Con lo scatto della Storia

Dura fino a febbraio 2015 alla Venaria Reale la retrospettiva fotografica “A occhi aperti”

“Ci sono fatti, pezzi di Storia, che esistono soltanto perché c’è uno scatto che li racconta”, osservava Mario Calabresi, presentando il suo libro illustrato dedicato alla preziosa opera informativo-documentaristica, ma pure critica, dei fotogiornalisti, “testimoni dei nostri tempi”; basti pensare - menzionava allora ad esempio il direttore del principale quotidiano torinese - al caso dell’anonimo P.p. (cioè Prague photographer), le cui immagini, riprese con incredibile coraggio e sangue freddo attraverso l’otturatore dell’inseparabile Rolleiflex e fortunosamente pubblicate sul Sunday Times, mediante l’Agenzia Magnum, rimasero impresse nella mente di tutti a perenne ricordo dei carri-armati T62 sovietici che invadevano le strade della capitale ceca nell’estate del 1968. L’ignoto artefice del servizio era, come fu divulgato in seguito, Josef Koudelka.

Grazie alla collettiva retrospettiva in corso alla Reggia di Venaria, inaugurata già a luglio e aperta sino all’8 febbraio prossimo, è possibile viaggiare idealmente per guardare il mondo con gli occhi - l’ottica - di dieci grandi reporter internazionali, intrepidi spesso al limite della temerarietà (a rischio della pelle, oltreché della pellicola...), di cui sono esposte complessivamente un centinaio di stampe in bianco-e-nero e a colori, scelte proprio a partire dal volume di Calabresi, che conosce o ha “scovato” personalmente gli autori: accanto al succitato Koudelka (da Cecoslovacchia e Romania), Abbas e la rivoluzione khomeinista iraniana del ’78-79, o i combattenti afghani (1992); Gabriele Basilico e i suoi celebri scorci di periferie urbane, a Milano, o nella Beirut sfigurata da una guerra endemica con periodiche pause di tregua (1991); Elliott Erwitt ad Arlington durante le esequie del Presidente J.F.K., con l’affranta vedova Jackie, il 25 novembre 1963 (cade l’anniversario, n.d.r.), o Paul Fusco lungo le rotaie del treno funebre di Bob Kennedy nel giugno del ’68; Don McCullin tra le vittime belliche civili e i soldati in Vietnam o a Cipro; Steve McCurry letteralmente anzi materialmente sprofondato nel fango (situazione, ahinoi, molto vicina, familiare - ieri e oggi - agli Italiani!) delle alluvioni monsoniche in India e Bangladesh nel 1983; Paolo Pellegrin, anch’egli addentro al conflitto libanese e palestinese (2006)Sebastião Salgado in Africa, in cammino insieme alle genti nomadi della regione del Sahel, colpita da una disastrosa siccità e carestia (The End of the Road, 1984); Alex Webb con gli immigrati irregolari alla frontiera fra Messico e U.S.A. (1979).

Se il cinema, col falso movimento, è l’immortalante “morte al lavoro” - secondo il famoso motto mutuato da Cocteau -, l’obbiettivo dell’apparecchio fotografico, appunto, sia digitale sia analogico, ovvero la macchina ammazzacattivi di Roberto Rossellini ed Eduardo De Filippo, mantiene in vita, poiché recupera, fissa e ferma forse per sempre sul labile supporto fisico, plastico e cartaceo, o quello virtuale a pixel dell’archivio in memoria d’un cervello-elettronico, magari su una nuvola, le effimere schegge di specchio del passato, epocali metonimie di cronaca, nei chiaroscuri di significative avventure e sventure dell’Umanità, altrimenti destinate a svanire nella dimenticanza (a perdersi “quali lacrime nella pioggia”, direbbe il replicante Roy, assai tagliente, di Blade Runner), così invece inscritte nella lapide di luce di folgoranti epifanie momentanee. Istantanee. Icone contro l’oblio. Meglio di un fiume di parole.


"A occhi aperti

Quando la Storia si è fermata in una foto"

Mostra collettiva retrospettiva

Fino all’8 febbraio 2015

 

Reggia della Venaria

Sala delle Armi

P.za della Repubblica, 4 – Venaria R.le (To)

Info: 011-4992333 

 

www.lavenaria.it

www.lavenaria.it/mostre/aocchiaperti

 

per le immagini © aut./MagnumPhoto/Contrasto/LaVenaria

 

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Articolo pubblicato il 25/11/2014