Trasformismo VS coerenza: Civati racconta le sue memorie parlamentari

Tutto esaurito domenica 17 maggio, alla presentazione del libro di Pippo Civati “Il trasformista”, Indiana Editore

Cosa racconta Civati allo spazio autori del Salone del libro di Torino?

Per cominciare, che ormai nel centro sinistra si può trovare di tutto, dagli omofobi ai fascisti.

Da subito racconta che al momento della decadenza di Berlusconi, invece che andare alle urne, gli italiani si sono visti Angelino Alfano radunare 30 senatori in una notte e chiamarli “Nuovo Centrodestra”, che di nuovo aveva solo il nome. Uno dei componenti più importanti era infatti, proprio Roberto Formigoni, relatore della legge sulla concorrenza.

“Ci furono le primarie e io avevo un concorrente molto più forte e bravo di me – racconta Civati – non so se ne avete mai sentito parlare, si chiama Matteo Renzi e diceva cose bellissime come che non bisogna mai andare al governo senza prima fare delle elezioni e capivo che mi toglieva le parole di bocca, perché era esattamente ciò che pensavo anche io: diceva “mai più le larghe intese” e ancora, bisogna prendere gli elettori della destra, non i suoi ministri. Ammazza! E sono ancora tutti lì”.

Il libro di Civati è intriso di una parola, “coerenza”. La stessa coerenza che oggi, dopo essere stata tradita è stata più volte stuprata. Citando Gobetti, che spiegava come il fascismo oltre la violenza avesse il problema dell'incoerenza delle parole, Pippo racconta alla folla come molte di esse furono prese a comodato d'uso dal dizionario della sinistra.

“Mi viene da dire che bisognerebbe tornare un po' a scuola – sentenzia Pippo – non voglio fare il paraculo, dato che il Parlamento si sta occupando di questa tematica in questi giorni, però questo governo non si rende nemmeno conto che le proposte che fa assomigliano a quelle del governo Berlusconi”.

Il trasformismo spiegato nel libro è quello attuato non solo negli slogan e nelle parole, ma anche nei fatti, mentre tutti parlano di cambiamento attribuendosi la vituperata definizione di “liberali”, di innovatori, quando in realtà “fanno le cose che non sono riusciti a fare i governi passati e non certo in positivo”.

Il messaggio che Pippo Civati proprio non vuole far passare è quello della mancanza di alternative, “perché quando sento queste parole a me le alternative vien voglia di farle. Se non ci sono alternative allora tutto va bene così: l'austerità, la Merkel. La Merkel tanto copre tutti, senza distinzioni di partiti e non è una battuta”.

Un'ode quindi alle dissidenze e alle differenze, che non vanno annullate ma al contrario vanno moltiplicate, alla faccia di Grillo.

Di questi tempi sembra facile, facilissimo, dire che non esiste sinistra e destra, ma è una falsità perché le differenze esistono ancora e ne abbiamo avuto prova in Europa, con la Grecia di Tsipras.

Più che mai in questo contesto torna sotto i riflettori l'incredibile attualità del Don Chisciotte di Cervantes, alla fine del quale l'autore spiegava quanto le storie dei poemi cavallereschi non fossero altro che vuota retorica. Ma è di questo che abbiamo bisogno? Di vuota retorica?

Questa è la domanda che “Civantes” (Civati+Cervantes) e l'Italicum riescono ad abbozzare nella nostra mente, sopratutto quando dopo l'errore di Renzi alla lavagna, Twitter è insorto ed i suoi comunicatori anche:“funziona! È geniale” perché tutti ne parlano.

E Per questo dunque dovrebbe funzionare? Anche quando è affondato il Titanic tutti ne parlavano....

“Appassioniamoci alla sostanza e non all'apparenza – suggerisce Civati – quello che il mio libro tenta di fare è aiutarvi nel riconoscere i trasformisti”.

Una obiezione sorge lecita a questo punto: l'alternativa quindi, dove sta? Bisogna cambiare questo stato di cose, fin qui ci siamo. Ma come? Tra le righe sembrerebbe che Civati abbia intenzione di fondare un partito, una soluzione non certo immediata e che, in ogni caso, lo lancerebbe nella stessa sporca arena in cui giocano gli altri.

Perchè quindi gli elettori dovrebbero fidarsi di Pippo Civati e non di qualcun altro? Tanto più che oggi pochissimi italiani credono nella politica e ancor meno nei suoi esponenti. Dunque Pippo, chi te lo fa fare? Un brutale slancio idealistico?

“Le ragioni – spiega Civati – non solo solo ideali: ormai non va più a votare nessuno e questa cosa è allarmante. Quando in Emilia si son recate alle urne solo il 37% delle persone, in un retroscena Renzi avrebbe detto “si contano i voti non i votanti” e invece no, è proprio il contrario.

Chi non va a votare non è forte, è marginalizzato: è come se nessuno parlasse la tua lingua e rappresentasse il tuo luogo. Un partito nuovo deve porsi questo come primo problema, a prescindere da chi lo fonda. Certo questo sistema elettorale non aiuta, hanno truccato persino le primarie in cui una volta si credeva; io ci credevo.

L'altra questione su cui riflettere è il merito: merito e meritocrazia nascono come formula ironica, un libro di Michael Young che prende in giro la meritocrazia e spiega che un mondo solo meritocratico è un mondo dove pochissimi ce la fanno e un mondo che guarda solo ai campioni senza considerare il contesto, è un mondo sbagliato e io sono d'accordo.

La dimensione dove si premia solo l'individualità a dispetto della collettività è una dimensione pericolosa e lo stiamo sperimentando, non solo con la crisi: basti pensare alla condizione delle donne in questo paese, non solo per quello che riguarda la legge 40 e la 194 (dell'obiezione di coscienza) che impedisce a giovani donne di abortire, ma nello story telling che mostra accanto a un politico solo donne particolarmente piacenti, che le donne sono pagate meno degli uomini pur rivestendo le stesse funzioni e via discorrendo”.

Paradossalmente Pippo Civati e Giorgia Meloni, seppur ai poli opposti, vogliono la stessa cosa: un ritorno all'ideologia, un ritorno insomma agli ideali della “vecchia politica” e alle sue parole, ormai smarrite.

Una di queste è “l'uguaglianza”, così centrale in Tocqueville e “unico elemento da miscelare al merito”, afferma Civati con congnizione di causa: ed è vero, perché se il punto di partenza non è lo stesso per tutti i corridori, il vincitore avrà percorso meno strada degli altri per tagliare il traguardo e la sua vittoria, il suo merito, sarà una finzione.

Il potere, incarnato in quello che il profetico Tocqueville preconizza come “despotismo democratico”, assolve una opprimente funzione di “tutela” della società che, sotto le specie della preoccupazione per la “felicità” dei propri cittadini, non consentirà dissenso, resistenza, o formazione di un tessuto di autonome relazioni politiche.

Uguali ed omogenei, i cittadini, che allo Stato chiedono solamente di essere lasciati tranquilli, finiranno col delegare ad esso tutte le funzioni politiche. “Snervata” ed “inebetita” dalla ricerca del benessere, la società dei privati appare pronta per un padrone assoluto a cui possiamo dare ormai, il nostro benvenuto.

“C'è bisogno di qualcosa di nuovo, davvero, di un nuovo spirito critico e coerente. Se non riusciamo a fare questo io smetto”, conclude Civati.

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Articolo pubblicato il 19/05/2015