Renzi, l’incantatore di serpenti

In molti si stanno domandando quale sia il suo valore aggiunto

 La cartina di tornasole di quel che ha prodotto l’attuale Governo sono le riforme strombazzate come meraviglie, che si sbriciolano come neve al sole. Il primo “cavallo di battaglia” – che strizzava l’occhio vispo assai del Premier al sentimento dell’antipolitica – è stato l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.

Nel febbraio dello scorso anno, la Camera approva la conversione di un decreto legge emanato da Enrico Letta – quello che per Renzi doveva «rimanere sereno» – con il quale dal 2017 si sostituisce quel finanziamento con un sistema basato sulle detrazioni fiscali delle donazioni private e sulla destinazione volontaria del due per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Nessuna riforma, quindi.

Poi, Renzi affronta un altro tema “scottante”: le auto blu. Le vuole abolire, s’intende. Quante sono? 72mila, con 35mila unità di personale impiegato, per un costo totale di oltre 2 miliardi di euro all’anno. Sono tutte ancora lì, nonostante i demagogici appelli e proclami dei primi giorni.

Come sono rimasti intoccabili i 18,3 miliardi di euro di costi di quel milione e 300mila persone che vivono di politica, ai quali bisogna aggiungere 6,4 miliardi di euro, derivanti dall’apparato istituzionale centrale e i 7mila enti strumentali (Consorzi, Aziende, Società) che occupano circa 24mila persone nei consigli di amministrazione. Sono state, invece, abolite le Province, sulle cui ceneri sorgono 20 Città Metropolitane, rette dai Sindaci del capoluogo, che non si sa bene cosa dovrebbero fare, tranne che ricollocare presso le Regioni, migliaia di dipendenti. Un caos!

Sullo sfondo, la “battaglia epocale” di Renzi, l’abolizione del Senato, che in realtà non viene affatto abolito, ma ridotto a 100 membri, che verranno eletti dai Consigli regionali e dalle Province autonome di Trento e Bolzano, fra i propri componenti e fra i sindaci dei rispettivi territori nella misura di uno per ciascuno. Una specie di “dopolavoro”, l’hanno definito alcuni.

 È la prima delle riforme costituzionali, che non intacca affatto il bicameralismo perfetto, come si è detto, perché la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per leggi costituzionali, minoranze linguistiche, referendum popolare, leggi elettorali e ogni disegno di legge approvato dalla Camera è immediatamente trasmesso al Senato che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo.

Le altre riforme costituzionali – che dovrebbero migliorare la vita degli italiani – riguardano, tra l’altro, l’abolizione del CNEL, l’aumento a 150mila delle firme necessarie per la presentazione di una legge d’iniziativa popolare; l’introduzione del referendum propositivo, già evocato dal Presidente del Consiglio come strumento sul quale chiederà al popolo di pronunciarsi sulle sue riforme.

Renzi va quindi avanti e sa quello che vuole. Elevare il nulla a dignità. Da un anno e passa, quel Governo non votato dagli italiani, si ritiene l’unico possibile e procede sulla linea tracciata per giungere alla scadenza del 2018. Il suo leader si è conquistato con abilità una strada senza ostacoli, con una spregiudicatezza inedita e un cinismo che non ha pari.

 Con il Patto del Nazareno, è riuscito perfino a “tirare” dalla sua parte Silvio Berlusconi. Non era mai riuscita a nessuno quest’impresa. Ora, sembra che con la realizzazione del “capolavoro” dell’elezione del Presidente della Repubblica, quel Patto si sia rotto, ma c’è da ritenere che così non sia, perché l’erede del leader di Forza Italia non è né Giovanni Toti né Raffaele Fitto, né tantomeno uno dei suoi figli.

 Forse l’incantatore sta facendo qualche pensierino?

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 19/02/2015