Renzi: il libro dei sogni di uno screditato

Il cinismo e la spregiudicatezza come metro di comunicazione

  Ci sono notizie attese e, potenzialmente positive, se proposte da un leader responsabile e supportate da elementi certi. Non è quello che emerge, dopo gli sproloqui che il pro tempore presidente del Consiglio, ha esternato nel fine settimana, con gli annunci di fantomatiche riduzioni del carico fiscale.

L’assemblea nazionale del Pd, convocata negli spazi di Expo 2015, si è trasformata nell'ennesimo spot elettorale di un premier sempre più in difficoltà e costretto a riaprire il “libro dei sogni” per rintuzzare le critiche della minoranza interna e galvanizzare una base progressivamente scontenta.

In quest’occasione, Renzi avrebbe voluto celebrare il tagliando al suo “governo delle riforme”, placare con i risultati le turbolenze della minoranza dem e invece ha dovuto fare i conti con il bilancio striminzito degli ultimi sette mesi (da dicembre, data dell’ultima assemblea Pd, a oggi).

L’ex sindaco di Firenze ha parlato più da presidente del Consiglio che da segretario e ha provato a serrare i ranghi del Pd dopo il crollo di consensi delle ultime settimane, comprovato da numerosi sondaggi, secondo i quali i dem avrebbero perso 3 punti percentuali in una settimana.

Le sue argomentazioni non hanno infiammato la base del partito, sempre più insofferente agli inciuci con i verdiniani e alla mancanza di collegialità su alcune scelte. «Un premier non eletto dal popolo», brontolano i suoi oppositori interni, «dovrebbe almeno condividere all’interno del suo partito la linea politica e invece Renzi va avanti spedito senza confrontarsi con noi». 

Renzi si è vantato di aver riportato l'Italia in vetta all'Europa nonostante lui stesso sia stato escluso dai tavoli che contano, come testimonia l’iter negoziale della recente crisi greca.

Per gettare fumo negli occhi dell’elettorato moderato e recuperare i voti persi negli ultimi mesi sia a sinistra sia al centro, ha poi tirato fuori dal cilindro l’idea (assai inflazionata, per la verità) di abolire la tassa sulla prima casa e l’Imu agricola, e ha promesso entro fine anno la legge sulle unioni civili.

Ha inoltre preannunciato nei prossimi tre anni un’epocale riforma del fisco che riduca «per la prima volta nella storia della Repubblica» le tasse. Ecco la road map da lui disegnata: nel 2016 abolizione della tassa sulla prima casa, nel 2017 intervento Ires e Irap e nel 2018 interventi sugli scaglioni Irpef e sulle pensioni.  

Vista la precarietà dei nostri conti pubblici e le incertezze circa le risorse con le quali far fronte al mancato gettito che deriverebbe alle casse dello Stato dalla eventuale cancellazione di quei balzelli, ci sentiamo di dubitare fortemente che quelle parole corrispondano a un intimo convincimento del premier anziché a una delle sue bizzarre trovate elettoralistiche.

 Il nostro sospetto si fa più fondato se pensiamo che nel suo discorso dei giorni scorsi a Expo 2015 il premier ha ignorato l’opposizione moderata (Forza Italia, Ncd e altre forze di centro), per sparare a zero solo contro «il populismo di Grillo» e contro Matteo Salvini, proprio per tentare di radicalizzare lo scontro con quella che lui definisce «destra becera».

In questo modo cerca di accreditarsi agli occhi dell’opinione pubblica come l’unico interprete affidabile delle istanze del ceto medio e di marginalizzare sull’estrema destra il Carroccio, tenendosi però aperta la porta del dialogo con il centrodestra e non escludendo un tavolo congiunto con tutte le forze politiche sul terrorismo internazionale; non si sa mai che ci sia bisogno di resuscitare il Patto del Nazareno.

Ma i veri nodi sulla strada del premier rimangono le riforme, soprattutto quella costituzionale, che andrebbe a saldarsi con l’Italicum. Renzi sa bene che, se non dovesse riuscire in quell’impresa, poco resterebbe del suo corso politico e allora vuole tenersi buona la minoranza interna senza precludersi appoggi di spezzoni dell’opposizione. Il rischio palude è sempre dietro l’angolo, visti i numeri precari di questo Parlamento.

La verità è che il Pd è davvero lacerato al suo interno, al di là delle apparenze.  Sui casi dell’indifendibile Marino, dell’innominabile Crocetta, e buon ultimo De Vincenti (intercettazioni imbarazzanti e potenzialmente pelose sul caso Tirreno Power), per non tralasciare in discusso e disinvolto presidente della Campania, De Luca, Renzi non potrà tergiversare a lungo.

A Milano regna l’incertezza sul dopo Pisapia e persiste il fondato rischio che si consumino nuove scissioni, con il partito che ceda consensi a possibili liste civiche o personali, facendo il gioco dei Cinque Stelle e del centrodestra, che si sta ricompattando.

É un passaggio delicato per la vita del Pd, che appare ben lontano dalle percentuali trionfali delle europee di un anno fa.

Renzi, volando alto, e alimentando la narrazione delle promesse, ha provato a stoppare sul nascere queste forze centrifughe, ma probabilmente è già troppo tardi e la gente non lo segue più.

I pifferi e i tamburi trovano sfogo solamente a carnevale.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 21/07/2015