Passione e Resurrezione secondo San Giovanni

Un oratorio barocco per la Sindone a Torino: considerazioni di Marco Marchetti

Sottopongo ai Lettori di “Civico20News” le qualificate considerazioni di Marco Marchetti sull’oratorio barocco “Passione e Resurrezione secondo San Giovanni”, composta e diretta da Alberto Mattea su libretto di Giorgio Enrico Cavallo (m.j.).

Nel suo affascinante capolavoro Il gioco delle perle di vetro, Hermann Hesse delinea un futuro nel quale l’Occidente, dopo una lunga fase di decadenza e di conflitti, approda ad una nuova visione del mondo al cui centro vengono finalmente posti i valori dello spirito. In questa rinascita la musica gioca un ruolo di primo piano, ed è anzi proprio attraverso di essa che si sviluppa il “gioco”, singolare forma d’arte e di scienza che consente di elaborare, in infinite combinazioni, tutti i contenuti della cultura umana. Precorritori di questa nuova era sono i misteriosi Pellegrini d’Oriente, e tra loro gruppi di musicisti che riprendendo con umile dedizione la grande lezione del passato arrivano ad eseguire le opere degli antichi maestri con il medesimo spirito di chi le aveva composte.

E’ questo tipo di suggestione che ha evocato in chi scrive il concerto tenutosi sabato 25 aprile a Torino, presso la chiesa di S. Secondo, prima esecuzione pubblica della Passione e Resurrezione secondo San Giovanni composta e diretta da Alberto Mattea su libretto di Giorgio Enrico Cavallo. Opera volutamente modellata sul linguaggio barocco, quest’oratorio nasce in occasione dell’ostensione della Sindone e rappresenta l’impegnativo omaggio di due giovani Artisti piemontesi alla fede cristiana ed alla tradizione musicale europea. L’esecuzione dell’opera è stata affidata all’orchestra barocca “Aurea Armonia” ed alla Corale Polifonica di Sommariva Bosco (una trentina di elementi), con la partecipazione di cinque voci soliste.

Un’impresa, a ben pensarci, da far tremar le vene e i polsi, se si consideri quale sfida rappresenti al giorno d’oggi, sul piano artistico ed organizzativo, la riproposizione di un oratorio barocco ad un pubblico ormai in buona parte lontano anni luce dalla sensibilità congeniale alla ricezione di questa elaborata forma espressiva. Ed oltre a ciò, il confronto con i maestri del passato, veri e propri giganti capaci di coniugare due forme per natura tra loro antitetiche, come la musica ed il linguaggio verbale, attraverso l’uso sapiente di una raffinatissima arte retorica, al contempo letteraria e musicale, in grado di esprimere in una sintesi intima e profonda di parola e suono non soltanto emozioni, ma anche sentimenti e valori spirituali.

Lo spettatore potrà cogliere nell’opera un impianto bachiano, e poi magari suggestioni vivaldiane, richiami al Telemann dei concerti, al Purcell dei lavori teatrali e ad altri ancora; ciascuno insomma potrà percepire le più diverse assonanze in base alla sua sensibilità ed alle sue frequentazioni musicali. D’altra parte, come si poteva prescindere dalla lezione dei grandi (e Bach primo tra tutti) in questo genere di composizione? In ogni caso, qualunque siano le ascendenze stilistiche evocate, il pregio di questa impresa artistica consiste proprio nell’aver cercato di assimilare un linguaggio elevato e colto per impiegarlo in tutta la sua potenza espressiva; nell’aver voluto cimentarsi con la stesura di una partitura complessa e grandiosa; nell’aver affrontato la sfida con il coraggio dei giovani talenti, realizzando un lavoro che, per quanto riecheggi la voce degli antichi maestri, non ci dà mai la sensazione di una citazione banale.

L’opera, divisa in due parti, si apre con un’introduzione orchestrale grave e solenne che precede il primo coro, Re, Cristo Re, dalle tinte tragiche e dolenti. Seguendo quasi alla lettera il testo evangelico, reso in una metrica italiana chiara ed intelligibile e alternato ad inserti poetici composti anch’essi dal librettista, l’oratorio si dipana per oltre un’ora e mezza, articolandosi nelle varie parti affidate di volta in volta al coro ed ai solisti. Tra questi segnaliamo in particolare l’eccellente controtenore Gianluigi Ghiringhelli, che dà ottime prove delle sue capacità vocali nella seconda aria della prima parte, Nel sentiero ove cammino, e soprattutto nel primo coro e nella prima aria della seconda parte (Sul corpo martoriato; Croce di sangue e amore); il basso Enrico Bava, un Gesù solenne e convincente, che ascoltiamo con intensa commozione nell’aria Ecco, i malvagi tutti, o nel doloroso brano Donna ecco tuo figlio; la soprano Teresa Nesci, che si fa ammirare nell’aria La verità, dall’atmosfera dolce e serena, come pure nell’altra, smagliante ed impegnativa, L’aveva promesso, accompagnata da un’orchestra ricca e possente. Ottimo contributo fornisce anche il tenore Fabio Furnari, che assume ruoli diversi. Le parti dei recitativi, eseguite da Adriano Popolani, sono accompagnate dell’organo con funzione di basso continuo. Il coro, oltre che nell’introduzione, si fa apprezzare in particolare nel corale Nessuno ha mai visto Dio padre e nell’Alleluia finale, entrambi d’impianto grandioso e trionfale.

L’orchestra, tipicamente barocca, si compone, per quanto riguarda gli archi, di quattro violini, una viola, due viole da gamba ed un contrabbasso, cui si uniscono un corpo di quattro fiati (flauto dolce, traversiere, oboe ed oboe da caccia), due timpani, una tromba ed il già menzionato organo. L’impiego frequente dei fiati, spesso in elegante dialogo con le voci, ci ricorda la formazione originaria del compositore, diplomatosi in oboe al Conservatorio di Torino.

Singolare infine l’utilizzo onomatopeico di timpani, violini dissonanti ed un tamburo a membrana e molla per riprodurre l’effetto del rombo di tuono (a sottolineare il momento solenne della morte di Gesù) che concede spazio ad un linguaggio compositivo più moderno.

Il successo dell’opera e l’apprezzamento verso i suoi Autori sono stati testimoniati dall’ampia partecipazione, dal decoroso contegno del pubblico e dai lunghi applausi, segno di un’accoglienza calorosa, rinnovatasi nel corso della replica del giorno seguente presso la chiesa di San Filippo Neri.

Nella prefazione al libretto i due giovani Autori mostrano chiara consapevolezza del loro operare nel contesto di un Occidente che ha perduto il senso della bellezza, e con esso quello della trascendenza. Nell’aria Leggiamo tante volte, che commenta la condanna inflitta a Gesù, l’ultima quartina suona come un monito severo alla nostra civiltà odierna:

 

O misero Occidente,

che il Cristo a morte metti,

tu oggi ti prometti

eterna oscurità!

 

Parole gravi, e che tuttavia non ci fanno dimenticare che a metterle in rima ed in musica sono stati proprio due giovani, volenterosi piemontesi, nostri contemporanei.

Benvenuti, dunque, Pellegrini d’Oriente!

Marco Marchetti 

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Articolo pubblicato il 02/05/2015