Ostensione della Sindone d’altri tempi

Il 4 gennaio 1822, il Santo Sudario viene mostrato dalla balaustrata della Cappella del Guarini verso l’interno del Duomo

Sono trascorsi soltanto sei anni da quel 21 maggio 1815, quando il re Vittorio Emanuele I ha proceduto ad una magnifica Ostensione della Sindone, con la partecipazione del Papa Pio VII. Nel marzo del 1821 scoppiano infatti quelli che a scuola abbiamo studiato come “I moti del ’21”, con l’insurrezione di reparti militari di Alessandria e la richiesta al Re di concedere la Costituzione da parte dei cospiratori guidati da Santorre di Santarosa.

“I moti del ’21” inducono il re Vittorio Emanuele I, il 13 marzo 1821, ad abdicare a favore del fratello Carlo Felice che è assente. La reggenza è affidata a Carlo Alberto, da tempo in contatto con i cospiratori, che concede la Costituzione. Poco dopo, richiamato all’ordine dal re Carlo Felice che è a Modena, Carlo Alberto si unisce alle truppe rimaste fedeli a quest’ultimo e sconfigge i cospiratori a Novara.

Carlo Felice, divenuto re il 25 aprile, rimane a Modena e avvia una repressione a Torino e in Piemonte che termina soltanto con la fine di settembre, poi ritorna a Torino ai primi di ottobre, accolto freddamente dalla popolazione.

Il regno di Carlo Felice non è iniziato nel migliore dei modi, in particolare per la condanna a morte di due ufficiali compromessi nei moti del ’21.

Sono Giacomo Garelli, nativo di Sassello (Savona), capitano aiutante maggiore della Brigata Genova, di 40 anni circa, e Giovanni Battista Laneri, di Verduno, già luogotenente dei Carabinieri, comandante la stazione di S. Giovanni di Moriana, di 43 anni.

Le due condanne a morte vengono eseguite in modo particolarmente infamante, mediante impiccagione, quella di Giacomo Garelli il 21 luglio e quella di Giovanni Battista Laneri il 25 agosto.

Carlo Felice darà un aiuto economico alla vedova e alle figlie di Garelli.

Il 4 gennaio 1822, Carlo Felice ordina all’arcivescovo di Torino, Colombano Chiaverotti, di predisporre una Ostensione, per invocare la protezione divina sul suo regno. Questa Ostensione non avviene, come le due precedenti, dai balconi di Palazzo Madama, ma la reliquia viene mostrata dalla balaustrata della Cappella della Sindone verso l’interno del Duomo.

Carlo Felice, particolarmente devoto, come la regina Maria Cristina di Borbone sua moglie, oltre all’arcivescovo di Torino, ha convocato per l’occasione il cardinale Paolo Giuseppe Solaro, i R. Cappellani, il vescovo di Pinerolo Francesco Bigex, monsignor Vincenzo Mossi già vescovo di Alessandria e tutti i grandi di Corte.

Dopo che sono stati riconosciuti intatti i sigilli dell’ultima Ostensione del 1815, apposti anche dal Papa Pio VII oltre che dal re Vittorio Emanuele I, Carlo Felice fa stendere la reliquia al lato destro dell’altare  della Cappella del Palazzo Reale detta del Santo Crocefisso. La venera con la Regina, poi permette di venerarla anche ai convenuti.

In questa occasione, il teologo padre Lazzaro Giuseppe Piano partecipa all’Ostensione, con alti prelati e personaggi di Corte, e può così osservare bene la Sindone da vicino.

Padre Piano è un “sindonologo” ante litteram, nel 1833 pubblica un ponderoso testo in due volumi, intitolato “Comentarii critico-archeologici sopra la S.S. Sindone di N.S. Gesù Cristo venerata in Torino” dove narra la storia della reliquia, ne sostiene l’autenticità e confuta le opinioni contrarie.

La sua partecipazione all’Ostensione del 1822 viene descritta nel Libro VI del secondo volume del suo testo (Altre prove della verità  della Santa Reliquia ricavate dalla di lei conformità cogli antichi lenzuoli, e colle circostanze del corpo esangue del Divin Salvatore), al Comentario V (Si dimostra quanto sia vana l’opinione di cert’uni, i quali si danno a credere non esservi nella Santissima Sindone veruna immagine del corpo di Gesù Cristo).

Ai tempi di Padre Piano, gli scettici e i critici, anche allora abbastanza numerosi, non si basavano sui discutibili risultati di esami di laboratorio, più o meno affidabili. Erano decisamente più estremisti, sostenevano che sulla Sindone non vi erano immagini e si dicevano convinti che si trattasse di una «vana tradizione popolare, sostenuta […] dalle favole dei nostri vecchii scrittori”.

I Savoia – scrive Padre Piano - hanno un grande merito: in occasione delle Ostensioni fanno distendere dai sacerdoti su un grande tavolo la «preziosa Tela» per esporla alla pubblica venerazione. Hanno sempre permesso, e permettono tuttora, a chi lo desidera di esaminarla comodamente, mettendosi nella luce migliore.

Per togliere ogni ostacolo a questa osservazione, – prosegue Padre Piano - i Savoia hanno voluto che nel cerimoniale dell’Ostensione fosse inserita questa precisa disposizione: «Prima di riporre il Santo Sudario nella cassa e suggellarlo, si lascierà per alcuno spazio di tempo osservare, baciare, ed adorare dalle persone Reali, dai Vescovi, dai personaggi di prima distinzione».

Padre Piano ha potuto fruire di questo grande disponibilità nel corso dell’Ostensione del 4 gennaio 1822, quando ha potuto baciare la Sindone ma, soprattutto, esaminarla attentamente, e riscontrare le impronte del corpo di Gesù. Nel suo libro può pertanto scrivere, con grande cognizione di causa: «Che si vede adunque nella SS Sindone? Vi si vede, io dico, e lo dico quale testimonio di vista, vi si vede un doppio distintissimo ritratto di un colore bruno rossastro rappresentante la parte anteriore, e posteriore dell’intiero corpo di Gesù Cristo con tutte quelle particolarità, che lo caratterizzano, e nello stato, a cui lo ridusse la sua passione e morte».

Il teologo Piano attesta la presenza dell’immagine sindonica anche per controbattere le parole di Calvino, che ha accusato i Cattolici di non lasciar osservare da vicino il Santo Sudario perché non emerga la loro frode.

Questa Ostensione, non clamorosa come le precedenti, di carattere quasi privato, voluta, in un momento sicuramente difficile per Torino, da un Re ancor oggi giudicato in modo molto controverso, ha assunto – almeno a suo tempo – una particolare valenza per gli studi sindonici e per le inevitabili polemiche che questi sollevano, più giustificabili quando provengono da razionalisti miscredenti, un po’ meno quando sono portate avanti da cristiani…

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Articolo pubblicato il 15/05/2015