#ritornoazero

Grande successo per la mostra dedicata all'artista romano. Evento prorogato fino al 22 Marzo 2015. La Pelanda (Centro di Produzione Culturale) in collaborazione con Macro Museo d'Arte Contemporanea - Roma

Quando sono arrivato al fondo di via di Monte Testaccio, davanti alla sede dell’ex mattatoio, ho subito capito che anche qui era la stessa storia. Un piccolo capannino di gente che ride, che canta. Ragazze di cinquant’anni che pur non conoscendosi affatto si salutano come se fossero amiche da sempre. Chi si fa un selfie davanti alla gigantografia, chi si prepara tirando fuori una maglietta personalizzata e chi si accende nervosamente una sigaretta, in attesa che siano le sedici per essere il primo ad entrare.

E le porte finalmente si aprono.

Entrando, un tabellone dice ‘’ Perché una mostra su Zero?’’.

Già… perché?

Comincia il viaggio e ci accoglie una foto di un feto e le casse risuonano un battito di cuore. Comincio a leggere i vari pannelli: è l’inizio della vita di un uomo. Ma man mano che guardo foto e didascalie comincio a rendermi conto di quel “perché”.

Non è una consacrazione all’artista, nata da una follia megalomane o da una voglia di immortalare, ma è il percorso storico di un periodo tutto italiano: gli anni ‘70, visti con gli occhi di un ragazzo di periferia che all’epoca aveva vent’anni.

E’ il punto di vista di un essere umano.

La contrapposizione tra il fenomeno di condizionamento sociale e lo spirito libero di un semplice uomo.

Quelli sono gli anni in cui il “Grande Fratello” in puro stile Orwelliano si da un gran daffare per imprigionare in ogni sorta di gabbie, la vita, i pensieri, l’anima della società facendo credere che il tutto è Libertà.

Sono gli anni in cui i grandi “casermoni” invadono le periferie per accogliere masse operaie in abitazioni anonime, dall’aspetto molto simile alle stie dei polli. Le case popolari. Gabbie di gruppo….

Renato canta “Grattacieli di sale".

Sono gli anni pieni del boom economico, delle lotte operaie, del benessere che si traduce nell’avere l’auto alla moda. Gabbie con le ruote…

Renato non ci sta a stare chiuso dentro ad un “paleobarattolo” e canta "Manichini".

Sono gli anni in cui il militare è obbligatorio ed un dovere e un onore servire la Patria. Gabbie Militari….

Renato canta “Sergente no”.

Sono gli anni del perbenismo che lotta contro i pipers, contro le diversità, contro l’amorale. Non va bene, non si fa.

Renato canta “Madame” e "Sbattiamoci".

Sono gli anni di Mike Bongiorno, della TV pulita, due canali e basta. Monopolio mediatico che lotterà contro le onde libere.

Renato canta “Mi vendo”.

Sono gli anni di piombo, quello delle cosiddette “stragi di Stato”. Piazze, treni e stazioni esplodono, si rapiscono ricchi industriali, si gambizzano esponenti politici. Si muore per strada.

Renato piange e invoca “il Cielo”.

Ma Renato non si limita a cantare. Renato va in giro per le città con un tendone a strisce. Viaggia in roulotte come un circense. Libero viaggia per le strade del Bel Paese. E la gente viene a vederlo.

Ma perché??? Ma cosa ci trovano in quello stravagante capellone che va in giro vestito e truccato come una puttana??? 

Profumo di libertà…di verità...di autenticità. Ecco cosa si respira sotto quel tendone. Chi va a vedere Renato sa già che lui gli presterà un paio d’ali e per un po’ ci si può dimenticare dell’anonimato in cui scorre la vita di tutti i giorni. "E’ meglio fingersi acrobati che sentirsi dei nani".

E dà fastidio. Sembra che questo emerito “nessuno”, riesca a vedere dietro al “matrix” così faticosamente pensato e costruito dal Sistema. E con lui si rischia di risvegliare una coscienza sociale. Non basta Pasolini???

Bisogna fare qualcosa. Bisogna annientare quel circo.

Ingabbiamolo.

E il Tendone blu scompare.

Ma "non puoi toccare le nuvole se non conosci le lacrime". E Renato risorge con tutti i suoi sorcini. Palasport e stadi pieni come uova, pieni di energia al grido di tre due uno… ZERO!! …Ciao Nì!!!

E gli anni '80 sono un trionfo assoluto.

E la mostra continua, tra i vestiti di scena e gli spartiti musicali.

Una camera magica, fatta di specchi e Renato ovunque da ogni parte parla, sussurrando dolcemente.  “La stanza delle necessità” di Harry Potter neanche si avvicina.

Poche stelle di carta, il tuo cielo ecco qua”…”ti ho cercato, ti ho inventato, divertito, amato”…e ancora Renato.

Ma il bigottismo è sempre in agguato. Sono gli anni degli yuppies “oppure yappis per chi non mastica l’inglese”.

Sono gli anni in cui si comincia a parlare di Fonopoli. 

Oddio no!! Addirittura una città!!! E la burocrazia inghiotte (ma non per sempre) questo progetto.

E allora Sanremo. Primissimi anni ‘90.

Un tunnel rappresenta virtualmente un’introspezione forte e profonda. Attraversando quel cunicolo si è bombardati da domande giornalistiche stupide e assurde che restano senza risposte. E al posto di giungere alla rassegnazione come tanti sperano, si arriva invece alla consacrazione dell’artista. Renato si toglie il trucco, si taglia i capelli e ricomincia da Zero. Ma è sempre lui. E il suo popolo è sempre lì: riempie ancora i palazzetti, gli stadi e va alla Mostra.

Fonopoli diventa un'Associazione Culturale: promuove e organizza attività artistiche, culturali e formative. Si occupa dello sviluppo e la salvaguardia del patrimonio artistico e culturale. Organizza e allestisce spettacoli dell'arte sotto ogni sua forma. Ma soprattutto profonde il suo impegno per contribuire all'occupabilità dei giovani in campo sociale e culturale. 

Arrivo alla fine di questo lungo percorso che finisce davanti ad un’enorme lavagna, dove i partecipanti possono scrivere con il gessetto, come a scuola, le loro impressioni, un saluto, una frase. 

Sono passate quasi quattro ore e non me ne sono accorto.

Compro il libro scritto da Simone Veneziano, non per dovere, ma perché sento il bisogno di portare a casa fisicamente un ricordo.

Ed esco. Fuori c’è gente che aspetta il suo turno. Li guardo e penso che ovunque si vada, se c’è di mezzo Renato, loro sono qui. Sono i sorcini e le sorcine. Stoiche presenze simbolo di una generazione.

Mi accosto e comincio a lavorare.

Voglio finire così il mio articolo con un intervista. Avvicino una donna, non più ragazzina, ha un tatuaggio sul polso. E’ il nome "Zero", e quando le chiedo come mai arrivare addirittura a farsi il tatuaggio mi risponde: “perché noi siamo gli ultimi in fondo alla lista, siamo noi gli zeri del mondo, siamo noi che chiudiamo il cerchio di un destino fin troppo scontato che ti stampa indelebile, un marchio”.

E in una frase capisco il senso di questa mostra.

Stay always tuned !!!

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Articolo pubblicato il 05/02/2015