Bobby Solo: una vita a ritmo di Rock'n'Roll

Il grande cantante romano, si racconta in esclusiva assoluta, per i lettori di Civico20 News.

Cominciamo dal fondo…Bobby Solo 2014…cosa stai facendo di bello?

Sono felice. Sono felice perché due anni fa sono diventato nuovamente padre. Sto vivendo questa paternità con l’età di un nonno. Con i primi figli ero sempre in giro per il mondo e lasciavo mia madre a fare la baby sitter, non capivo il dono della vita. Adesso faccio delle riflessioni che a 23 anni non ero in grado di fare. Sto vivendo una bellissima parte della mia vita, grazie a questo bimbo, Ryan, di cui tutti gli altri miei figli sono innamorati. A livello salute…qualche acciacco dovuto all’età…a livello tournee…ne faccio nella misura giusta…4/5 date al mese…a livello discografico, siccome a marzo farò settant’anni, dovrei fare un nuovo cd e poi ho in mente un esperimento: un best con tutte le mie vecchie canzoni arrangiate in stile hip-hop, con interventi rap.

Ok. Permettimi…in questo “riassunto” hai dimenticato una cosa…il ciuffo!

C’è ancora! Un po stempiato ai lati…ma c’è ancora. Devo dirti che ho ripreso un vecchio prodotto che usavo tanti anni fa…siccome il gel diventa troppo secco, mettevo una piccola dose di “brill cream”, parliamo del 1967, che dava una bella oleosità, lo rendeva morbido. Adesso lo rifaccio, anche se non è facile riprendere questa pettinatura, perché è fuori moda. Si rifà a quella dei camionisti americani degli anni ’40 e non si usa più. Oggi il ciuffo c’è, ma si usa tutto rasato ai lati, ma io voglio rimanere legato alla mia tradizione.

Parlando di America, come sarebbe stata la vita di Bobby Solo senza il Rock’n’Roll?

Molto triste e molto monotona. Io ero un ragazzo timido e insicuro, senza un’idea davvero precisa di cosa voler fare da grande. Non amavo studiare, ma mi sarebbe piaciuto fare il ferroviere, perché lo vedevo come un lavoro molto statico, visto che fondamentalmente sono molto pigro. Poi a 14 anni ho conosciuto una ragazzina americana, figlia di un giornalista dell’Herald Tribune, che mi parlava di Elvis Presley, che io ancora non conoscevo. Io conoscevo Adriano Celentano, Little Tony, Johnny Dorelli. Ascoltando i dischi di Elvis ho capito quale sarebbe stato il mio destino. Elvis mi ha illuminato, mi ha indicato la via.

Ma naturalmente c’è anche la tua musica, quella che ti ha portato al successo in Italia e molte volte a Sanremo…

…yesss…

Ecco, come giudichi le ultime edizioni, con la musica che, diciamo…latita…

Guarda, il discorso è molto ampio e profondo. Prima cosa: le note sono 7 e sono state sfruttate al massimo. Se io compongo un pezzo nuovo oggi, giocoforza assomiglia a quello di qualcun altro. Le combinazioni migliori sono già state utilizzate. Seconda cosa: non c’era il digitale e si registrava in diretta. Suonando dal vivo si crea un pathos, un’emozione che il computer non da. Il computer è una macchina, fredda e senza cuore. Terza cosa: l’impatto visivo. Vuoi mettere Nilla Pizzi in bianco e nero, con la scollatura, il rossetto…la gente impazziva. Oggi siamo invasi dai canali TV, la gente ha visto tutto e non ha più bisogno di Sanremo. Sanremo sopravvive perché ci sono gli sponsor, è diventato uno spettacolo dove è più importante che Roberto Benigni tocchi gli attributi di Pippo Baudo, oppure che uno minacci di buttarsi dalla balconata. Ma se uno vuole la buona musica, cerca altrove. Lo si guarda per curiosità, per abitudine. E’ un business.

Un ricordo di Little Tony.

Tony è stata una persona dalla generosità enorme. Quando sono arrivato a Sanremo nel 1964, mia mamma mi aveva dato 10.000 lire, che dovevano bastare per tutto il soggiorno. Avevo un cappotto calla marinara, con l’orlo rifatto tre volte, avevo 19 anni e continuavo a crescere. Quando mi ha visto, lui era già famoso, mi ha adottato. Mi ha portato in giro con la sua spider, mi ha offerto pranzi e cene, mi ha fatto conoscere le donnine del night club…io certe donne così belle le avevo viste solo in foto…(sorride, ndr)…sai, non erano i 19 anni di oggi…poi negli anni seguenti abbiamo condiviso la passione per Elvis, che è durata cinquant’anni. E quando è morto Elvis, siamo andati a fare un’intervista alla RAI: mentre entravamo in studio, mi ha detto…adesso che Elvis è morto, non possiamo giocare più…poi l’ho aiutato durante una brutta crisi sentimentale, l’ho consolato e il Natale dell’anno dopo, ero io ad essere solo, a casa come un cane, mi invitò nella sua villa e mi regalò una chitarra Gibson, uguale a quella di Elvis nel film “Loving you” del valore di sei milioni di lire. Tony mi manca (gli si incrina la voce, ndr). Eravamo grandi amici, eravamo complici. Io so tutto di Tony, ma non lo dirò mai a nessuno. Conserverò i suoi segreti. Mi manca tantissimo.

(attimo di silenzio, ndr)

Senti…per chiudere, raccontami com’è andata veramente con la faccenda del play back di “Una lacrima sul viso”.

E’ molto semplice. Ci ho pensato tante volte anch’io per capire se davvero fosse stata una faringite…la realtà…(sorride di nuovo, ndr)…sono arrivato a Sanremo a 19 anni privo di esperienza, senza aver fatto la gavetta. Dalla seconda Liceo Classico al Festival. Quindi, alle prove, vedendo Paul Anka padrone della scena…”ogni volta, ogni volta che torno…” (si mette a cantare, ndr), poi Frankie Avalon, poi Bobby Rydell…ho visto dei mostri del professionismo. Io ero un dilettante! Me la sono fatta sotto! Ho perso la voce! (ride, ndr). Mi sono emozionato. Tutto qua.

Grazie. E grazie per la tua disponibilità e la tua simpatia. Posso augurarti altri…trent’anni di musica…???

Grazie. Grazie a te. Guarda, io mi alzo ogni mattina e dico…questo nuovo giorno devo godermelo, perché potrebbe essere l’ultimo. Ogni giorno è un dono di Dio.

Stay always tuned !!!

Ringrazio Tina Rossi per le splendide foto di questo servizio.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 02/12/2014