeguatamente rappresentativo, non deve apparire così anacronistico che l’altro Stato (quello che coincide con l’intera popolazione) scenda in campo per risolver(si) i problemi e, spesso, anche puntando al risparmio che, di questi tempi, non fa mai male.

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Articolo pubblicato il 02/08/2015