La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Omicidio-suicidio di una coppia in Borgo Dora, nel 1923

L’omicidio-suicidio in ambito di coppia è un crimine piuttosto frequente nella nostra epoca. È descritto dalla cronaca nera e analizzato dai testi nelle sue varie declinazioni e motivazioni, con protagonisti coniugi, conviventi, amanti motivati da imminente o precedente divorzio, abbandono reale o temuto da parte del partner, eutanasia, gelosia, vendetta, altruismo, problemi economici, familiari, alcoolismo, abuso di droghe, malattia mentale.

Casi del genere si sono verificati anche nel passato: riportiamo un articolo anonimo della cronaca cittadina de “La Stampa” del 23 marzo 1923 che, sotto il titolo «Fredda l’amante gelosa e si uccide» e con l’occhiello «La stanza parata stranamente coi fiori, i ceri... e le carte da giuoco», descrive un omicidio-suicidio di coppia avvenuto in via Rivarolo, nel Borgo Dora (m.j.).

 

Poco dopo le ore 12 di ieri il dott. Brunetti, funzionario di guardia alla Questura Centrale, veniva avvertito a mezzo telefono che in una stanza d’affitto di via Rivarolo, 10, erano stati rinvenuti i cadaveri di un giovane e di una giovane. Entrambi presentavano al petto il foro prodotto da un proiettile di rivoltella, che aveva provocato in entrambi la morte fulminea. Non era ancora possibile però stabilire se si trattasse di un omicidio seguito da suicidio, o se invece i due non avessero di comune accordo stabilito di togliersi la vita.

 

Sono troppo gelosa

Da circa un paio di mesi aveva affittata una stanza ammobiliata, al 3.o piano della casa segnata col N. 10 di via Rivarolo, certo Nicolò Asciutto, di anni 19, un bel giovane bruno, che vestiva con molta ricercatezza. Egli presentò alla padrona di casa, come sua signora, una piacente ragazza dalla chioma corvina, che disse chiamarsi Maria Demarchi, di anni 24. Aspettavano un alloggio, che era stato loro promesso — cosi disse il giovane alla padrona — da un momento all’altro: pregava quindi la proprietaria di voler tollerare che momentaneamente gli sposi avessero alloggiato insieme in quella cameretta. Sarebbero stati molto allo stretto, ma erano tanto giovani, che lo star pigiati non dava loro nessun incomodo.

La padrona acconsenti. I due colombi sembravano tanto buoni, tanto innamorati, e spandevano all’intorno un’atmosfera di felicità che rallegrava la casa. Sempre occupati di loro, non era possibile socchiudere l’uscio della loro stanza senza scoprirli abbracciali in qualche angolo. Ma questo... Eden di delizie durò ben poco. Il giovane era sempre rimasto buono, affettuoso, cortese di modi, timoroso di dar disturbi. La sua voce non si udiva quasi mai. Non cosi la donna. Da qualche tempo essa sembrava presa da strane crisi di nervi, che la facevano piangere per un nonnulla, gridare, rimproverare a torto il suo compagno. Le scene che avvenivano nella piccola cameretta dilagavano attraverso le sottili pareti e venivano udite da tutti. La ragazza era gelosa, di una gelosia pazza, inconsulta, che le faceva dubitare di tutto e di tutti. Ogni fuscello diveniva un trave ai suoi occhi.

Era tanto bimbo il suo Lino, ed era tanto bello, che certamente tutte le donne volevano portarglielo via!

Ormai alla padrona essa confidava le sue ansie, i suoi dubbi, e alle persuasive parole di lei, che cercava di convincerla come tutte quelle fisime non fossero che un parto della sua fantasia, soleva rispondere: «Sono una disgraziata, lo so! Io, che vorrei renderlo felice, gli rendo invece la vita impossibile; ma non posso fare diversamente; credo che non potrò cambiarmi mai!».

E nella cameretta seguitavano di tanto in tanto le consuete baruffe:

Perché ti cambi il colletto? Perche ti pettini con tanta cura? Ah! tu hai un’altra donna, ne sono sicura: non mi vuoi bene: è finita, mi ucciderò, sì, mi ucciderò per ridonarti la tua libertà. Sonò troppo vecchia per te.

 

Se potessi tornar libero!

Le uniche ore di tranquillità per l’Asciutto erano quelle che passava al lavoro, poiché egli faceva il parrucchiere. Rincasando aveva sempre timore di trovare la sua Maria coi nervi... in giostra.

La padrona, dopo avere avuto le confidenze della giovane, ebbe anche quelle di lui. Il poveretto non sapeva più come contenersi. Se usciva solo, quando ritornava a casa doveva fare un dettagliato racconto dei luoghi dove era stato, con chi aveva parlato, e guai se essa intravedeva l’ombra di una donna. Quando invece uscivano insieme era ridotto a camminare guardandosi sempre la punta delle scarpe. Alla fin fine era una cosa ridicola rovinarsi la vita a quella maniera. Lui alla sua Maria voleva un mondo di bene ancora, nonostante i suoi difetti, ma non si sentiva però di sopportare il peso di quella unione in quello condizioni. Fu nello sfogare l’animo suo esulcerato che il giovanotto confessò come essi non fossero sposati. La cosa non contava, perché egli aveva avuto sempre delle intensioni serissime, ma alla fin fine, al punto in cui erano arrivati, era assai meglio che egli avesse involontariamente saputo conservare la sua libertà.

Basta che se ne vada - disse una volta dopo una delle solite, crisi - sono disposto a spendere qualunque somma. Farò debiti, farò qualsiasi cosa, ma avanti così non vado più!

Fu appunto in quell’epoca che esasperato da quell’inferno, andò a parlare ad un agente investigativo della Sezione, domandando consigli sul come regolarsi per liberarsi da quella furia. Poi sembrò che egli dimenticasse i suoi propositi. Fra i due ad un tratto era scesa una calma confortante. Per qualche giorno la giovane non pianse più, non gridò più; sembrava anzi avesse ritrovati il buon umore dei primi giorni. Aspettava il suo Lino all’entrata, gli gettava le braccia al collo ed entrambi sparivano in quel piccolo nido fabbricato per la loro felicità.

Ieri sera - così ci narrò la padrona dell’alloggio - erano usciti calmi, tranquilli, allegri, passando la avevano salutata ed essa affacciatasi alla finestra li aveva visti allontanarsi sottobraccio stretti stretti. Erano veramente una bella coppia. Tutte due alti, flessuosi, bruni, distinti.

Hanno la gioventù che è il più grande dei patrimoni, se avessero solamente un po’ di giudizio potrebbero vivere felici - aveva detto la signora richiudendo la finestra. A sera tarda li aveva sentiti entrare e chiudersi in camera loro. Sembravano felici: canticchiavano sotto voce e ridevano. «Finalmente - aveva pensato la padrona - essa ha messo nel dimenticatoio la sua pazza gelosia! Almeno quei poveretti potranno vivere contenti tutti e due». La buona donna nella sua compassione comprendeva tanto la disgraziata attanagliata dal dubbio di essere tradita, quanto il simpatico giovane, timido e rispettoso. Le sue previsioni erano errate; si stava preparando nella stanza vicina un dramma terribile.

Nella mattina verso le 9 un garzone parrucchiere era venuto a chiamare l’Asciutto a nome del suo principale irritato del ritardo. Il giovanotto rispose attraverso l’uscio, che si era attardato a letto non sentendosi troppo bene ma che fra un quarto d’ora, il tempo di vestirsi, si sarebbe recato in negozio. Mentre terminava il colloquio la proprietaria uscì per far delle spese e nella casa, oltre i giovani chiusi in camera, non rimaneva ormai più che la servetta.

Costei, verso le 10 e un quarto, mentre stava rigovernando in cucina sussultò sentendo il rumore di uno sparo, pochi secondi, poi un altro colpo che le sembrò più forte del primo rimbombò nell’appartamento. Spaventata la ragazza fuggì nel corridoio, si appressò alla porta del creduti coniugi e bussò. Ma nessuno le rispose.

 

La macabra messa in scena

Mentre spaventata stava per aprir l’uscio di casa e fuggirsene per le scale, ritornò la padrona. Sul principio essa credette, che la serva avesse avuta un’allucinazione, ma poiché allo sue reiterate chiamate ed all’affannoso battere contro l’uscio nessuno rispondeva, allora anche nell’animo suo entrò il terribile sospetto che oltre quella porta, qualcosa di grave, dì irreparabile era avvenuto. Scese per questo ad avvertire la vicina sezione di P. S. ed il commissario cavaliere Alloati, seguito da agenti e da carabinieri specializzati si recò immediatamente sul posto.

L’uscio fu in breve aperto e agli occhi degli astanti apparve la macabra scena. La finestra della piccola stanzetta era chiusa. Sul cassettone ardevano due candele che illuminavano d’una luce debole e tremolante la stanza. Accanto alle candele, sul tavolino da notte e sul davanzale erano stati disposti mazzi di fiori e fra questi due carte da giuoco: il fante e la regina di cuori!

Nel letto piuttosto angusto, si vedevano allungate due forme umane. Quando la luce entrò a torrenti dalla finestra spalancata si riconobbero l’Asciutto e la Demarchi entrambi semi-vestiti col petto della camicia aperta e tutto coperto di sangue. I neri capelli della giovane sparsi sull’origliere facevano risaltare ancor maggiormente le pallidezza dei volti dei due ai quali la morto affinava i lineamenti componendoli in quella pace, quella calma, quella felicità, che essi si erano illusi di non potere né sapere ritrovare sulla terra.

Come ed in qual modo era avvenuto il dramma? Come mai il giovane, il quale aveva manifestato propositi di dividersi aveva potuto ad un tratto accordarsi con lei nell’idea della morte? Poiché la messa in scena, i fiori, i ceri, denotavano la preparazione e quindi il comune accordo di uccidersi! Essi che all’alba della vita non avevano potuto trovare un’ora di tranquillità pensarono di trovar pace tramontando prima che giungesse la loro sera.

L’Asciutto era nato a Catania da una onesta famiglia. Il padre professore di violino a New York doveva volergli molto bene perché non mancava di mandargli mensilmente un assegno che serviva ad arrotondare il guadagno che ritraeva dalla sua prestazione d’opera presso un parrucchiere di via Ponte Mosca [tratto iniziale dell’attuale corso Giulio Cesare, n.d.r.]. Ma il giovane era venuto a Torino con ben altro speranze. La sua prestante figura ed i suoi lineamenti distinti lo avevano consigliato d’intraprendere la carriera di attore cinematografico e come tale rimase per parecchio tempo presso uno stabilimento torinese. Ma scoppiata la crisi nell’industria cinematografica, egli come tanti altri aveva dovuto rinfoderare i suoi sogni d’arte e procurarsi diversamente il modo di vivere. Serbava però della sua vita passata del suo paese lontano, della sua famiglia, e specialmente di due suoi fratellini più giovani ricciuti al par di lui, una grande nostalgia. Ne parlava sempre con grande commozione. […]

I precedenti della ragazza invece non si conoscono. Altro di lei non si sa se non che l’Asciutto dopo averla incontrata alcune volte ritornando dal lavoro sul ponte Mosca, l’aveva fermata ed invaghitosi di lei, così come la ragazza di lui, si erano giurato reciprocamente di vivere sempre insieme e non lasciarsi mai più. Ieri essi hanno purtroppo mantenuto appieno il loro giuramento!

Il dottor Oliveri del Municipio che visitò i cadaveri, non poté che rilasciare il nulla osta per la sepoltura. Giunse anche il sostituto procuratore del Re, Bersezio. Venne stabilito che il giovane prima uccise la donna poi si uccise. La morte era stata fulminea. Sul letto fu trovata la rivoltella che aveva servito allo scempio. Due bossoli erano scarichi.

Compiute le consuete formalità di legge le due salme furono trasportate alla camera mortuaria degli Istituti Universitari del Valentino. Il tragico episodio che rivela altresì nei due protagonisti uno strano stato, non soltanto, di passione, ma di esaltazione quasi morbosa, ha suscitato nel rione dove si è svolto una viva e profonda emozione. I commenti, come sempre accade, sono infiniti.

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Articolo pubblicato il 31/03/2015