Torino, 24 dicembre 1856: misterioso tentativo di omicidio di un sacerdote giornalista

La sera della vigilia di Natale un sicario colpisce a tradimento Stefano Sanpol, autore di un libro scandalistico riguardante il re Vittorio Emanuele II

Siamo a Torino, nella sera del 24 dicembre 1856. Il sacerdote Stefano Sanpol passeggia sotto i portici della piazza del Debarcadero di Milano, come è chiamata al tempo la stazione di Porta Susa.

Sanpol ha un appuntamento con un misterioso personaggio per una faccenda che non ha relazione né con la religione, né con la teologia.

Il sacerdote Stefano Sanpol, nato ad Alghero nel 1822, è un battagliero e vivace giornalista che ha fondato nel 1848 alcuni effimeri giornali torinesi di area cattolico-intransigente, con posizione fieramente antirisorgimentali.

Tra questi vi erano «Il Giornale degli operai» e «Lo Smascheratore», caratterizzati da veemenza impertinente, scherno popolano e umorismo pungente.

Sanpol ha fama di scrittore scandalistico: nell’aprile del 1849 è finito in prigione per la pubblicazione di alcuni articoli.

Il suo appuntamento della vigilia di Natale nasce da una sua iniziativa del settembre 1856, quando per le strade di Torino è comparso questo manifesto che annunciava la prossima pubblicazione di un libro: «Storia della vita intima e regia del Re di Sardegna vittorio emanuele ii per [scritta da, n.d.a.] Stefano Sanpol Gandolfo di Alghero».

La sua nuova opera prometteva di essere sensazionale, visto che Sanpol scriveva: «La vita intima di un regnante, quella che esso passa alla reggia, e che considera la sua educazione, la sua istruzione (giacché sulla vita pubblica, che io chiamo regia, non cade dubbio), si può sotto un governo libero storicamente narrare? E narrandola, si può egli accennare, quando ve ne siano, alle debolezze, ai difetti del principe che si giudica?».

Così terminava l’annuncio: «Senza tema quindi, né baldanza, ho scritto e pubblico la Storia della vita privata e regia di Vittorio Emanuele secondo. Sicuro che i fatti che narro sono attinti a fonti purissime, e che i giudizi che su di essi pronuncio hanno nell’opinione pubblica fondamento.

Dal sovrano di cui ragiono io ebbi privati colloqui, cortesie, favori, promesse. La severità dell’ufficio assuntomi vuole che scriva spassionatamente. La cortesia però dello scrittore sarà sempre uguale alla cortesia usatagli dal monarca. S. Sanpol».

Si precisava che il libro sarebbe stato corredato con quattordici documenti tra cui alcuni autografi, con bilanci privati della Casa Reale e con parecchie lettere confidenziali o segrete di Ministri, di Intendenti, di impiegati di Polizia e di varie personalità.

Dopo questo annuncio della prossima pubblicazione del libro, le autorità governative hanno cercato in ogni modo, senza riuscirci, di intercettare il manoscritto prima della stampa, per leggerlo in anteprima. Il ministro dell’interno, Urbano Rattazzi, sosteneva che questo era il desiderio del Re.

Il conte Nigra, divenuto in seguito Ministro della Real Casa, aveva tentato di intimorire Sanpol con larvate minacce. Mani segrete avevano tentato di comprare il compromettente testo.

Era stata avviata una campagna di stampa, con calunnie e minacce nei confronti di Sanpol: feroci e velenose corrispondenze, scritte a Torino, venivano pubblicate da giornali stranieri, soprattutto del Belgio, per essere poi riprese da giornali prezzolati torinesi.

Sanpol aveva sempre rifiutato di consegnare il manoscritto agli intermediari governativi e anche al re, col quale vantava una antica reciproca simpatia (lo aveva scritto anche nell’annuncio del libro: “Dal sovrano di cui ragiono io ebbi privati colloqui, cortesie, favori, promesse”). Aveva risposto ai petulanti attacchi giornalistici con un articolo che li aveva zittiti.

Sanpol conosce chiaramente tutto questo subbuglio, sollevato dal suo futuro libro, e, për nen savèj né lese né scrive, all’incontro è andato armato!

Inutile precauzione: all’appuntamento si presenta un sicario che lo colpisce a tradimento e lo lascia esanime a terra. Poi l’aggressore fugge e scompare.

Fortunatamente, Sanpol si salva da questo sconcertante tentativo di omicidio.

Scriverà che «La Provvidenza (…) non permise che il Sanpol restasse morto in quella sera per mano di quel ribaldo». Con sicura fierezza di Sardo ma certo con scarso spirito cristiano, aggiungeva: «Buon per lui che mancò al fiero isolano il tempo di impugnare le armi e di spegnere il malfattore che gli attentava alla vita. Il nome dell’aggressore avrebbe svelato il nome di chi gli armava la mano!».

Oggi lo si definirebbe un sacerdote-giustiziere, un sacerdote-sceriffo!

Ma Sanpol non sbagliava: le indagini languono in modo sospetto, l’aggressore fuggito ha delle buone protezioni, non verrà mai identificato e catturato.

Il sopravvissuto Sanpol vende il suo manoscritto all’editore francese Pichard per 20.500 franchi. Più tardi, per una indiscrezione dello stesso Pichard, si saprà che questi l’aveva rivenduto ad un anonimo diplomatico per 45.000 franchi.

Questo manoscritto non sarà mai stampato e pare essere scomparso.

Il tentato omicidio della vigilia di Natale 1856 è noto perché lo stesso Sanpol lo ha descritto in un suo libro di polemica antirisorgimentale, intitolato “Quaresimale del contemporaneo dinanzi la Corte di Torino”, apparso in varie edizioni fra il 1863 e il 1868. Non spiegava però quali fossero i contenuti sensazionali e neppure perché non lo avesse riscritto.

Forse, ma è solo una ipotesi, Sanpol non ne aveva conservato copia e, soprattutto, aveva consegnato all’editore Pichard anche gli originali di quei famosi quattordici documenti: senza l’appoggio di questi attestati, la pubblicazione rischiava di apparire come una semplice diffamazione.

Stefano Sanpol, indicato talvolta come Stefano San Pol e Stefano Sampol Gandolfo, muore a Roma, nel 1889.

Nel Novecento, questo episodio è stato raccontato dal giornalista novarese Nino Bazzetta De Vemenia (1880-1951), nel suo libro “I Savoia e le donne. Da Carlo Alberto a Umberto I”, pubblicato a Milano nel 1923.

Chi ne ha dato l’interpretazione più clamorosa e sensazionale è stato Otello Pagliai, nel 1987.

Pagliai sostiene la tesi che il vero Vittorio Emanuele II sia morto a Firenze nell’incendio della culla e che Carlo Alberto, per opportunismo politico, lo abbia sostituito con il figlio del macellaio Maciacca. Pagliai si dice convinto che il manoscritto di Sanpol contenesse rivelazioni su questa scambio e trova nel tentato omicidio della vigilia di Natale 1856 una ulteriore conferma alla sua tesi, esposta nel suo libro “Un fiorentino sul trono dei Savoia”, apparso nel 1987, e “L’ultimo giallo in casa Savoia”, nel 1997.

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Articolo pubblicato il 24/12/2014