La nuova Torino che ''gratta'' nel cielo

Momento di analisi dedicato ai nuovi grattacieli e al futuro della nostra terra

Urbanistica: disciplina destinata a progettare zone d’insediamento demografico in modo che vita e attività produttive, si possano svolgere nelle migliori condizioni possibili.

Non è certo una scienza moderna, da Babilonia all'antico Egitto, dai Sumeri alla Roma imperiale, l'uomo ha sempre prestato cura per le proprie città, simbolo della grandezza e della civiltà d’un popolo. Urbanistica significa dunque: "arte di costruire una città", e lo sa bene la vecchia storia di Torino.

Come molte altre città italiane, Torino ha un passato di grande interesse storico, del quale restano romane vestigia. Porta d'accesso per la vicina Gallia, ai tempi del primo, grande Giulio, Augusta Taurinorum fu città sul serio dal I° sec. D.C. e dell'antico tracciato conserva il rigoroso schema del centro storico.

Dopo i secoli bui, l’urbanistica della città ha seguito l'andamento della storia e dei popoli, allungandosi verso il Po, risalendo verso ovest e poi, mutando in città fortezza circondata da bastioni finché, superati da cannoni sempre più potenti, fecero spazio a quella che oggi è una cinta di viali e trafficati corsi.

Il ‘600 e il ‘700 furono tempi d’una città icona d’un barocco unico e perfetto. Tempo di chilometri tra protettivi e sapienti portici, che hanno incantato artisti e filosofi d’un ‘800 signorile e colto compagno d’una ricca città sabauda. Città guerriera, madre del Risorgimento, dapprima capitale del regno di Sardegna e poi del regno d'Italia, un pezzo dopo l'altro, Torino bombardata e risorta, è arrivata al nostro tempo veloce e indaffarato nel correre dietro a sé stesso.

Ogni transito storico ha lasciato la sua traccia, fino al miracolo economico, ai nuovi quartieri popolari, a un'industria che ancora le ha cambiato il volto nello spazio, e per la prima volta, l’urbe, fu metropoli.

Dall'alto, Superga, Santuario mariano, dal ‘700 ne ha seguito il profilo basso ed elegante, finché Antonelli toccò il cielo con quella Mole che non ha uguali nel mondo. Mai la basilica avrebbe pensato che qualcun altro avrebbe osato andare oltre.

Nuovo millennio, altre novità dal nome esotico e dal profumo americano hanno fatto capolino. Il loro nome: grattacieli. Monoliti, templi della verticalità da sempre simbolo di potere, supremazia; sfida conficcata nel cielo, forse lanciata ai misteriosi equilibri imposti da ogni ipotetico Dio già dai tempi della vecchia Babele.

2015. Surclassando palazzi che già avevano una bella presenza, due nuove torri si sono arrampicate nel cielo, tra il mormorio della gente, qualche indifferenza e non poche dispute. I due colossi ora si scrutano, l'uno firmato Renzo Piano, l'altro made in Fuksas, mostri sacri dell'architettura, italici ambasciatori della matita apprezzati nel mondo, ma che stavolta, forse non ci hanno azzeccato.

Nel giro d'un battito di ciglia, i giganti hanno mutato il volto di questa due volte millenaria città, lasciando presagire il suo nuovo profilo; sarà migliore?

Poco conta adesso se quello del San Paolo debba essere più o meno alto dell’obelisco alla Regione, esistono ormai, e si dovrà imparare a convivere con loro. La polemica sterile e fratricida, italiana eredità di quella storia tra Romolo e Remo, però imperversa, inutile diatriba fine a se stessa. Bisticci tipici della nostra mediocrità, italico autolesionismo "originale"; guelfi e ghibellini a tirar sempre la corda.

Eppure, questa nostra Patria è ancora meta ambita lo stesso; in verità, campando molto di rendita sull'eredità del suo passato remoto e d'un Rinascimento durato troppo poco ahimè, eppure, ancora insuperato.

I due grattacieli, ficcati nel loro fiero immobilismo, capostipiti d’una prossima, verticale, invadente epopea di nuove sfide da vertigini, mirabilie a base di cristallo, acciaio e cemento, hanno piantato radici. Non son belli di per sé; nulla più li smuoverà. Già si prevedono nuove cattedrali del potere e del prestigio, competizione aperta e già perduta con altre città.

Non è difficile immaginare la prossima sagoma di una Torino dai nuovi e ambiziosi progetti, sebbene l'urbanistica, di questi tempi non più da re, muti parere col cambiar della casacca. I funghi sorgeranno a grappoli, segnando i nuovi limiti di questa nostra epoca arrogante e distratta. Sarà un errore e c’è il suo perché.

L'Italia non è il Texas, non è Dubai. È una stretta lingua di terra male asfaltata, ora abitata da disattenti figli del mito americano, ma sempre un po' in ritardo con Dallas e New York. C'è un momento in cui i grattacieli si fanno. Ce ne sarà uno in cui si dovranno smontare, è fisiologico, è il tempo imposto dal materiale.

Talvolta, la vita di certi nuovi monumenti, in questa nostra era instabile, è alquanto più cagionevole del previsto. Palazzo Nervi insegna, sontuoso fabbricato anch'egli di cristallo e cemento; dimenticato rudere piange se stesso. Capolavoro architettonico, stella spenta nel fugace tempo di cinquant'anni, giace nascosto tra gli alberi come polvere sotto il tappeto. Nessuno lo usa, nessuno lo smonta; cattivo esempio di come si usa fare spesso da noi è un severo monito ai nuovi monumenti che lo guardano dall'alto.

L'architettura è la più imponente, la più magnifica, la più arrogante delle arti. Lascia sulla pelle della Terra la testimonianza del tempo e dell'uomo. A volte, megaliti eterni destinati a sfidare i millenni, e talvolta, passeggeri ingombri senza troppo stile.

Le città sepolte e riesumate dal tempo riportano opere di straordinaria, matematica bellezza. Cosa potremo prevedere d’una Torino lasciata ai posteri? Ipotizzare vuol dire fermarsi a riflettere su una lunga lista di elementi.

Se è vero quel che dice Renzo Piano: davanti a noi c’è solo il futuro, non è detto che renderlo americano sia la miglior eredità da impiantare in una terra già molto stanca delle nostre pretese. Non è tanto importante stabilire se i grattacieli debbano essere più o meno alti della Mole, quanto piuttosto se siano davvero un prodotto della nostra arte o altro.

Di certo cambieranno la maestosa vista della catena alpina che da sempre è il più bello sfondo di questa città, vero capolavoro d'arte naturale. Quello che verrà ha un sapore di ben altro ''gusto'', ma è questa la direzione che ha scelto la nostra sviluppata, moderna e distruttiva civiltà. Assecondarla, a chi giova?

Abbiamo iniziato dalla parola: urbanistica. Non è male finire con: architetto. È d’origine greca, formata dal prefisso Arké e tèkton, e può essere riassunta in: primo, superiore creatore; un bell’impegno! Già da prima del Partenone, l'architettura si è evoluta per assecondare i vizi e i bisogni primari dell'uomo. Oggi i parametri sembrano cambiati e i maestri della millenaria arte si contendono il primato come delle star. È il grattacielo il miglior metro di misura della lungimiranza e delle abilità dei nuovi "creatori"?

Come tante innovazioni, oggi il grattacielo è un prodotto superato, impegnativo dai punti di vista energetico e ambientale, simbolo per nuove realtà mondiali, cattedrali al petrodollaro lontane dalla nostra decadente e stanca vecchia Europa. Oggi la sfida intelligente è la sostenibilità del territorio, la casa ecologica, l'energia rinnovabile, l'attenzone all'ambiente; è un'inversione di tendenza nei confronti del Mondo che non respira più.

Qualcuno ha capito persino oltreoceano, qualcun altro no.

Siamo in ritardo. È lecito sperare che la vecchia metropoli trovi la sua giusta strada? Purtroppo, tristemente no! Ancora in odore di signorilità sabauda ha ceduto ai superati miti di un'urbanistica svenduta agli interessi di pochi, parcheggio a cielo aperto per un collettivo sfuso che poco sa della città, delle sue valli, della sua secolare storia.

Dall'alto della collina la basilica osserva, scuote la sua cupola ardita e dialoga coi monti che ha di fronte; sa che non riusciremo mai a far tra loro né una quinta, né ombra, ma a guardarla bene, non sembra più sorridere contenta.

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Articolo pubblicato il 22/04/2015