Il “Mondo di mezzo” si mangia l’Italia

Il Governo cerca, malamente di porre qualche rimedio

Si chiude una settimana che contribuisce una volta di più ad aumentare il nostro discredito internazione e lo sconforto dei cittadini onesti.

Le fotografie di ministri e sindaci attovagliati con malavitosi, le notizie sul cinismo usato da delinquenti abituali assunti a importanti incarichi con il beneplacito di politici di primo piano di ambo gli schieramenti, esasperano la collera tra coloro che sono vittime di una tassazione da rapina o dai purtroppo molti giovani e meno giovani che ambirebbero trovare un lavoro onesto e potersi orgogliosamente formare una famiglia e non possono perché vivono in un paese attanagliato dal malaffare e svantaggiato da una classe politica di incapaci.

Le misure governative appena approvate ed elencate in un disegno di legge, almeno sotto il profilo patrimoniale, non sembrano spaventare chi è già avvezzo a depistare ogni traccia del malaffare e dell’ingordigia.

Il “mondo di mezzo, quello che comunica con quello dei vivi e quello dei morti”, come sostiene uno degli intercettati dell’operazione “Mafia nella Capitale” non è una realtà solo romana. È una metafora efficace per rappresentare una corruzione estesa come una metastasi in tutto il Paese, che ne impedisce lo sviluppo, insieme alla forza delle organizzazioni criminali e ai comportamenti delinquenziali di una buona fetta di cittadini che evadono le tasse.

Se il “fatturato” della criminalità, in base alle fonti (Confesercenti e Sos Impresa) supera i 140 miliardi di euro, il “mondo di mezzo” – quello della corruzione – ne produce 160, il 10% del PIL, in base alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dello scorso 14 novembre, durante la riunione del G20: «secondo le ultime relazioni al Parlamento – ha detto Renzi – il ritorno dalla lotta all’evasione e alla corruzione sarebbe, rispettivamente, di 91 e 71 miliardi. Non servono nuove regole ma far applicare quelle che già ci sono».

Ogni anno, la Transparency International pubblica l’indice di percezione della corruzione nei Paesi del mondo: il «livello secondo il quale l’esistenza della corruzione è percepita tra pubblici uffici e politici».  Per il 2014, l’Italia è collocata al 69° posto, a pari merito con Grecia, Bulgaria, Romania e Brasile. È il Paese più corrotto d’Europa.

Secondo i dati del Barometro Globale della Corruzione 2013, solo il 56% degli italiani è disposto a segnalare un episodio di corruzione in confronto alla media globale del 69%.  Tra le motivazioni, vengono addotte la paura, la sfiducia e la convinzione che nulla ormai possa cambiare. Non si può mettere in dubbio che questi sentimenti o stati d’animo incidano rispetto all’omertà che viene praticata, ma non vi è dubbio che questo avviene rispetto ad una situazione generale già fortemente inquinata.

L’ammontare del “denaro sporco” che deriva dall’evasione fiscale, dal fatturato della criminalità e dalla corruzione, è di tali proporzioni che ragionevolmente coinvolge una buona parte della società cosiddetta civile. Che tace, perché ne trae giovamento. Il meccanismo degli appalti di Roma non è diverso da quello di Milano o di Venezia.

Le inchieste su EXPO 2015 e MOSE ne fanno testo. In quelle inchieste non è stata contestata l’associazione a delinquere di stampo mafioso, com’è accaduto a Roma, ma esse hanno coinvolto nel medesimo modo esponenti di vari partiti e schieramenti, oltre ad imprenditori legati agli uni o agli altri o ad entrambi. È un meccanismo “oleato” e ben conosciuto, applicato molto prima dell’era di “Tangentopoli” e che, col trascorrere del tempo, si è trasformato nella più grande e organizzata industria del Paese.

Le regole che ci sono – richiamate dal Presidente del Consiglio – non vengono applicate perché il “sistema” non lo consente. Anzi, nel caso di Roma – il cui Comune dovrebbe essere sciolto, non solamente per connivenza con la criminalità, ma per l’incapacità di governare la città – il “sistema” fa di peggio. Offre a quella criminalità organizzata che ad esso si propone la gestione di uno dei più grandi business: quello degli immigrati. “Si guadagna più col loro che con la droga”, si dice in una delle intercettazioni.

E chi ci guadagna? Sempre gli stessi. Basterebbe varare un “Albo Nazionale degli Appalti”, evitando che vengano affidati senza gara e farli controllare – tutti – da un’unica Autorità di garanzia. Invece, nulla si muove. Ogni volta che scoppia uno scandalo, tutti si stracciano le loro vesti, sono increduli, si mettono le mani tra i capelli e esclamano: “Ma fino a che punto siamo arrivati!”. Ipocriti. Belle statuine. Soggiogati come sono dal fascino di “mammona”, non si accorgono che può esistere anche la dimensione e l’esercizio di una politica nobile, che sia d’esempio anche ai cittadini.

Ma purtroppo, mai come in questo periodo, sappiamo bene da che parte puzza il pesce.

 

Il “mondo di mezzo” si mangia l’Italia was last modified: dicembre 10th, 2014 by Danilo Quinto

 

 

 

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Articolo pubblicato il 14/12/2014