Palmira nelle mani dello Stato islamico

Il mondo si mobilita contro la strage delle antiche pietre e cerca "strategie", mentre gli jihadisti avanzano sull'antica terra di Siria

L’Isis ha conquistato Palmira, perla della millenaria storia di quella Siria spazzata dai tragici eventi di questa ennesima, assurda guerra. I reperti storici che avevano resistito alle distruzioni e alla collera dell'imperatore Aureliano, furibondo con l’Augusta Zenobia, nel 273 d.C., presto vedranno completata l'opera, e di loro non resterà più nulla.

Follie dell'uomo datate 2000 anni fa, follie di uomini d'oggi. Cambia il contesto, non il modus operandi. "Delenda Cartago!" Da allora sino a Dresda, Monte Cassino, Hiroshima o Sarajevo, distruggere palazzi e ammazzare innocenti non è mai passato di moda. Noi europei dovremmo ricordarlo bene, siamo stati bravi a farlo anche tra di noi.

Certamente mette tristezza il prossimo destino di un patrimonio dell'Unesco, agli occhi della nostra decadente vista occidentale, questa follia arabica sembra veramente a tutti una sanguinaria, incomprensibile e stupida guerra.

Non ve ne sono mai state di logiche o di furbe, e mai nessuna è stata gentile, né con l'essere umano sconfitto, né con le sue donne o le sue case. Ecco perché, assistere a tutto questo tra sterili dichiarazioni, false speranze e labili minacce della comunità "civile", confonde e raccapriccia da un punto di vista umano e spirituale.

La sanguinaria guerra al di là del mare va fermata prima che tramonti in briciole un'altra e più vasta fetta della nostra tormentata storia. Non è per amore dell'architettura, non è per le gole tagliate dei soldati vinti che si dovrebbe agire senza troppi indugi; queste sono cose accadute da sempre. Se si deve reagire è solo per logica paura di non dover essere il prossimo idolo a cadere nella polvere o il prossimo figlio da piangere. Proteggere le nostre frontiere è il primo gesto che tarda a venire. 

Tutto il resto è fumosa demagogia, chiacchiere di timorosi arcieri consapevoli di non avere le frecce adatte a perforare questa sfuggente strategia, spietata, esaltata forma di combattimento, anche mediatico. La cronaca informa che i miliziani già puntano verso la magica Damasco.

Palmira resterà un simbolo come forte Alamo, ma il coro di ''alle armi'' che si è levato per vendicare l'onore di pietre edificate e poi distrutte già molti secoli fa, sebbene abbia un senso per la nostra archeologica cultura moderna, altro senso non ha. Non sono passati molti secoli da quando abbiamo depredato l'Egitto per farne musei, ma agli jihadisti dalle bande nere interessa altro, e non è pietra antica.

Il problema va oltre le antiche colonne di Palmira. I barbari del Califfato minacciano anche le nostre mura, già hanno ucciso, ancora lo faranno. Difendersi fa parte di questo sporco gioco. Muoversi per salvare donne e bambini, anime innocenti, sarebbe certamente un motivo assai più ''cristiano'', ma stranamente se ne parla quasi meno di pur importanti e antiche pietre della memoria.

Palmira è caduta in brutte mani, le cannonate sono visibili in diretta, ma il conflitto è più ampio; i fondamentalisti seguono una tattica priva di regole. Già un ex ospedale è attaccato in una provincia vicina ed è strage nell'attentato alla moschea sciita in Arabia Saudita.

E' una realtà che riempie di tristezza e rende il libro della nostra storia un po' più povero, sgretolato dalla misteriosa crudeltà che si annida nella parte più oscura del genere umano. Siamo fatti così, ci piace costruire e fare pace dopo aver pianto e distrutto tutto.

E poi, c'è sempre qualche oscuro regista, inafferrabile e torbido che, nel nome di un Dio pronunciato invano, da dietro le quinte d'uno spettacolo di morte, dirige la tragedia e sempre ci guadagna, senza che mai si scopra il suo vero volto.

 


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Articolo pubblicato il 23/05/2015