E se “democrazia” volesse dire qualcos’altro?

Come la Cina si sta muovendo verso una sua definizione di democrazia

Dall’età di cinque anni abbiamo scolpito da qualche parte nel cervello che per aver democrazia bisogna avere pluralità, quindi tante voci e tante idee, persone che discutono e cercano di convincersi, e alla fine votano, lasciando qualcuno soddisfatto e qualcuno un po’ meno, ma così voleva la maggioranza.

Per noi quella è la democrazia, dal decidere quando fissare un compito in classe a scuola, a se ridipingere o meno la facciata del condominio, da se sia giusto o meno permettere a due persone dello stesso sesso di sposarsi a se vogliamo vivere in una repubblica o in una monarchia.

Tra l’altro a scuola ci hanno insegnato che democrazia deriva da demos kratos, e quindi significa governo del popolo, e se lo so anch’io che il greco non l’ho mai studiato, vuol dire che lo sanno proprio tutti. Ci hanno fatto innamorare del governo di Solone ad Atene, e guardare di cattivo occhio quello che succedeva sotto Licurgo a Sparta.

Poi sfogliando le pagine del libro di storia siamo piano piano arrivati alla scoperta dell’America. E abbiamo visto come a bordo di affascinanti caravelle, gli europei abbiano piano piano conquistato il mondo con la scusa di insegnare ai selvaggi quello che noi illuminati del vecchio continente avevamo capito.

Prima l’America, poi l’Africa e alla fine l’Asia. Pezzo per pezzo ci siamo mangiati il mondo e tra le tante cose che abbiamo fatto, abbiamo cercato di piantare il seme della nostra democrazia un po’ in ogni dove.

Se ci pensate bene, è qualcosa che stiamo ancora cercando di fare, con quelle che chiamiamo missioni di pace; e se oggi la costituzione dell’Iraq è una copia mal fatta di quella degli Stati Uniti, forse dobbiamo chiederci il perché.

Anche in Cina abbiamo provato a importare la nostra democrazia in stile europeo, lo abbiamo fatto attraverso la guerra dell’Oppio e sterminando i Boxer che cercavano di dirci che infondo loro stavano meglio prima, con il loro governo, che dopo, con il nostro. Siamo stati così bravi che nel 1908 l’imperatrice Qing ha accettato di promulgare una costituzione fatta su modello inglese; e che quando, nel 1912, è stata fondata da Sun YatSen la prima repubblica, hanno continuato ad utilizzare quella costituzione che veniva da Londra.

Tutto questo per spiegare perché ci venga naturale storcere il naso all’idea che la democrazia possa venir ridefinita.

Questo però è quello che sostiene Xi Jinping, attuale primo ministro cinese. Il primo leader della storia repubblicana della terra di mezzo che si sta impegnando per trasformare il proprio stato in uno stato democratico.

Per lui la democrazia può esistere anche all’interno di un sistema con un partito solo. Secondo lui non c’è bisogno di una maggioranza e di un’opposizione, di partiti che si scannano nelle aule di un parlamento e che rifiutano sempre più spesso la fiducia al proprio governo.

Secondo Xi Jinping il partito comunista rappresenta il volere del popolo tutto cinese, perché è radicato nella società ad ogni livello. Le elezioni dirette, in Cina, non esistono perché la gente elegge i capi dei propri villaggi, che a loro volta eleggono i capi delle province, e così fino all’elezione del parlamento e del primo ministro e ognuno di loro fa parte del partito.

In questo modo ognuno elegge chi lo rappresenta, e sceglie qualcuno che conosce, qualcuno di cui si possa fidare. Sceglie qualcuno che possa portare avanti le proprie idee all’interno di un organo che include tutti, in modo tale che, in maniere diretta o indiretta, le proposte arrivino fino in alto.

Xi Jinping spiega che la Cina non è ancora riuscita ad arrivare ad un livello di democrazia accettabile non per colpa del partito, ma per colpa di una piaga assai più dura da combattere: la corruzione. Lui si sta impegnando su questo piano, di fronte ai suoi cittadini e alle istituzioni internazionali.

Un’altra cosa che si sta piano piano evolvendo è il rispetto dei diritti umani. Dopo il caso Sun Zhigang, morto con chiari segni di tortura in una struttura di detenzione nel 2003, invece di insabbiare la notizia come si era sempre fatto prima, il governo ha approfittato dell’occasione per dare una svolta epocale: Ha deciso di rispolverare l’ormai dimenticata costituzione e ha iniziato a muoversi verso una sorta di revisione costituzionale, per fare in modo che d’ora in avanti le leggi emanate non siano più contro la costituzione.

Un altro grande problema dell’organo giudiziario, che per ora non trova soluzione, è che i procuratori e i giudici siano essenzialmente le stesse persone. Ma se si riuscisse ad applicare in modo effettivo la costituzione piano piano anche questo sarebbe risolto.

La Cina sta quindi viaggiando verso un sistema più giusto, più equo, in grado di rispettare i diritti inalienabili dell’uomo. Ma questo sarà sufficiente a farci smettere di storcere il naso?

Se la Cina riuscisse effettivamente a sconfiggere la corruzione e creare un sistema giuridico più efficiente, saremmo noi pronti a dichiararla democratica? O continueremmo a puntare il dito perché questa democrazia non rispetta la nostra idea di demos kratos?

Picture credits: paolomichelotto.it; china-files.com; chinachange.org

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Articolo pubblicato il 18/12/2014