Stiamo uscendo dalla crisi? La svolta probabilmente nel 2016
Mario Draghi

I cambi di marcia che dovrà effettuare il Governo. La situazione strutturale dello Stato italiano la prima responsabile della velocità della ripresa economica

Sono oramai molti mesi che, in Italia, ci stiamo chiedendo se il lungo periodo di recessione nel nostro Paese stia lasciandoci, e se il futuro della nostra Economia nazionale vedrà finalmente un periodo di crescita già dal 2015. L' ISTAT ha comunicato solo ieri 7 maggio che la recessione è finita, ma la crescita del PIL sarà solo dello 0,6 % nel corso di quest' anno, e per il prossimo dell'1, 4 %, mentre l' occupazione crescerà al di sotto del punto percentuale per il 2015 ed il 2016. 

In effetti nella UE rimangono solide e vivaci le economie come la Germania che ha una situazione statale molto più sana della nostra, non avendo i freni parassitari, rispetto a noi, di una burocrazia statale asfissiante come la nostra, e avendo, però, un sistema fiscale più snello e all' altezza con i tempi rispetto al nostro. Per non parlare poi della lentezza della nostra Giustizia, che scoraggia qualsiasi investitore estero ad intraprendere attività in Italia, dove la lunghezza degli iter giudiziari e la non certezza della pena possono mettere in preallarme anche le aziende più sane.

In secondo luogo vi sono la corruzione e la concussione, che da noi sono all' ordine del giorno e che non sono certo un invito per le aziende ad intraprendere attività industriali e commerciali degne di questo nome. In ultimo il lavoro in nero, e l' evasione fiscale, mali endemici che conosciamo fin troppo bene nella nostra società.

Pertanto la domanda se usciremo presto dalla crisi che ancora ci attanaglia è più attuale che mai, e dipenderà da come il Governo affronterà i temi della burocrazia lenta, della Giustizia e del rapporto tra le banche e i clienti in ordine a finanziamenti per nuove attività. I dati che abbiamo oggi sono che la nostra economia crescerà dello 0,6 % quest' anno, e dell'  1,4 % nel 2016, mentre la crescita nell' eurozona sarà dello 1,9 % nel 2016, una differenza dovuta proprio alle più difficili condizioni strutturali del nostro Stato rispetto agli altri. Fattori come la nostra economia sommersa, che sottrae risorse a quella reale che versa le tasse, e impedimenti o rallentamenti della burocrazia, sono quelli che influiscono maggiormente sul differenziale tra l' Italia e gli altri paesi UE. Una differenza che conta, soprattutto per la creazione di nuovi posti di lavoro.

La politica monetaria del Quantitative Easing che Draghi ha posto in atto è quindi solo una parte di tutto il processo che può imprimere una svolta decisa alla nostra Economia.

Infatti, non si ancora dato una vero cambio di direzione alla scarsa attitudine delle banche italiane a concedere finanziamenti alle società che non abbiano garanzie sufficienti, e quindi a non aiutare per niente una economia come la nostra basata soprattutto sulle piccole e medie aziende, molto più fragile di quella tedesca, che invece ha la predominanza di aziende medio grandi.

Allora vediamo come si sta sviluppando la politica monetaria voluta in UE da Draghi che, ripetiamo, da sola non è affatto sufficiente a voltare pagina già da quest' anno.

Il governatore centrale europeo afferma chiaramente che gli acquisti per 60 miliardi di euro, di bond dei debiti pubblici, di attività cartolarizzate (asset-backed securities) e di obbligazioni garantite, ogni mese fino a settembre 2016, ed eventualmente oltre, servono essenzialmente a far salire il tasso di inflazione fino al 2%. La mission del QE della Bce, quindi, è questo cosiddetto “medium term price stability” .

Nel suo recente discorso al Center for Financial Studies di Francoforte dell’11 marzo ha ripetuto per almeno una dozzina di volte questa valutazione. Infatti, secondo la Bce, l’indicatore principale per poter dire se ci sono stabilità e ripresa oppure deflazione e crisi è costituito di fatto dal dato relativo all’inflazione. A noi sembra un approccio errato e fuorviante. Si tratta di una strana e limitativa idea, molto simile a quella che aveva il governatore della Fed, Ben Bernanke, negli anni del crac finanziario, quando intravedeva nell’andamento del mercato immobiliare americano l’oracolo per capire l’evoluzione della crisi globale.

La domanda vera dovrebbe essere: quanta parte dei nuovi soldi immessi nel sistema andrà veramente a sostenere gli investimenti nell’economia reale e i redditi delle famiglie, generando maggiore occupazione?

Occorre tenere presente che le obbligazioni dei debiti pubblici saranno acquistate sul mercato secondario, di fatto quindi comprate dalle banche. Lo stesso dicasi per gli abs. Perciò la massa di liquidità fluirà nel sistema bancario e, ancora una volta, senza alcuna condizione. Infatti, al di la dei desideri del governatore Draghi, non c’è nessun impegno formale a che essa affluirà verso il sistema produttivo.

Del resto l’esperienza degli oltre mille miliardi di fondi TLTRO, dalla Bce in passato messi a disposizione delle banche europee a bassissimi tassi di interesse, non è stata affatto positiva. Anzi, i crediti concessi dalle grandi banche ai settori non finanziari dell’economia sono addirittura diminuiti. Era di -3,2% a febbraio 2014, rispetto a dodici mesi precedenti, e si è ridotto a -0,9% lo scorso gennaio, ma resta sempre negativo. Soltanto le banche di credito cooperativo e quelle locali collegate al territorio hanno mantenuto e aumentato i flussi di credito alle Pmi e alle famiglie.

Mentre negli Usa l’accesso al capitale passa per due terzi attraverso il mercato e solo per un terzo attraverso il sistema bancario, in Europa è esattamente il contrario.

Draghi ammette che, acquistando titoli di Stato e abs, la Bce di fatto “pulirà” i bilanci delle banche che, di conseguenza, dovrebbero allargare i loro prestiti. In pratica, mentre è certo il beneficio al sistema delle grandi banche europee, non c’è affatto garanzia che esse aumenteranno i crediti alle industrie e alle altre attività volte alla modernizzazione e all’esportazione.

Certamente il QE della Bce farà scendere i rendimenti dei titoli dei debiti sovrani. Alcuni miliardi di euro di interessi saranno risparmiati. I bilanci degli Stati ne gioveranno. Si dovrebbero anche migliorare le condizioni di indebitamento delle imprese e delle famiglie. La maggior liquidità contribuirà a mantenere basso il cambio dell’euro nei confronti del dollaro e delle altre monete rendendo più competitive le esportazioni europee. L’altra faccia della medaglia sarà il maggior costo delle materie prime importate. Ovviamente gran parte di essa finirà per riversarsi sulle borse facendo salire i già gonfiati listini.

Le aspettative rosee della Bce si basano su delle desiderabili ricadute positive nel tessuto produttivo e nei consumi dell’intero continente. Si auspica un automatismo ancora tutto da verificare. Non vorremmo che fosse solo un pio desiderio.

Inevitabilmente, oltre alle grandi banche europee e ai loro alleati internazionali, i Paesi più solidi, come la Germania, saranno i maggiori beneficiari del QE in quanto la Bce distribuirà gli acquisti di titoli in relazione alle quote di partecipazione al suo capitale. La Grecia, purtroppo, ne resterà esclusa fintanto che non finirà il programma di revisione fiscale e di bilancio imposto dalla Troika.

Di fatto il gap tra il centro e le periferie dell’Europa, nell’economia e nella distribuzione del reddito, aumenterà invece di diminuire.

La scelta della Bce, per quanto importante e significativa, manca quindi di almeno tre elementi. Non impone delle regole di comportamento al sistema bancario. Non indica dei percorsi certi e controllati per far fluire la liquidità verso i nuovi investimenti. Non sollecita e non “guida” un vero programma di sviluppo, di investimenti e di infrastrutture che siano decisivi per la ripresa economica. La Bce, di fronte a queste sfide, si trincera dietro al suo mandato di semplice guardiano dell’inflazione. Noi riteniamo, invece, che tale giustificazione non sia accettabile rispetto alla necessità di un profondo e radicale cambiamento che l’Unione europea dovrebbe affrontare, pena la sua disgregazione.

Se la UE, con la  Germania di Angela Merkel in testa,  non cambierà la sua politica di austerithy complessiva, molto probabilmente le economie periferiche quali soprattutto Grecia, Portogallo, Spagna ed Italia saranno ancora penalizzate per un bel pezzo. Ciò che può salvarci oggi è solo la nostra struttura industriale produttiva, a differenza degli altri tre Paesi, ma è necessario un cambio di marcia del nostro Governo sui temi delicati di lotta all' evasione ed alla corruzione, di una Giustizia più all' altezza dei tempi e di uno snellimento della burocrazia italiana, che ci rende più simili ad un Paese dell' '800 che degno di una società modernamente intesa.

In conclusione, pensiamo sia difficile che un Paese come il nostro, con gli aspetti problematici ed annosi  che abbiamo descritto e noti a tutti, possa affrontare le sfide competitive che ci vedono sempre negli ultimi posti in Europa, superati come tasso di crescità anche da paesi dell' ex blocco sovietico come l' Ungheria, che applica la flat tax del 15%, una misura che consentirebbe di far pagare tutti perchè sarebbe  sconveniente non farlo.  Come anche non si può giustificare non tassare un lavoro in  nero come la prostituzione, eliminando la legge Merlin, tasse che in Germania contribuiscono al bilancio statale con 8 miliardi di euro. 

Non capiamo perchè, forse in quanto si vuole essere persone di buon senso e non organismi politici geneticamente modificati, non si affrontino problemi concreti, rivolgendo l' attenzione governativa ad affrontare una volta per tutte lo snellimento della Giustizia e della burocrazia, il lavoro in nero e la corruzione in ambito prevalentemente statale. Non giustifichiamo come un Paese come il nostro, che vanta di essere ancora al secondo posto per il suo sistema industriale in Europa dopo la Germania, possa tollerare di avere un sistema statale così antiquato e malgovernato, che premia la quantità di impiegati al proprio interno e rinunci a licenziare troppi dirigenti che non sanno svolgere il loro mestiere.

Il prossimo round annunciato dal Governo sarà varare una legge sul conflitto d' interessi, una misura necessaria ma non nella lista di priorità di tanta gente che non arriva a fine mese, pensionati al minimo e disoccupati in testa. E quando si parla di avere eliminato i vitalizi per coloro che sono stati condannati in via definitiva, forse in questo caso ha ragione Grillo, il quale dice che in Parlamento fanno una cosa ed a noi ne dicono un' altra. La trionfante e sempre troppo retorica Boldrini ci viene infatti a dire quale grande conquista sia avere eliminato tali vitalizi, ma dimentica di menzionare che sono già state studiate mille scappatoie per evitare di perdere il vitalizio, come avviene per l' avv. Previti , condannato a 6 anni, ma che continuerà ad usufruirne. Se una conquista per gli italiani è, bella conquista da annoverare tra i " popolarissimi" traguardi dell' Italia di oggi ! Al massimo perderanno il vitalizio una decina di persone che non hanno nessun santo in paradiso che li aiuti. 


 

 

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Articolo pubblicato il 08/05/2015