SPANDAU BALLET: Back from the 80's

Il "Soul Boys of the western world Tour" infiamma il Pala Alpitour

Se negli anni ’80 fossi stata una “sfitinzia” sicuramente avrei voluto sposare Tony Hadley piuttosto che Simon Le Bon.

Ho sempre preferito gli Spandau Ballet ai Duran Duran, pur apprezzando anche i secondi, per via della loro musica, new-wave allo stato puro ma contaminata da atmosfere soul e blues, ma soprattutto per la voce del front-man, unica ed inimitabile.

Spandau Ballet: un’icona assoluta dei mitici anni ’80, una storia travagliata, come si conviene per ogni top band che si rispetti, fatta di litigi e riappacificazioni, un grande ritorno nel 2009 con l’album “Once more”, con il quale rivisitano i loro vecchi successi, un film documentario come si conviene per ogni top band che si rispetti (la ripetizione non è affatto casuale) e un nuovo tour mondiale, che fortunatamente ha toccato anche la nostra città.

Personalmente considero questo concerto come l’evento musicale dell’anno e quindi sono andato al Pala Alpitour “attrezzato” come si deve: look curato nei minimi dettagli (ovviamente in puro stile “eghties”), persona giusta al fianco (finalmente) e tanta voglia di tornare indietro nel tempo, ai migliori anni della mia vita.

Non sono stato il solo, a quanto pare: palazzetto pieno da scoppiare che neanche i Dear Jack possono sperare altrettanto, pubblico che sa distinguere la differenza tra un finto rapper con la “esse” serpentata ed un vero artista, tanti “mitici” e tante “mitiche” (ci si riconosce a prima vista).

Prima del concerto un Dee Jay inglese rende piacevole l’attesa, trasformando il Pala Alpitour in una mega discoteca, regalando dei mix pazzeschi su brani rigorosamente d’epoca, tanto che parecchi cominciano a ballare.

Finalmente si spengono le luci e uno per volta salgono sul palco…Tony Hadley, John Keeble, Martin Kemp, Gary Kemp e Steve Norman… il tempo passa per tutti, nessuno escluso e chirurghi plastici compresi: qualcuno è imbolsito, qualcuno è ingrigito e il celeberrimo front-man ha una pancetta da commendatore della Brianza e la pappagorgia tipica di chi pratica con successo gli sport da tavola, ma alle signore che per l'occasione tornano ad essere delle teen-agers non importa nulla: lui è ancora il loro sogno proibito, così come Martin, Gary, Steve e John. Urlano e impazziscono ancora davanti al loro fascino. Innamorate oggi come allora.

E ragazzi…la classe non è acqua, il carisma e l’eleganza neppure…bastano le note dell’intro di “Soul boys” e la voce, quella voce, che intona i primi versi per perdere la tramontana.

Welcome back to the 80’s !!!

In rapida successione vengono sparate “Highly strung”, “Only when you live” e “How many lies”, col pubblico seduto e composto, ma Gary lancia un invito alla platea…”if you want to stand…” (non fa in tempo ad aggiungere “up”) e il sottopalco diventa una bolgia sulle note di “Round and round”, “This is the love”, “Steal” e “Chant No 1”.

Poi è la volta del “Blitz medley” (dove “Blitz” è il locale londinese che ha visto nascere la band) che comprende “Age of blow”, “Reformation”, “Mandolin”, “Confused” e “The freeze” tutte tratte dal primo album degli Spands, intitolato “Journeys to glory”.

Dopo “To cut a long story short” e “Raw”, Tony e Gary spariscono dal palco per riapparire magicamente su una pedana piazzata dietro al mixer: chitarra acustica “Ovation” doppio manico e microfono, i due regalano una versione “unplugged” della bellissima “Empty spaces” e un piccolo assaggio di “Gold”.

Il microfono fa i capricci, Tony allarga le braccia e chiede scusa al pubblico, meritandosi l’ovazione generale. Ma poi il mic va ed è delirio.

I due tornano sul palco passando attraverso il pubblico: Tony ha in mano una bottiglia di birra e un bicchiere di whisky (“Jack Daniel’s” come ci terrà a sottolineare); beve un sorso di entrambi…”We are English…” dice ridendo e via col rush finale, che in un crescendo da paura comprende:  “Once more”, “I’ll fly for you”, “Instinction”, “Communication”, “Lifeline” e “True” a chiudere il set.

Il pubblico non ne ha ancora abbastanza e gli Spands tornano sul palco per cantare quella che tutti aspettano: “Through the barricades” (e qui sono lacrime che scendono un po per tutti, giornalista compreso), seguita da “Fight for ourselves” e “Gold” in versione classica che chiude definitivamente lo show.

I cinque mitici, sudati e soddisfatti, si fermano a lungo a ringraziare e stringere mani: Tony pop star assoluta dalla voce inconfondibile e ancora potentissima, Gary chitarrista sopraffino, Martin bassista di spessore e di eleganza, Steve trasformato in polistrumentista di classe e John martellatore di una batteria Premier con doppia cassa, vera anima rock della band.

E’ evidente che si sono divertiti e vogliono condividere il momento con i fans.

Il pubblico esce dal palazzetto felice e con gli occhi lucidi: non solo i “mitici” di cui ho parlato in apertura, anche quelli più giovani, ed erano parecchi, a ben guardare.

Probabilmente hanno capito cosa vuol dire fare musica “vera” ed il perché di quegli occhi lucidi.

Effetto nostalgia?

Assolutamente no!

Le foto sono di Roberto Troisi www.troisiphoto.com

Stay always tuned !!!


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Articolo pubblicato il 28/03/2015