Il fascismo raccontato ai bambini

Asl e Anpi portano testimoni diretti del ventennio del Duce

La collaborazione tra il circolo ricreativo della Asl Torino 2, la sezione Baroni-Franchetti dell’Anpi e l’istituto comprensivo “Davide Maria Turoldo” di Torino ha dato vita per la terza volta alla manifestazione dal titolo “Pagine di storia viventi” con l’obiettivo di raccontare gli orrori del ventennio fascista in generale e più in particolare le ripercussioni che la dittatura ha avuto sui bambini di allora. Per essere recepito meglio il messaggio è rivolto esclusivamente a bambini e ragazzi della scuola elementare e media Turoldo che si sono alternati nelle giornate di giovedì 14 e venerdì 15 maggio.

Le testimonianze sono portate da due partigiani e da un figlio di partigiano rigorosamente con lo storico fazzoletto al collo, che sono Rosa Barilis, Carlo Bertaina e Massimino Ravizza, accompagnati da Marco Rubino, presidente della sezione dell’Anpi co-organizzatrice dell’iniziativa. Accompagnate dal coro “La voce dei colori” e dal coro della scuola elementare “Giacomo Leopardi” le testimonianze si susseguono raccontando da diversi punti di vista la vita dell’epoca, anche attraverso il racconto di Tommaso Vigitello per rivivere la storia del dodicenne Ugo Forno.

Molto interessante il contributo portato da Grazia Arnese Grimaldi, autrice del libro “I tredicimila ragazzi italo-libici dimenticati dalla storia” che ha raccontato la sua esperienza personale di figlia di italiani stanziatisi in Libia, all’epoca colonia italiana. La Grimaldi, riferendosi alla collaborazione che c’era nelle colonie africani tra gli italiani di diverse regioni e di diversi dialetti, pronuncia la significativa frase “Mai come allora mi sono sentita italiana”. Racconta poi di una vacanza premio regalata dal Duce d’Italia Benito Mussolini a 13600 bambini italiani residenti in Libia. Quattro giorni dopo il loro arrivo in Italia il Duce pronuncia la storica dichiarazione di guerra e di quei bambini le famiglie non sapranno più nulla: tutti arruolati nelle squadre di balilla. I loro genitori devono essere dimenticati, Duce e patria diventano padre e madre.

Un racconto struggente e commovente con uno scivolone evitabile: la Grimaldi afferma sostanzialmente che il fascismo privava i bambini della loro libertà, costringendoli, tra le altre cose, a cantare le canzoni del regime. Circa quattro minuti dopo questa frase il direttore del coro invita tutti i bambini della sala a cantare “Bella ciao”. Una caduta di stile e un’imposizione quasi dittatoriale di cui si poteva tranquillamente fare a meno, soprattutto se si considera l’ottimo giudizio attestabile ad un’iniziativa davvero valida.

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Articolo pubblicato il 27/05/2015