L'ottimismo

Critica o elogio?

Dissertare sull’ottimismo in questi tempi sembra un esercizio fine a sè stesso e pertanto improduttivo non soltanto di qualsiasi risultato ma addirittura di qualsivoglia incentivazione anche modesta a concorrervi. 

 Su questa linea si è ormai attestata l’intera società italiana, dopo che per anni è stata frastornata dalle previsioni più tragiche sulla nostra economia, sull’aumento della disoccupazione, sulla inconsistenza e sull’inerzia dei partiti politici, sulla perdita del valore di acquisto dell’euro, sull’immigrazione e così via: previsioni peraltro, è corretto riconoscerlo, puntualmente verificatesi.

Questa tendenza al pessimismo non è finora venuta meno ed anzi, in prossimità della campagna elettorale delle regioni, sta raggiungendo via via un’enfatizzazione sempre più marcata, tanto che lo sport nazionale più praticato è sicuramente quello della denigrazione a tutti i costi anche là dove sembrerebbe potersi intravvedere qualche spiraglio che consenta al nostro Paese di uscire finalmente dalle insidie che ne hanno minato e tuttora ne logorano la solidità.

E’ stato detto, al colmo di questa tendenza al pessimismo, che quand’anche si intravveda un qualche sia pur lieve miglioramento (in particolare nella nostra economia) esso non appare mai strutturale bensì soltanto congiunturale e perciò stesso inaffidabile.

Ma se non può disconoscersi che una buona parte della realtà invocata dai pessimisti sia fondata, ci chiediamo per contro quanto e in che modo a tale realtà abbia concorso e tuttora concorra il pessimismo di maniera anche scopertamente pretestuoso e l’assenza di qualsiasi vena di ottimismo ancorché espressa con tutta la prudenza e le riserve che la situazione richiede.

Anche se in un contesto storico ben più drammatico e cruento, fu Winston Churchill a dare una definizione dell’ottimismo che ci sembra applicabile anche ai nostri giorni: “L’ottimista vede opportunità in ogni pericolo, il pessimista vede pericolo in ogni opportunità”!

Predicare l’ottimismo non vuol dire chiudere gli occhi di fronte alla cruda realtà ma è o vuole essere soltanto una sollecitazione o, se si vuole, una spinta a sostenere l’aspettativa che gli attuali errori (anche questo termine fa parte dell’ottimismo!) vengano eliminati una volta per tutte o, a voler tutto concedere, che vengano quantomeno circoscritti nel più breve tempo possibile entro limiti sopportabili per l’intera società e comunque inattaccabili per il loro merito da molte delle geremiadi attuali, conclamate soltanto per interessi di parte o di partito.

In conclusione, è forse bene considerare positivamente quelle rare minoranze che sostengono come l’attitudine a giudicare in modo drammatico lo stato e il divenire della realtà ( purchè non costituisca un espediente o un banale artificio per nascondere le cose ) rappresenta comunque una forza non lieve per far girare il volano della politica e, più in generale della società, dopo anni di frizione e di colpevole inerzia.

In fondo il pessimismo di molti, più che un richiamo alla realtà, è oggi soprattutto una fonte di paura e di angoscia per il presente e per il domani, ed allora sembra più utile darci una mossa e ricordare quanto disse, a margine di una conferenza, Pier Paolo Pasolini, che di pessimismo certamente se ne intendeva  "La mia è una visione apocalittica: ma se accanto ad essa e all’angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui, tra voi, a parlare”.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 21/04/2015