25 Aprile: una testimonianza su tre protagonisti di quei giorni

Giancarla Pipino Carbonatto narra le vicende di Bimba, Falco e Tom Mix

La Signora Giancarla Pipino Carbonatto mi ha inviato questa vissuta e partecipe testimonianza su tre protagonisti della Resistenza che sottopongo con piacere ai Lettori di “Civico20News” (m.j.).

 

25 Aprile. Dietro questa data vi è un mondo di dolore e grandi gesti , di sofferenza e di speranza, il mondo della guerra.

Questa non vuole essere una descrizione di quei giorni, a questo provvedono già i grandi testi della Storia con la “S” maiuscola.

È piuttosto una testimonianza, un omaggio a tre protagonisti di quei giorni, una ragazza, classe 1921, e due ragazzi, classe  1926  e 1924 che ci fanno conoscere le loro storie… due  a lieto fine, la terza no.

Sono storie vere di cui, purtroppo, garantisco l’autenticità.

Il loro racconto, tramandato da figli e fratelli, ha il sapore dolce/amaro dei ricordi di chi ci ha lasciato… una foto color seppia un po’ sbiadita perché tanto, tanto guardata.

I loro nomi di battaglia sono Bimba, Falco e Tom Mix.

 

Bimba

Paola è una ragazza bellissima. Snella, bionda e con grandi occhi azzurri, è da sempre paragonata all’attrice francese Danielle Darrieux.

Nel paesino della Val Camonica dove vive, tutti la conoscono come Bimba, il nomignolo datole dalla nonna, una donna fiera con una treccia di capelli, ormai grigi, ma in gioventù biondi come i suoi. Lei qui è sfollata da Torino e aiuta la nonna, sarta del paese… ufficialmente.

Ufficiosamente, invece, fa la staffetta e porta ai partigiani sparsi sulle montagne intorno, cibo, abiti puliti e informazioni.

Ha cominciato all’indomani di un rastrellamento da parte di un plotone nazista, che ha deportato gli zii e la cugina, rei di aver nascosto una famiglia ebrea.

Finiranno alla Risiera di San Sabba, da cui tornerà solo la cugina, chiusa in una sua quieta pazzia per le violenze subite.

Un sabato pomeriggio, nella primavera del ’45, Paola sta stirando le camicie di un gruppo di partigiani, quando all’improvviso si sente un forte rumore passi  cadenzati, tra finestre e porte che si chiudono precipitosamente.

È l’ennesimo rastrellamento. Paola raccoglie alla rinfusa i panni e si guarda intorno… che fare? Poi l’idea. Si lega intorno ai fianchi esili una decina di camicie e, improvvisamente molto formosa, esce in strada e si avvia verso i monti, a passo tranquillo, come se andasse a prendere il latte alla stalla.

Un tenente, evidentemente attratto dalle sue “curve” le mette un braccio intorno alle spalle reclamando un “Küsschen”, un bacetto. Lei si ritrae e ridendo si avvia verso la fine del paese.

Riesce ad avvisare il gruppo partigiano che si preparava a scendere per passare qualche ora con le famiglie, evitando l’ennesima strage.

 

Falco

Belloccio, simpatico, spavaldo, un’autentica “faccia di bronzo”, Renato, alias Falco, è un ragazzo di appena diciotto anni quando riceve la cartolina di precetto.

Il 18 settembre 1943 Mussolini ha costituito la Repubblica Sociale Italiana e qui al Nord “andare a soldato” significa diventare un “repubblichino”.

Renato non ci sta e si dà alla macchia. Diventa Falco e in breve, grazie anche a un coraggio da leone (o forse bisognerebbe dire incoscienza) diventa il capo di un gruppo di giovanissimi che portano a segno molti attacchi nella zona di Ribordone, nell’Alto Canavese.

Renato è il primo a lanciarsi nella guerriglia, ma si tira indietro quando alcuni rubano o aggrediscono cittadini inermi credendoli fiancheggiatori.

In fondo è sempre il bravo figliolo di mamma Francesca.

E si arriva a quel maledetto 19 marzo 1945 quando, nel centro partigiano d’intendenza dell’Argentera di Rivarolo Canavese (Torino), è sorpreso insieme ad altri compagni da una pattuglia di repubblichini.

È un attimo.

Un amico di suo padre, da sopra un barroccio, lo riconosce, mentre lo trascinano insieme agli altri.

Senza pensarci un attimo crea un diversivo. Fa impennare il cavallo, e nello scompiglio generale grida «Scapa Renato, scapa!».

Renato scappa, convinto che anche gli altri e soprattutto il suo amico Sergio, lo abbiano seguito nella fuga e riesce a raggiungere i monti.

Purtroppo agli altri la fuga non riesce. Ripresi, sono condotti a Volpiano, dove per tre giorni sono sottoposti a continui interrogatori e torture.

Prima di essere fucilato, Sergio scriverà una lettera alla famiglia, dove chiede scusa a Renato, confessando di avergli nascosto per scherzo la bicicletta.

E Renato per tutta la vita rimpiangerà di non essersi girato indietro per vedere se l’amico lo stava seguendo.

 

Tom Mix

La scheda dell’Istituto Piemontese per la storia della Resistenza recita:

Nome di battaglia: TOM MIX, Qualifica ottenuta CADUTO, Ultima formazione 11° DIV GARIBALDI dal 01.12.1943 al 02.04.1944,  caduto il 02.04.1944       nel Comune di        PAESANA.

Causa della morte: FUCILAZIONE

Ma, dietro queste fredde parole, c’è lui, Oscar, ragazzo di vent’anni, figlio unico e adorato.

La guerra stava per finire… o meglio questo era il desiderio di tutti. 

Scappato l’8 settembre dalla caserma di Pinerolo, dopo alcuni mesi di vita sulle montagne, il primo dicembre 1943 entra nell’11° Divisione partigiana Garibaldi.

Infatti, dopo la dichiarazione di guerra alla Germania del governo Badoglio, il 13 ottobre 1943, il comando generale delle Brigate Garibaldi aveva diramato le “Direttive d'attacco”, a favore dell'organizzazione e dell'intensificazione della guerra partigiana, caratterizzato da una rivendicazione della legalità e da un appello alla lotta senza quartiere contro gli occupanti tedeschi e i militanti del nuovo fascismo repubblicano.

Il gruppo è attivo in Val Varaita.

Arriva la primavera del 1944. A Oscar e il suo gruppo viene comandato di ricongiungersi con alcuni partigiani francesi. Con loro hanno un prigioniero, un “repubblichino” che era stato riconosciuto da uno del gruppo.

Ma il cammino è difficile e, a un certo punto, si impone una scelta “uccidere il prigioniero o lasciarlo andare”.

Sono tutti stanchi di morte e decidono di lasciarlo andare.

Ma a Casteldelfino restano bloccati dalla neve. Nascosti nel paese, attendono di poter ripartire.

Arrivano i tedeschi che, su delazione del repubblichino, iniziano un rastrellamento a tappeto della zona. Dopo una battaglia tra le case, vengono fatti prigionieri.

Li portano nella caserma di Saluzzo, dove subiscono violenze e torture, alla ricerca di nomi ed informazioni.

Dopo una settimana vengono condotti a Paesana, centro di smistamento dei molti “rastrellati” per le vallate del Sud Piemonte. Da lì alcuni vengono spinti su treni piombati, alla volta della Germania.

Oscar e altri nove sono condotti davanti al cimitero, dove vengono fucilati “a scopo dimostrativo”.

Ecco le storie di questi ragazzi che, a vent’anni, invece di scuola, studio, viaggi, hanno affrontato violenza, fame, paura… in una parola GUERRA.

Oggi dopo settant’anni, c’è purtroppo il rischio che il ricordare questa tappa, terribile ma catartica, della nostra Storia venga percepita, soprattutto tra i più giovani, come una noiosa commemorazione di eventi ormai sepolti.

Ben venga dunque la festa nazionale, ma che sia memoria non solo di morte bensì di un periodo veramente vitale.

Perché, la maggior parte, erano ragazzi nel fiore degli anni, non combattenti inquadrati nel proprio ruolo.

Erano persone coraggiose, con tanta, tanta voglia di vivere… LIBERI!

Giancarla Pipino Carbonatto

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Articolo pubblicato il 25/04/2015