Je ne suis pas Charlie

Amare considerazioni sul dopo strage di Parigi e la codardia dei governanti ipocritamente abbracciati

No, non mi sento “Charlie”. C’è poco da dire dopo il terribile scannatoio parigino. E, pur nel rispetto delle vittime, c’è poco da identificarsi nella satira offensiva del periodico, oggetto dell’attacco sanguinario dei terroristi. Fare di “Charlie Hebdo” un’icona, come è stato fatto, a sinistra e a destra, anche in Italia, è un errore strategico.

Così non solo ci si assimila ad un’idea volgare di satira e, più in generale, ad una “visione della vita e del mondo”, che francamente non ci sentiamo di condividere, ma si abbassa il livello dello scontro, lo si banalizza, perdendo di vista i veri problemi sul tappeto.

Da una parte ci sono i tratti di una satira corrosiva e senza limiti (che non ha salvato e non salva niente e nessuno), dall’altra un’idea di Dio, per quanto sanguinaria. Da una parte si fa del relativismo etico una bandiera dall’altra si reclama l’Assoluto. Da una parte si fa la punta alle … “matite” dall’altra ci si abbandona, fino alla morte, nei vortici del “Sacro”, essenza di una religiosità che – per dirla con Rudolf Otto, uno dei grandi rappresentanti della teologia protestante liberale – è un insieme di terrore e di fascinazione verso Dio, di irrazionalità e di giustificazioni razionali (e qui ci stanno tutti i discorsi dei jihadisti, francesi e non solo, che parlano di giornalisti blasfemi e di donne e bambini massacrati dall’Occidente).

Vogliamo – con questo – dare una patente di nobiltà ai terroristi del 7 gennaio? Assolutamente il contrario: vogliamo piuttosto che si passi dal livello “emozionale” a quello della riflessione sulle “ragioni di fondo”, per quanto deviate, che stanno dietro a certe azioni aberranti, incominciando ad immaginare le possibile contromisure.

Per questo facciamo nostre le parole del Cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che non si è limitato ad esprimere una generica solidarietà, ma è andato al cuore del problema denunciando come, di fronte al nulla dei valori e degli ideali, ideologie forti e turpi possano avere buon gioco: “L’Occidente – ha sottolineato Bagnasco – deve imparare molto meglio che cosa vuol dire essere liberi nel rispetto. E’ una lezione che a mio avviso la cultura occidentale deve prendere attentamente perché si sta svuotando e laddove la cultura si svuota è l’animo dei popoli che si svuota e ideologie turpi, fanatiche, fondamentaliste e brutali che disprezzano la vita umana possono presentarsi in modo suggestivo all’anima delle persone e avere un fascino truce e turpe, ma che può apparire meritevole della propria vita. Questo è un dinamismo su cui l’Occidente deve riflettere”.

Nel contempo bisogna cominciare a porsi qualche interrogativo in più sul senso degli attuali processi d’integrazione sociale, sulle ragioni dell’identità etnico-culturale dei popoli europei, sulla sostenibilità degli attuali flussi migratori.

Quello che è accaduto – bisogna riconoscerlo – è anche colpa delle inadeguatezze politiche e culturali dell’Europa, perfino degli attuali processi d’integrazione tra gli Stati, chiusi in angusti confini economico-finanziari, ma incapaci di fare emergere e di dare piena rappresentazione ai valori fondanti della nostra civiltà. Raymon Aron, alla fine degli anni ’70 del secolo scorso scriveva il saggio “In difesa di un’Europa decadente”. Già allora, quando l’europeismo mieteva consensi e speranze, si sosteneva che l’Europa si autocondanna coltivando, con cura quel morbo ormai noto come “conformismo di sinistra” che affligge quasi interamente la classe intellettuale, impedendo equità e chiarezza di giudizio”

Mettiamo insieme tutti questi sparsi segnali (perdita di senso per le nostre società, disorganicità delle attuali politiche di integrazione, valori in gioco) ed avremo molto da discutere e da fare. Certamente molto di più che agitare una matita spezzata come un amuleto rassicurante.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 17/01/2015