La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Il delegato Cesare Rossi

Siamo a Torino, nel mese di aprile del 1915, quindi un secolo fa, quando è imminente lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il 25 marzo, al Valentino, è stata uccisa la prostituta Angela Eugenia Serra, di 36 anni, detta “Tilde la rossa”. L’autore dell’efferato omicidio, sicuramente un sadico e forse un serial killer, non sarà mai scoperto. Mentre le indagini sull’omicidio di Angela Serra sono ancora in  corso, la squadra mobile arresta due ladri pregiudicati, come leggiamo in un articolo anonimo della cronaca cittadina de “La Stampa” del 1° aprile, sotto il titolo « Un evaso dal reclusorio di Gaeta / e un pericoloso ladro arrestati dalla squadra mobile» e col sommario « Sequestro di molta refurtiva» (m.j.).

 

Un importantissimo arresto è stato compiuto dalla squadra mobile di Torino e precisamente dal delegato Cesare Rossi e dai suoi agenti. Per raggiungere il suo scopo, il delegato dovette lungamente faticare, travestirsi molte volte, e fare laboriosi appostamenti.

 

Il funzionario si traveste

Il delegato Rossi era venuto in questi ultimi giorni a sapere che a Torino e nei dintorni circolavano due malfattori pericolosissimi, i quali riuscivano abilmente a far sparire le loro traccie, ed uno dei quali, anzi, doveva essere un evaso dal carcere. Incaricato delle indagini dal capo della squadra mobile, avv. Orsini, il delegato Rossi si mise con lena instancabile alla ricerca dei malfattori e riuscì finalmente a trovare le loro traccie nella «Trattoria dello Scudo di Milano», all’angolo del corso Regina Margherita e piazza Emanuele Filiberto, presso la fermata del tram a vapore della Venaria Reale.

Per giungere a questa scoperta, il delegato impiegò parecchi giorni. Egli, per non farsi conoscere nei luoghi equivoci, che dovette frequentare ripetutamente, si travestì, ora da commerciante di campagna, ora da cocchiere, ora da mendicante, ora da barabba. Il più interessante di questi travestimenti egli dovette compierlo quando scoperse nei pressi del Regio Parco una locanda, nella quale i due ricercati avevano una specie di ripostiglio. Egli riuscì, vestito con abiti laceri, e recando un paio di occhiali turchini, a rtimanere parecchio tempo inosservato in questa trattoria, mentre in una camera attigua alcuni individui, conoscenti dei malfattori stavano precisamente parlando di essi. Fu così che il Rossi poté raccogliere tutte quelle informazioni che gli servirono per arrivare sulla buona pista.

 

Un arresto emozionante

A mezzogiorno dell’altro ieri, il delegato Cesare Rossi, il maresciallo Cioppa, la guardia scelta Patacchini, e la guardia Inguscio, tutti agenti in borghese della squadra mobile si recarono alla «Trattoria Scudo di Milano» ed entrarono nel locale prospiciente il corso fingendo di essere avventori qualunque. Nella prima stanza, le persone che il delegato cercava, non c’erano. Queste si trovavano nella seconda stanza, una specie di retro-bottega, e stavano mangiando ad un tavolo posto presso una uscita secondaria, che metteva nel cortile. Si ritenevano così preparati a qualsiasi fuga improvvisa. Ma il delegato e gli agenti a loro volta, erano pronti anch’essi, e, sapendo per informazioni precedenti che i malfattori erano armati di rivoltella, si erano pure premuniti ed entrarono nel retro-bottega della trattoria tenendo le mani sul calcio delle loro rivoltelle. Entrati nella stanza, essi notarono subito la coppia che cercavano, ma finsero per un istante di non averla avvertita, improvvisamente, però, i malfattori si accorsero che gli avventori entrati di fresco erano guardie e si alzarono di scatto per uscire.

Allora il delegato e le guardie si buttarono loro addosso e li circondarono, con le rivoltelle in pugno. Uno dei due delinquenti tentò di estrarre a sua volta l’arma che teneva in una tasca dei pantaloni, ma ne fu impedito da uno degli agenti, che lo afferrò vigorosamente per un braccio. Allora ambedue furono ammanettati e trascinati in Questura. Qui il delegato Rossi cominciò l’interrogatorio e identificò uno di essi per Carlo Braida, di Lorenzo, da Saluzzo, di anni 26, residente a Caraglio, venditore ambulante e pregiudicato. L’altyro disse di chiamarsi Matteo Guerra, e presentò un certificato, che corrispondeva a questo nome.

 

Bottino di oggetti d’oro

Nello stesso giorno il delegato si recò nella cantina del Regio Parco, cui abbiamo già accennato, e sequestrò un pacco voluminoso contenente una grande quantità di oggetti d’oro sul tipo di quelli che usano adoperare i contadini, cioè anelli, spille e catene di foggia grossolana. Soltanto di anelli, ve ne erano oltre a 300 infilati in una cordicella. Il valore di questi oggetti era complessivamente di tre mila lire.

Da indagini immediatamente compiute e da precedenti denunzie risultò che quegli oggetti erano stati rubati a Pinerolo mediante scasso nella notte dal 22 al 23 marzo dal negozio dell’orefice Angelo Bresso. Naturalmente il funzionario mostrò questi oggetti ai due arrestati i quali si mantennero sulle negative, dichiarando di non conoscerli; ma il funzionario non si dette per vinto, poiché sapeva che nella cantina dove aveva trovata la refurtiva, avevano certamente abitato i due messeri.

 

La storia di una evasione

Intanto rimaneva da stabilire se il secondo degli arrestati avesse dato il nome autentico od il nome falso.

Il delegato aveva, a questo proposito, i suoi dubbi, poiché alle sue insistenti domande per sapere dove abitasse, il Guerra si ostinava a rispondere di avere la memoria corta e di non ricordarsi, al di là di due mesi, quanto gli fosse accaduto. Tutto ciò finì per convincere il funzionario che il Guerra aveva dato nome falso. Ed infatti egli riuscì a stabilire, mettendosi anche in relazione con l’Autorità di P.S. di altre città, che l’arrestato si chiamava realmente Umberto Bordone, di Giovanni, nato ad Asti, di anni 35, evaso dal penitenziario di Gaeta fino dal 2 novembre dello scorso anno, dove si trovava da un anno e mezzo e dove avrebbe dovuto scontare la pena di cinque anni e due mesi di reclusione per furto compiuto in danno dell’orefice Allegra De Benedetti, in Acqui.

Appena avute telegraficamente queste notizie, il delegato le comunicò al sedicente Guerra, il quale, stretto dalle domande, finì per ammettere di essere il Bordone e per confessare la sua evasione dal reclusorio. Narrò, anzi, al funzionario la drammatica storia della sua evasione. Disse che era riuscito, con altri quattordici carcerati, a praticare un buco in un soffitto del penitenziario ed a calarsi una notte in uno degli uffici della Direzione, dal quale gli era stato facile uscire all’aperto, insieme ai compagni di prigione. Appena fuggito, aveva dovuto vagare lungamente per i monti circostanti Gaeta senza osare di cercare asilo per timore di farsi nuovamente arrestare, come era accaduto agli altri evasi con lui, che erano stati sorpresi e internati nuovamente nel reclusorio poche ore dopo la fuga.

Egli riuscì, sempre vestito da galeotto, conducendo un’esistenza tormentosa e randagia, nutrendosi con frutta rubata, a viaggiare nascostamente per tre settimane attraverso quei monti finché non raggiunse la campagna romana. Qui dalla pietà di alcuni pastori ebbe gli abiti coi quali poté cambiare la sua triste tenuta di galeotto.

Di là, sempre a piedi, e vivendo ora di elemosina, ora di rapina, egli giunse fino in Piemonte, dove, unitosi ad altri ladri, visse commettendo furti, specialmente nel genere in cui era specializzato. Il suo prediletto aiutante fu il Braida, un ladro abbastanza abile.

 

Una serie di furti

Dopo avere, come abbiamo detto, negato che gli oggetti d’oro fossero in suo possesso, il Bordone finì per dichiarare di averli rinvenuti sotto una panca al Valentino.

Intanto il funzionario riuscì a stabilire che gli stessi individui avevano compiuto un altro furto a Novara, a danno del maresciallo dei carabinieri a riposo Carlo Stangalino. Essi avevano rubato a quest’ultimo, nella notte del 1.° del mese scorso, parecchi oggetti d’oro ed alcune cartelle di Rendita al portatore. Anche questo fatto fu dagli arrestati negato, ma il funzionario trovò nella cantina del Regio Parco le polizze rappresentanti il pegno degli oggetti rubati. Allora i due confessarono, ma dissero che anche quegli oggetti li avevano trovati sotto una panca. Una simile risposta diede il Bordone a proposito del certificato intestato al nome di Guerra, che egli aveva prodotto come suo. Dichiarò, cioè, che lo aveva trovato per combinazione a Porta Palazzo. Ma compiute ricerche, il funzionario constatò che Matteo Guerra è il nome di un ottimo giovane, nativo di Torino, il quale dal gennaio si trova sotto le armi, essendo appartenente alla classe del 1891. egli ora è addetto al Distretto di Susa. Invece il certificato prodotto dal Bordone era in data dell’8 marzo: quindi evidentemente l’evaso l’aveva rubato e poi falsificato.

Ancora un particolare, a proposito di questo singolare tipo di malfattore, è venuto in luce; quando il Bordone fu arrestato per il suo precedente furto commesso ad Acqui, era riuscito a fuggire; ma, inseguito dai carabinieri, venne rintracciato sul treno Asti-Torino. Qui, però, mentre i carabinieri stavano per ammanettarlo, egli aveva aperto lo sportello e si era gettato dal treno in corsa, rimanendo incolume e dandosi alla fuga per la campagna. Il suo arresto era poi avvenuto più tardi a Torino. 

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Articolo pubblicato il 08/04/2015