Lo spaccone Renzi ci conduce verso un regime totalitario

Amare considerazioni maturate nella serata del 25 aprile

Si stanno spegnendo i riflettori su una giornata che, come tradizione, almeno nei decenni scorsi, ha rappresentato l’humus ideale per l’esaltazione della retorica resistenziale e non la riflessione sul vero significato dell’antifascismo e della Resistenza.

Gli eroi defunti, coloro che, esclamando “Viva l’Italia Libera!” sono morti davanti al plotone di esecuzione, non possono più testimoniare come i loro aneliti siano stati traditi o snaturati da color che ci hanno governato in questi settanta lunghi anni.

I molti che, in modo disinteressato e spinti dall’anelito della libertà, si sono cimentati in imprese eroiche a favore del popolo che non versava certo in condizioni floride, se ancora viventi, sono tornati nell’ombra, mai ricordati dalla storiografia ufficiale, riprendendo la vita e le occupazioni proprie.

Purtroppo, negli ultimi anni, lo scenario del 25 aprile, è stato costantemente occupato da “I resistenti di mestiere o meglio, le vestali della Resistenza”.

Alcuni, come lo squallido ex segretario del GUF di Cuneo, che in gioventù si dilettava a bastonare, molti suoi concittadini che non partecipavano alle adunate di regime, si è disinvoltamente riciclato, regalandoci, nel corso di lunghi anni, sermoni carichi di retorica, di falsità, ovviamente occultando  il suo passato. Così pure i molti altri che hanno accampato a lungo nelle aule parlamentari esaltando esperienze temerarie che avevano solo sentito raccontare, ma che non avevano vissuto.

Il clima nuovo, induce però, con maggiore serenità, ad analizzare in modo maggiormente obiettivo i fatti di ieri e comparandoli ahimè con quel che sta succedendo oggi e che appare all’orizzonte.

Per gli storici, quando Mussolini, il cui governo ottenne la fiducia di una Camera democraticamente eletta, iniziò a trasformare il suo ruolo di presidente del Consiglio, in una fase di sempre minor confronto con le altre forze politiche. modificò sostanzialmente la Legge elettorale e svuotò progressivamente di garanzie e prerogative, lo Statuto Alberto.

 Venne approvata la legge 18 novembre 1923, n. 2444 - nota come Legge Acerbo (dal nome del deputato Giacomo Acerbo che redasse il testo e adottata dal Regno nelle elezioni politiche italiane del 1924. La Legge Acerbo prevedeva l'adozione di un sistema proporzionale con premio di maggioranza, all'interno di un collegio unico nazionale, suddiviso in 16 circoscrizioni elettorali. A livello circoscrizionale ogni lista poteva presentare un numero di candidati che oscillava da un minimo di 3 a un massimo dei due terzi di quelli eleggibili (non più di 356 su 535); oltre al voto di lista era ammesso il voto di preferenza.

Il risultato nel collegio unico era decisivo per determinare la distribuzione dei seggi: nel caso in cui la lista più votata a livello nazionale avesse superato il 25% dei voti validi, avrebbe automaticamente ottenuto i 2/3 dei seggi della Camera dei Deputati, eleggendo in blocco tutti i suoi candidati; in questo caso tutte le altre liste si sarebbero divise il restante terzo dei seggi, sulla base di criteri simili a quelli della legge elettorale del 1919. Nel caso in cui nessuna delle liste concorrenti avesse superato il 25% dei voti, non sarebbe scattato alcun premio di maggioranza e la totalità dei seggi sarebbe stata ripartita tra le liste concorrenti in base ai voti ricevuti ancora secondo i principi della precedente legge elettorale.

Secondo l’autorevole parere di Giovanni Sabbatucci, uno degli studiosi del fascismo ancora vivente,”l'approvazione di quella legge fu un classico caso di "suicidio di un'assemblea rappresentativa", accanto a quelli "del Reichstag che vota i pieni poteri a Hitler nel marzo del 1933 o a quello dell'Assemblea Nazionale francese che consegna il paese a Petain nel luglio del 1940".

La riforma fornì all'esecutivo "lo strumento principe – la maggioranza parlamentare  che gli avrebbe consentito di introdurre, senza violare la legalità formale, le innovazioni più traumatiche e più lesive della legalità statuaria sostanziale, compresa quella che consisteva nello svuotare di senso le procedure elettorali, trasformandole in rituali confirmatori da cui era esclusa ogni possibilità di scelta “.

Non  prediligiamo gli accostamenti generici, ma, se analizziamo le finalità dell’Italicum, pur con le dovute differenze circa  la percentuale dei voti di lista, che dovrebbe in settimana passare alle Camere per il voto finale, l’accostamento appare evidente, anzi in peius, perché nel caso attuale, sono anche in bilico i voti di preferenza.

Non per niente, L’Anpi, la storica associazione dei partigiani, nel contesto del 25 aprile, ha manifestato sulle piazze, insistendo  sul pericolo di una svolta autoritaria, qualora venisse approvata tale legge.

In un comunicato pubblicato, di recente, sul periodico dell’Anpi si legge:

 

 “Una legge elettorale che consente di

formare una Camera (la più importante

sul piano politico, nelle intenzioni

dei sostenitori della riforma costituzionale)

con quasi i due terzi di

“nominati”, non restituisce la parola

ai cittadini, né garantisce la rappresentanza

piena cui hanno diritto per

norme costituzionali”.

 Per proseguire

“In un momento di

particolare importanza, come

questo, ognuno deve assumersi

le proprie responsabilità, affrontando

i problemi nella loro

reale consistenza e togliendo di

mezzo, una volta per tutte, la

questione del preteso risparmio

con la riduzione del numero

dei Senatori, perché uguale

risultato potrebbe essere raggiunto

riducendo il numero complessivo dei parlamentari.

Ai parlamentari, adesso, spetta

il coraggio delle decisioni, ricordando

che essi rappresentano

la Nazione ed esercitano le

loro funzione senza vincolo di mandato (art. 67 della Costituzione)

e dunque in piena libertà di coscienza.

Ai cittadini ed alle cittadine compete

di uscire dal rassegnato silenzio,

dal conformismo, dalla

propria voce per sostenere e

difendere i connotati essenziali

della democrazia, a partire dalla

partecipazione e per rendere

il posto che loro spetta ai valori

fondamentali, nati dall’esperienza

resistenziale e recepiti

dalla Costituzione. L’Italia

può farcela ad uscire dalla crisi

economica, morale e politica,

solo rimettendo in primo piano

i valori costituzionali e le

ragioni etiche e di buona politica

che hanno rappresentato il

sogno, le speranze e l’impegno

della Resistenza.

Dipende da tutti noi.

L’ANPI resterà comunque

in campo dando vita ad una

grande mobilitazione per informare

i cittadini e realizzare

la più ampia partecipazione

democratica ad un impegno

che mira al bene ed al progresso

del Paese”.

 

Questo è il messaggio sul quale, a prescindere da specifiche posizioni assunte nel passato da quest’organizzazione, dobbiamo tutti riflettere.

La disinvoltura di Renzi , ci procura  guai e disappunti in molteplici contesti, ma la sfida ai valori fondanti della Repubblica e della Democrazia rappresentativa, costituiscono  il vulnus fondamentale.

Quando il Governo volge verso la tirannia, ogni mobilitazione diventa lecita e irrinunciabile.

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 27/04/2015