Microstorie Natalizie… non sempre a lieto fine

Scritte da Erminia Fracchia - Quarta puntata

Quarta puntata

 

Protagonisti “buoni”: Maria e Giuseppe

Comprimari cattivi … troppi!


Questa è una microstoria che ho qualche difficoltà a narrare, perché tocca la categoria più indifesa… i bambini.


Giuseppe e Maria si sposano in un assolato mattino di maggio.


A loro cittadina, a nord di Bucarest, è molto ridente, piena di verde e di alberi.


Ma loro hanno già lo sguardo al futuro.


Giuseppe, architetto geniale, appassionato di storia e diacono di religione cristiano-evangelica, ha appena firmato un contratto con una nuova azienda nata da una joint venture tra una “rampante” ditta italiana ed una, altrettanto “rampante”, rumena.


Arrivano in Italia pochi mesi dopo, con un contratto a tempo indeterminato, un bello stipendio e una casa data loro per sei mesi, in attesa di trovare una sistemazione definitiva.


Appena arrivati Maria, diplomata assistente di sala operatoria, scopre che in Italia il suo diploma non è riconosciuto. Ma non si preoccupa, il marito guadagna bene e lei è un’ottima massaia.


Passano due mesi e, con gioia, apprendono che diventeranno genitori.


Dopo sei mesi la ditta chiede indietro la casa ma, per fortuna hanno già trovato un’alternativa.


È un po’ meno bella… ma che importa quando si è tanto felici?


Poi il dramma… la grande joint venture altro non era che una truffa per appropriarsi dei fondi stanziati dall’Unione Europea.


Da un giorno all’altro spariscono i fondi e soprattutto i proprietari … ora saranno in qualche paradiso fiscale a ridere di come sia facile truffare.

Maria, prossima al parto, ha un anticipo ed in sala operatoria ricorrono, pesantemente, al forcipe.


Nasce una piccola bellissima principessa, ma è completamente paralizzata.


Alle richieste dei giovani genitori su come sia potuto succedere, i medici, per coprire l’ennesimo caso di “malasanità”,  dichiarano che la bimba subiva le conseguenze di un’incompatibilità del fattore Rh non dichiarata.


Non mi dilungherò sui dati tecnici ma, in pratica, poiché tale situazione si riscontra solo nei secondogeniti, asseriscono che la neo mamma doveva aver abortito prima di questa gravidanza.


Inutili le lacrime ed i singhiozzi di Maria mentre afferma: “Mio marito ed io siamo credenti ed abbiamo atteso fino alle nozze in castità”.


Comincia il calvario di ospedali e medici, mentre Giuseppe, senza lavoro, accetta qualunque posto, dalla pulizia vetri la notte, allo scarico di cassette di frutta ai mercati generali, per poter pagare medicine e terapie.


Faceva il muratore, in nero ovviamente, quando l’ho conosciuto e mi ha raccontato la sua storia.


Ma Dio, il Dio in cui Giuseppe non ha mai smesso neppure per un attimo di credere, è buono e piano piano, con l’ausilio di dolorosi supporti metallici, la piccola comincia a camminare.


Ma per Maria l’angoscia è stata troppo forte.


Diventa acida, rabbiosa con il marito che, inconsciamente o meno, ritiene colpevole del loro stato di indigenza.


In tutte le situazioni cerca solo il guadagno, dai lavori alle amicizie, continuamente “affamata” di soldi. Questo fa perdere molte occasioni, non solo di lavoro, sia a lei che al marito.


Giuseppe allora torna in Romania, dove ha trasformato la piccola azienda agricola paterna in una moderna fattoria biologica.


Non divorzierà mai, perché la sua fede è più forte di tutto, ma è triste, soprattutto nel vedere la sua adorata bambina percorrere due volte l’anno la strada dall’Italia alla Romania come un piccolo, tenero, pacco postale.


Maria è rimasta in Italia, ma lui spera che un giorno, accompagnando da lui la loro intelligente figliola, sempre più bella e sicura sulle gambe, veda tutto il lavoro fatto per dare a loro tre un bel futuro e sorrida nuovamente come in quel giorno lontano di maggio.


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Articolo pubblicato il 18/12/2014