«Le verità sommerse», il libro scritto dall’ex comandante Schettino

Riflessioni di Andrea Biscàro

Sottopongo molto volentieri ai Lettori di “Civico20News” queste condivisibili riflessioni elaborate dall’amico Andrea Biscàro a proposito del libro scritto dall’ex comandante della Costa Concordia, Francesco Schettino (m.j.).

 

Questa è una storia di scelte, di dignità e di sensibilità… il tutto intriso di dolore. Un dolore sommerso. Sommerso nelle anime dei singoli, sommerso nelle profondità del mare.


Un dolore profondo che ti fa sprofondare, dal quale non riemergerai mai del tutto, perché perdere la vita in fondo al mare per una crociera è dura da mandare giù. Non te ne farai mai una ragione.


Si dice che tutto si supera e in un certo senso è così. La vita continua, ma le tragedie ci segnano, ci cambiamo… e non siamo più gli stessi. Perdiamo qualcosa.


Nel caso del naufragio della Costa Concordia, avvenuto la sera del 13 gennaio 2012, 32 persone hanno perduto la vita e decine di altre, a casa, hanno perduto quelle stesse vite, vittime di quella maledetta notte. Non se le sono portate via una guerra, un attacco terroristico, un grave guasto alla nave. No. Semplicemente una manovra di passaggio ravvicinato (“inchino”) sotto l’isola del Giglio, causando l’urto contro uno scoglio, urto che ha generato un’ampia falla nella carena. Il resto è tutto quello che abbiamo visto e sentito, incluso il processo e la condanna in primo grado dell’ex comandate Schettino.


Credevamo fosse finita lì, in attesa degli altri gradi di giudizio. Ci sbagliavamo.


In una società esposta come la nostra, dove l’informata ed informatica solitudine ci rende vocianti spettatori del mondo che vorticosamente ruota attorno a noi, anche il dramma di quelle 32 vite interrotte ha fatto nuovamente capolino nel teatro mediatico.


E l’ha fatto in modo indiretto, grazie ad un libro. Infatti, l’ex comandante della Costa Concordia, Francesco Schettino, ha scritto un libro, presentato a giugno di quest’anno: «Le verità sommerse».


Il titolo è quanto di più discutibile si potesse concepire e, dato che un titolo è fondamentale al pari della copertina, è verosimile ritenere non casuale l’intenzione di provocare: vediamo uno Schettino in plancia, tutto compreso nel suo ruolo, sicuro di sé, in divisa da comandante. Sullo sfondo, dei palazzi, in linea d’aria non così distanti…


Un simile titolo, non essendo il testo incentrato sul mistero di Ustica, ci sembra una provocazione, non tanto alla Giustizia – che è umana e pertanto fallace – quanto alle vittime, ai loro familiari ed amici. La copertina è sprezzante nella sua apparente normalità: la normalità di un comandante di nave.


Posto che niente e nessuno può impedire ad una persona di scrivere un libro – una cosa è scrivere, altra è pubblicare e distribuire con efficacia –, è altrettanto vero che tutti noi siamo liberi di decidere se acquistarlo e leggerlo. Sono scelte.


Una giovane donna ha scelto. Si chiama Cristiana Ricci, la quale gestisce la Libreria Marradi di Livorno. Sulla vetrina del suo negozio ha apposto un foglio con scritto: «In questa libreria non vendiamo il libro di Francesco Schettino». La notizia è letteralmente esplosa al principio di luglio, generando una ondata di consensi e qualche critica del popolo della rete.


Ascoltiamo le ragioni che hanno motivato questa scelta, direttamente dalla determinata libraia livornese. Le riporta «Il Tirreno» del 4 luglio 2015:


«Sarebbe bello se ogni libreria indipendente si assumesse la responsabilità di non vendere il libro di Schettino come abbiamo fatto noi, magari a partire da quelle di Livorno, sarebbe un segnale di solidarietà alle famiglie delle vittime. Sappiamo che le grandi catene dipendono dalla sede centrale, ma tutte le altre librerie in Italia potrebbero scegliere e mettere un cartello come noi. […] Abbiamo semplicemente messo un cartello in vetrina, non un modo per farci pubblicità, semplicemente per informare la clientela che se cercano il libro di Schettino devono rivolgersi altrove – spiega Cristiana – noi non ci vogliamo rendere complici della giustificazione di un uomo che ha causato la morte di trentadue persone, di trentadue famiglie distrutte dal dolore, per un inchino, per una manovra azzardata. […] C’è chi ha detto che è stato inutile mettere fuori un cartello dal momento che comunque nessuno avrebbe comprato il libro, ma in realtà non è così, intorno a queste tragedie spesso nasce una curiosità morbosa, pensiamo a tutti coloro che si sono fatti le foto davanti alla nave affondata, di chi sostiene Schettino durante le presentazioni e chiede autografi, oppure anche a chi semplicemente è curioso di sapere ciò che dice, in fondo sono 19 euro. Ecco, noi diciamo no ad un guadagno fondato sulla morbosità nei confronti di una tragedia».


In un punto la volitiva libraia ha ragione, senza tema di smentita: la morbosità è diffusa.


Quanto ‘tira’ la vittima e quanto il colpevole? Siamo più attratti dal morto o dal suo assassino? Nessun dubbio: dal suo assassino, tanto che spesso del morto si sa poco o nulla, ma dell’assassino si cerca di indagare ogni anfratto. Chissà, forse per guardarci meglio allo specchio della potenzialità? Oppure per autoconvincerci che noi non potremmo mai essere come lui?


Al di là dell’entusiasmo e del sostegno della rete nei confronti della lecita scelta di Cristiana Ricci – che crediamo autentica, senz’altri fini se non quelli morali –, esprimere un parere fermo sull’argomento – scegliere se venderlo oppure no – riesce difficile per quel rispetto oserei dire istintivo nei confronti della libertà di espressione – e, conseguentemente, di diffusione – di ogni essere umano.


Indipendentemente dagli sviluppi della vicenda processuale, riteniamo lecita la scelta, da parte di Schettino, di pubblicare la sua verità sull’accaduto. Al contempo, giudichiamo del tutto fuori luogo l’utilizzo di detta liceità. In buona sostanza, tra il poter fare ed il concretizzare tale diritto, ci sta di mezzo non il mare, ma tutte quelle persone che mille progetti avevano in mente tranne quello di lasciarci la pelle in crociera.


L’operazione-libro – tra l’altro senza attendere la conclusione dei tre gradi di giudizio – rappresenta un’operazione insensibile, tenendo anche conto della dedica che il lettore incontrerà aprendo il testo: «a coloro che quella notte sono stati colpiti negli affetti più cari, perché a loro è dovuta la verità più che ad ogni altro». Come non presupporre che una simile dedica avrebbe generato non tanto polemiche, quanto dolore e rabbia tra i sopravvissuti e le famiglie delle vittime? Che altro aggiungere?


Un bel tacer non fu mai scritto


In definitiva, la scelta della libraia di Livorno è comprensibile ed è probabile che genererà un effetto domino. Tuttavia, il problema sta a monte: l’aver scelto di scrivere un libro al momento irrispettoso, specie con quella dedica.


Personalmente non spenderei un euro per acquistarlo. Suggerisco invece di attendere che arrivi nelle varie biblioteche civiche delle nostre città. Chi vorrà leggerlo, lo potrà prendere in prestito.


Questa è una storia, lo ripetiamo, di scelte, di dignità e di sensibilità.


Di scelte abbiamo parlato.


Di dignità e sensibilità…


Ebbene, quelle appartengono sicuramente a tutti coloro i quali nell’intimo hanno partecipato con sincero affetto ad una tragedia individuale e collettiva.


Il resto è mancanza di quei rudimenti di umanità che una società utilitaristica come la nostra ha messo vergognosamente da parte.

Andrea Biscàro 

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Articolo pubblicato il 11/07/2015