Valutazione delle Economie avanzate da inizio 2015

Segnali di speranza per una ripresa dal 2016 situazione greca permettendo

Malgrado la presenza di 42 conflitti armati in corso nel mondo, dei quali 25 in Africa, 4 in Medio Oriente, 7 in Asia, 3 in Eurasia e 3 nel Centro e Sud America, malgrado le nuvole che si stanno da tempo addensando sull’area Europea per le note difficoltà della situazione greca, malgrado si stia perdendo la corsa contro l’inquinamento irreversibile del nostro pianeta, i dati correlati ai PIL delle Economie avanzate relativi al primo trimestre 2015 e usciti nello scorso mese di giugno sembrano dare segnali positivi.

Sicuramente interessante una diffusa ripresa dei consumi interni (non per tutti) e per alcuni stati l’aver colto dall’inizio l’opportunità di aumentare le esportazioni grazie ad un euro in calo e al calo dei prezzi delle materie energetiche, in primis il petrolio.

Possiamo dire che tutti i Paesi dell’Eurozona hanno registrato nel primo trimestre 2015 una crescita congiunturale (tranne la Grecia): al primo posto la Spagna che ha anticipato tutto, le riforme del  lavoro, l’aumento della spesa pubblica e l’aumento dell’export e con ancora ampi margini di crescita.

All’opposto, ha destato un certo stupore l’andamento della Germania con un modesto + 0,3 di crescita del suo PIL rispetto al trimestre precedente, uguale a quello italiano che peraltro può contare  su un forte aumento degli investimenti fissi lordi dell’ 1,50%, specialmente nei settori industriale e agricolo, anche grazie alla disponibilità di quantitative easing messa a disposizione dalla BCE.

Anche la Francia ha realizzato un buon andamento, rispetto al trimestre precedente con +0,8 ma per vari motivi la sua ripresa è ancora fragile, con conti pubblici ancora da sistemare e una bilancia commerciale con un deficit ormai strutturale, tanto da essere considerata un possibile prossimo malato in ambito UE.

Modesti per diversi motivi gli aumenti (+ 0,3) per Inghilterra e Giappone e ancora più deludente il dato USA (+ 0,2) dovuto anche all’apprezzamento del dollaro con forte effetto negativo sulla bilancia commerciale americana. Peraltro la congiuntura degli Stati Uniti si conferma stabile anche in presenza di un livello abbastanza scarso degli utili delle imprese, mantenendo una media di crescita annua intorno al 2,7%.

Partendo dai dati visti, ma dovremo avere conferme con quelli del secondo trimestre, possiamo avere una idea dell’evoluzione delle Economie avanzate, tenendo ben presente che le brutte notizie sono sempre dietro l’angolo: a riprova il dato di questi giorni dell’ ISTAT sui prezzi delle case in Italia con un calo rispetto all’ultimo trimestre del 3,7% e la soluzione della crisi greca che sembra ancora lontana.

La crescita della zona Euro dovrebbe confermare il trend partito nel 2014 con gli incrementi annui del PIL + 0,9 (2014), +1,5 (2015), +1,8 (2016). Aumenti più contenuti sono previsti per USA e Giappone, prevista invece in assestamento l’economia britannica. Queste previsioni derivano da una indagine affidata ad un campione di analisti accreditati, da parte del periodico economico The Economist, che hanno creato una media di previsioni e quindi con una buona probabilità di avverabilità.

Aspettando comunque conferme dai prossimi dati, possiamo ipotizzare che il picco della ripresa dovrebbe verificarsi nell’Eurozona all’inizio del 2016 con la possibilità di sorpassare i dati USA, ma dopo il picco dobbiamo aspettarci un periodo di crescita molto contenuto, con un certo livellamento tra i vari Paesi, compresa (forse) l’Italia. Ma questo scenario potrà avverarsi se nella maggior parte dei Paesi partiranno in dose massiccia gli investimenti, specialmente quelli strutturali, perché è impensabile credere di risolvere la crisi solo agendo sulla domanda interna e soprattutto pesa su tutti noi la spada di Damocle della povera Grecia.

Ma “ povera” fino ad un certo punto. Vediamo di ricordare da dove arriva questo Paese: nel 2004, paese ospite delle Olimpiadi, il governo Papandreu truccò i bilanci in modo vergognoso per rimanere negli stanfard europei; nel 2010 venne varato il primo pacchetto di misure per l’austerità che originò forti licenziamenti nel settore pubblico, tagli alle pensioni, pesanti provvedimenti fiscali quali contropartita chiesta dai creditori internazionali FMI e BCE non per tagli al debito greco ma per poter aumentare i prestiti. Ci furono vibranti reazioni popolari con violente manifestazioni che causarono tre morti tra i manifestanti.

Nel 2011 cade Papandreu e al governo arriva il tecnico Papademos, a breve sostituito dal conservatore Samaras che applicherà le “ricette” di Bruxelles per riportare il Paese nei parametri richiesti. Il risultato di questi avvicendamenti è stato il crollo del PIL greco di oltre il 25% in cinque anni, generando una disoccupazione intorno al 55%, e portando il Paese sull’orlo del baratro.

Solo verso la fine del 2014 si sono visti timidi segnali di crescita, ma a gennaio 2015, con la vittoria della sinistra estrema di Tisipras, la parola d’ordine è diventata “NO AUSTERTY”. Il Paese ha ottenuto ancora quattro  mesi di aiuti internazionali, ma l’accordo sul piano di salvataggio non è mai arrivato. Un accordo ovviamente difficile per una nazione dove si va in pensione a 50 anni , con forti benefici fiscali per le sue innumerevoli isole, con un settore pubblico clientelista.

Così siamo arrivati al 5 luglio  con il referendum proposto alla popolazione: Deve essere accettato il piano di accordo presentato dalla Commissione Europea, BCE e FMI – NO – SI.

Con questa operazione, Tsipras ha inneggiato alla grande democraticità della sua azione, “decide il popolo”, peccato che i testi delle proposte relative all’accordo non sono state allegati e quindi il popolo non li conosce, inoltre è stata anche usata una astuzia mediatica, indicando nell’oggetto del referendum prima la risposta NO e dopo la risposta SI, infatti il governo punta proprio al NO.

E il NO è arrivato con uno scarto discreto ma non eclatante, con i greci in piazza a festeggiare la vittoria. Ma la vittoria su cosa? Sul fatto che da domani si dovrà tornare a negoziare, probabilmente con maggiori difficoltà. Diciamo subito che è ora di finirla con gli incontri Merkel-Hollande, le decisioni devono essere prese da tutti gli stati europei e non solo da Germania e Francia.

Intanto l’unico che da domani dovrà agire subito è Mario Draghi governatore della BCE che non essendo un politico ma un tecnico potrebbe decidere di continuare ad iniettare liquidità di emergenza alla Grecia. I politici avranno tempo per trovare un accordo almeno sino al 20 luglio quando la Grecia dovrà rimborsare 3,4 miliardi di euro alla BCE e se non lo facesse dopo il mancato rimborso al FMI di alcuni giorni fa entrerebbe automaticamente in default.

Sarà quindi assolutamente necessario che tutti gli attori di questa situazione addirittura grottesca trovino la soluzione in tempi brevissimi perché ne va del bene comune di oltre 500 milioni di europei a partire dal popolo greco.

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Articolo pubblicato il 06/07/2015