Indesit: la Whirpool chiude lo stabilimento di None

L'assenza di politica industriale alla base della crisi

 La WHIRPOOL, il gruppo americano degli elettrodomestici che aveva acquisito la Indesit, oggi in streaming, ha comunicato al Ministero dello Sviluppo Economico la chiusura di tre stabilimenti in Italia tra cui None.

La Indesit un pezzo di storia degli elettrodomestici italiani, nata nel pinerolese, termina così malamente la sua storia di successi e di elettrodomestici che hanno accompagnato il boom economico del Paese.

In grande competizione con la lombarda Ignis e con la friulana Rex/ Zanussi e la veneta Zoppas era il sogno delle mamme e delle casalinghe degli anni 60 e 70 che vedevano cambiare la loro qualità della vita con l'acquisto della lavatrice, del frigorifero e del televisore.

Errori industriali, errori della famiglia Merloni (molto vicina a Prodi)... l'hanno portata nelle braccia della Whirlpool che in streaming ha comunicato la ferale decisione oggi.

"Paghiamo la mancanza di una politica industriale - afferma Mino Giachino, responsabile nazionale trasporti Forza Italia - che dopo la esperienza innovativa di Donat-Cattin e dei suoi professorini torinesi (Gros-Pietro, Zanetti, Nasi, Gatti e Filippi) seguita poi in toni molto meno ambiziosi da Prodi e Marcora non ha più avuto un seguito importante, aggravata dall'era delle privatizzazioni per far cassa".

Giachino punta anche il dito sull'assenza di una politica industriale accompagnata dalla minore competitività dei nostri territori:

"Oggi l'Indesit chiude in Piemonte la sua storia; domani sarà così per gli altri che in questi anni sono stati acquisiti da gruppi stranieri".

Da tutto ciò si può evincere che il Jobs act non basta.

Negli ultimi tre anni il forte aumento della imposizione fiscale, le mancate riforme strutturali della energia, della logistica e della burocrazia hanno reso meno competitivo il Paese e molti gruppi (vedi Pirelli) sono stati acquisiti dai gruppi stranieri.

"In questa vicenda - sottolinea Giachino - salta anche un’altra convinzione e cioè che la cosa importante era mantenere la sede strategica perché a None 90 addetti erano impiegati nel Centri Ricerche. Il Piemonte e l'Area Metropolitana di Torino perdono un asset importante e sono sempre più indeboliti, anche se nel terzo Piano strategico di FASSINO non se ne parla".

Senza una politica industriale, senza le riforme strutturali e senza la realizzazione delle infrastrutture di trasporti che colleghino meglio al mercato europeo e mondiale il rischio di ascoltare in streaming altre decisioni dolorose è molto forte.

"Il Paese - insiste Giachino - che negli anni della crisi ha perso ben 9 punti di PIL e centinaia di migliaia di posti di lavoro non se lo può permettere. È ora di cambiare veramente verso alla nostra politica economica nazionale. Se ormai la manifattura non ha più tabù insediativi è chiaro che la rete di trasporti e di logistica fa la differenza ma da noi Delrio prima ancora di aver capito bene il nuovo mestiere dice che è finita l'era delle grandi opere. Dimenticando che il Presidente di Confindustria Merloni dichiarava che senza una rete logistica efficiente avrebbe spostato gli stabilimenti in Polonia".

Un altro motivo per lavorare ancora di più a un programma di rilancio di Torino e del Piemonte che non possono pensare di farcela solo con il loisir, la cultura e il turismo.

 

 

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Articolo pubblicato il 18/04/2015