Il Patto del Nazareno è rotto?

Previsioni, speranze ed anticipazioni

La campagna acquisti che il governo Renzi, in modo spregiudicato porta avanti da settimane sta dando frutti copiosi, visto che gli ultimi nove fuoriusciti dal Movimento Cinque Stelle di fatto già gravitano nell’orbita della maggioranza e che ben otto parlamentari di Scelta civica hanno deciso di confluire nel Pd. Stando anche a dichiarazioni diffuse nell’entourage del Presidente del Consiglio, parrebbe che il premier abbia deciso di fare a meno di Berlusconi e del Patto del Nazareno, ritenendosi ormai autosufficiente.

Autorevoli commenti degli opinionisti politici sembrano andare in tale direzione e profetizzano la totale dissoluzione del centrodestra, ormai ridotto a brandelli a causa della (presunta) delusione per l’elezione di Mattarella e dell’oscuramento del suo leader.

Le cose non stanno proprio così. Ha ragione chi ritiene che dentro Forza Italia la resa dei conti sia appena agli inizi e il Nuovo Centrodestra rischi di fare la fine di Scelta civica, mentre Lega e Fratelli d’Italia pescano nella protesta. Non è vero, però, che l’accordo Renzi  - Berlusconi sia al capolinea e che d’ora in poi il premier farà a meno dell’ex Cavaliere nella partita per le riforme.

Forse è cambiata la strategia. Già in occasione dell’elezione del successore di Napolitano, Renzi ha intuito che solo ricompattando il suo partito non avrebbe corso il rischio di incappare nella stessa figuraccia che toccò due anni fa a Bersani, prima con la candidatura Marini poi con quella Prodi.

L’unico modo per riportare il sereno tra i dem era quello di puntare, per il Colle, su un uomo gradito anche alle rissose minoranze interne, mettendo da parte,con lo stile brutale ed opaco che contraddistingue Renzi, l’asse con il leader del centrodestra. Sulla figura di Mattarella il premier è riuscito a far convergere financo Sel e altre forze parlamentari variamente collocate. Ora, però, Fassina, Civati, Bersani e altri oppositori interni sembrano intenzionati a presentare il conto al premier e a chiedergli modifiche all’Italicum e una maggiore collegialità nella definizione dei contenuti di altre riforme, come quella della giustizia.

Nonostante i nuovi parlamentari approdati alla corte di Palazzo Chigi, dagli ex grillini agli ex montiani, il governo non può dunque dormire sonni tranquilli al Senato, dove i numeri sono risicati. Mettere d’accordo le diverse anime del Pd sulla legge elettorale o su altri temi non è impresa facile, ed è per questo che Renzi punta ad allargare i confini della sua maggioranza.

Senza Forza Italia, però, o almeno una parte di essa, il premier difficilmente potrà arrivare alla fine della legislatura. Alfano perderà presto altri pezzi e diventerà meno determinante, e i cosiddetti “responsabili”, chiamati a puntellare l’attuale esecutivo nelle votazioni cruciali in Parlamento, sembrano mossi da cinico poltronismo più che da una convinta adesione al programma. Paradossalmente, su legge elettorale, riforma del Senato, riforma della giustizia, così come già successo in parte sul Jobs Act, l’ex sindaco di Firenze è destinato a trovarsi d’accordo più con Berlusconi (o con alcuni dei suoi) che non con la sinistra ideologica che pure in questo momento appare tornata in sintonia con lui.

Dentro Forza Italia il termometro dello scontro sale e sono in tanti a chiedere la testa di Denis Verdini, accusato di fare più gli interessi di Renzi che non quelli di Berlusconi.

I quaranta parlamentari fittiani, con il seguito di sostenitori sparsi per l’Italia, si raduneranno sabato 21 febbraio per lanciare un’opa sul partito e presentare le ricette dei “ricostruttori” per il futuro dell’Italia. Nel cosiddetto “cerchio magico” si avverte un malessere lacerante. Si sussurra perfino che Verdini possa uscire dal partito (con il tacito assenso di Berlusconi) e raggruppare una pattuglia di parlamentari per costituire un gruppo autonomo di dissidenti che garantirebbero un “paracadute” a Renzi votando compatti i suoi provvedimenti, soprattutto al Senato.

Forza Italia potrebbe così ristrutturarsi come partito d’opposizione, cercando di rilanciarsi come polo attrattivo verso i moderati, anche per arginare l’avanzata leghista, che, sotto l’impeto di Salvini, sta per monopolizzare l’intera rappresentanza di centrodestra.

Gli alfaniani in parte resterebbero in Ncd, altri tornerebbero in Forza Italia, o potrebbero confluire nel gruppo di soccorso al premier, con buona pace del ministro dell’Interno.

Se la geografia del centrodestra, si ridisegna in questo modo, non si provoca una rottura traumatica tra Renzi e Berlusconi. L’uno ha bisogno dell’altro, anche se oggi può apparire che il primo sia invincibile e il secondo vulnerabile.

La politica italiana, sin dalla discutibile unità del 1861, ci ha abituato a repentini capovolgimenti di fronte. Non va mai dimenticata l’anomalia che il Paese sta vivendo in questa fase storica: un Parlamento dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale sta varando riforme epocali per l’assetto istituzionale del Paese e sta modificando la Costituzione; un governo non eletto dal popolo ma creato attraverso manovre di palazzo e alchimie estranee alla politica pretende di fare incetta di incarichi e posti di potere e di cambiare in modo autoritario il corso della storia del Paese.

Da questo punto di vista, la democrazia in Italia sta scontando preoccupanti deficit, che la momentanea boccata d’ossigeno garantita all’economia dalle iniezioni di liquidità da parte della Bce, dal calo del prezzo del petrolio e dal cambio favorevole col dollaro faranno momentaneamente passare in secondo piano.

Renzi e i suoi accoliti non risolvono gli annosi problemi del Paese, ma si ritengono intoccabili mentre il marciume emerge e la disaffezione dalla politica raggiunge livelli sempre crescenti

 

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Articolo pubblicato il 12/02/2015