Al Salone del Libro si ripercorre la storia del lavoro in Italia con Bertinotti

Presentato il nuovo libro “Storia del lavoro in Italia – il Novecento” edito da Castelvecchi e curato da Stefano Musso, ricercatore dell'Università di Torino. A commentarlo Fausto Bertinotti, Giuseppe Berta, Fabio Fabbri, Piero Fassino, Gianna Pentenero. Grande assente Giuliano Poletti

Come siamo giunti in questa condizione lavorativa? Quali sono stati i passaggi decisivi nella storia del lavoro in Italia? Tutto è imputabile alla crisi?

Questi alcuni degli interrogativi sorti durante l'incontro che Civico20news ha udito attraverso le sue attente orecchie e che qui vi sintetizza, con gli interventi più significativi dei presenti.

Fabio Fabbri racconta al pubblico in sala come è nata l'idea di questo corposo volume in tre punti: “spiegherò come è nato il libro, chiarirò il progetto e le finalità che auspichiamo non essere solo scientifiche. Tempo fa andai a trovare l'editore con un libro che volevo far ristampare. Il volume in questione era quello dello storico Luigi Dal Pane, sottosegretario di Bottai, che avviò una collana sulla storia del lavoro in Italia. Uscì nel 1944 un suo libro che trattava del Settecento, spingendosi fino al 1815. Un altro, sul periodo dalla fine del XV secolo agli inizi del XVIII, venne pubblicato da Amintore Fanfani. L'editore ebbe allora l'illuminazione: ristampare non solo il volume, ma l'intera collana. Questo servizio non è solo rivolto ad una élite scientifica, ma siamo convinti che la storia di un paese non si regga senza questa dimensione. La cultura alta non ha ancora saputo ricostruire la storia del lavoro come asse portante e chiave di lettura del paese e dunque abbiamo deciso di buttarci in questa impervia avventura.

Il microfono passa dunque al sindaco Fassino, che poi lascerà la sala alla volta di un altro convegno.

“Il lavoro è un tratto identificativo, forgia la nostra identità perché assorbe gran parte della nostra vita.Tutti quelli della mia generazione sono cresciuti in un tempo nel quale il lavoro era fondato sul ciclo produttivo meccanico e nel quale il tempo era scandito con i tempi stessi del lavoro e se volevi cambiarlo per qualche motivo, questo risultava sulla carta verde e chi cambiava troppe volte impiego passava agli occhi dei più, come chi non aveva voglia di lavorare. Oggi la situazione è differente, ora è il tempo della flessibilità che ha cambiato il modo di essere del lavoro, cambiato per l'effetto delle nuove tecnologie e anche della crisi. Tutto una volta era a lunga determinazione: anche i contratti collettivi venivano concordati con i sindacati un anno prima. Oggi no.

Oggi si fa.. – “non si fa più”, lo interrompe Bertinotti.

“..Certamente con tempi più stretti, relazionata ad un rapporto tra ciclo e lavoro che è cambiato radicalmente. Questi cambiamenti giustificano uno svilimento del lavoro? Io non credo che lo giustifichi, non dico che non esista, dico solo che non lo giustifica.

Allora giustifica una minore centralità del lavoro? Secondo me, no. Il lavoro continua ad essere la principale attività dell'individuo e del paese. Anche in un mercato del lavoro flessibile come il nostro, il tema della dignità resta centrale: dignità significa un lavoro che sia degnamente retribuito, dignità significa un lavoro che sia tutelato e protetto, dignità significa che sia professionalmente riconosciuto. Credo che tutto ciò debba essere garantito, ma questo ha una conseguenza, quella di dover pensare con quali strumenti garantirla. Non si può pensare che quelli lineari bastino.

Questa è un'opera meritoria sicuramente e non è banale ricostruire la storia di ciò per cui bisogna battersi anche oggi”.

Giunge dunque l'atteso intervento di Bertinotti.

“Il lavoro qui presentato penso non solo che sia pregevole, ma anche che indichi una linea di ricerca necessaria: questa evoluzione è un fatto tecnico, dovuto insomma al corso della storia, o si è invece prodotta dalle interazioni sociali che hanno determinato un esito non iscritto in partenza?

Questa ricerca è preziosa per chi pensa bisogni ripartire daccapo, come quando si va incontro ad una censura, che in questo caso è dovuta a due cicli in chiusura: il secolo Novecento e il secondo dopoguerra. Di entrambi questi passaggi storici, il metro è il lavoro. Oggi la soggettività è costruita sul lavoro, ma non deriva da esso. Il Novecento vede protagonisti proprio i lavoratori con la nascita del Movimento Operaio e questo fermento porterà a due risultati: ad est, la rivoluzione, ad ovest una grande riforma sociale, del lavoro e del capitalismo. Qui nasce un capitalismo diverso dal precedente, con lo stato sociale e con la stella polare del pieno impiego e la nostra Costituzione fa fede proprio a questo.

Queste due grandi storie finiscono l'una con un fallimento, l'altra con sconfitte: la crisi prodotta dallo shock petrolifero e una crisi nell'accumulazione capitalistica, a quel punto il capitalismo si innova, come gli studiosi ci insegnano, il capitalismo ha bisogno delle crisi. Il nuovo capitalismo finanziario globale si libera dal compromesso totalmente e riproduce nella sua vocazione totalitaria, il dominio sul lavoro, non il compromesso tra economia e lavoro, facendone una pura variabile indipendente. Si ha dunque un rovesciamento della lotta di classe entro una regressione della civiltà del lavoro. Le forme di lavoro che ne conseguono sono subalterne e dipendenti. Questo cambia anche l'antropologia. La messa sotto il tallone del lavoro, determina la crisi della democrazia, simul stabunt simul cadent.

E' obbligatorio che debba andare avanti così? Ma neanche per sogno.

Ci può essere il rovesciamento del rovesciamento, Musso nel testo indica una strada, quella della lotta alle disuguaglianze, ma non c'è salvezza per i lavoratori, se i lavoratori non lo vogliono”.

Un incontro che, come la stessa opera presentata, riconosce al lavoro di non essere solo un fattore produttivo, ma anche una fonte costruttiva dell'azione politica, della quale bisogna trovare necessariamente nuove chiavi di lettura e nuovi elementi, sopratutto riguardo il rapporto che intercorre, oggi più che mai, tra lavoro e identità sociale e le conseguenti distinzioni, privilegi, svantaggi e pregiudizi che ne derivano.

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Articolo pubblicato il 16/05/2015