Roma, tra mafia, corruzione e luci rosse

La capitale d’Italia sprofonda nel degrado

 E’ di questi giorni l’ennesima esternazione del Sindaco di Roma. Dopo la festa della scorsa settimana in Campidoglio, insieme a Vladimir Luxuria e Nichi Vendola, per l’istituzione del registro delle unioni civili, Ignazio Marino sponsorizza la campagna per aprire una strada a luci rosse nel cuore dell’Eur e dichiara che si appresterebbe a far multare per la cifra di 500 euro i clienti delle prostitute se colti fuori dell’area consentita.

C’è chi si è premurato di sentire il parere del Prefetto di Roma, il quale rispetto all’idea di riservare un’area della città alle prostitute e ai loro clienti, ha detto: «fare ciò che vorrebbe Marino senza un intervento del governo o del Parlamento è reato: è favoreggiamento della prostituzione».

Il Sindaco di Roma dovrebbe essere persona avveduta. È possibile che egli ignori la legge o, cosa ancora più grave, voglia prescinderne? In entrambi i casi, si tratta di una situazione di inaudita gravita, perché quello di cui si dovrebbe occupare è governare una capitale di 5 milioni di abitanti, divorata dall’inefficienza, dalla sporcizia, dall’insicurezza sociale e dalla povertà (in base al recente rapporto delle Acli, il 4% della popolazione, vive sotto la soglia di povertà).

C’è ancora dell’altro ed è ancora più grave. Prima di Natale, a seguito dell’inchiesta sul “Mondo di Mezzo” di Mafia Capitale, un magistrato palermitano, Alfonso Sabella, riceve l’incarico di Assessore alla Legalità. Roma non l’aveva mai avuto nella sua storia. «Ad ascoltarlo, si capisce perché», commenta Carlo Bonini durante la puntata di Fischia il Vento, la trasmissione di Gad Lerner della scorsa settimana.

Il magistrato dichiara che quello che più l’ha colpito è stato il «numero spropositato di affidamenti di pubbliche commesse senza gara». «Fatto 100 affidamenti – chiede il giornalista – che percentuale di irregolarità formale ha riscontrato?». «Mi verrebbe da dire 100% – risponde Sabella – ma dovrei salvare le gare ad evidenza pubblica sulle quali non abbiamo riscontrato granché. Le percentuali sono oggettivamente elevate: parliamo del 70-80%».

«Si può dire che a Roma vincere una gara d’appalto era diventato un diritto. È così?», chiede Bonini. «Per certi soggetti sì, c’era la pressocché certezza», risponde il magistrato. Se è vero che quello che rileva l’assessore non si riferisce solo all’amministrazione Marino, ma riguarda un tempo molto più lungo, è anche vero che negli ultimi due anni poco o nulla è stato fatto per invertire la rotta.

Senza l’intervento della magistratura, il “Mondo di mezzo” avrebbe continuato a spadroneggiare. Se così è, perché non si traggono le conseguenze politiche? Comprendiamo che il Presidente del Consiglio e leader del Partito Democratico – così attento ad occupare tutte le poltrone possibili – non si voglia privare del Sindaco di Roma, ma è legittimo chiedersi: per quanto tempo ancora si dovrà non tener conto dell’evidenza dei fatti?

La riposta più logica ci porta al disprezzo del cittadino, caratteristica peculiare del nostro presidente del Consiglio.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 14/02/2015