Gli “apocrifi” di Sherlock Holmes

A Londra, sul finire del XIX secolo, apparvero libri destinati a creare personaggi e situazioni immortali dell’orrore e della fantascienza, entrati in “apocrifi” holmesiani

Si può ritenere che il Canone cioè i cinquantasei racconti e i quattro romanzi, scritti da Arthur Conan Doyle, che hanno come protagonista Sherlock Holmes, sia stato tradotto in un numero di lingue inferiore soltanto a quelle della Bibbia. È recente la sua versione in swahili.

Ribadita così l’importanza e la statura letteraria di Sherlock Holmes, dobbiamo analizzare un fenomeno che è tipico e quasi esclusivo di questo personaggio, cioè la produzione degli “apocrifi”.

Secondo la definizione di Falzon, l’opera che ripropone la figura di Sherlock Holmes ma di cui Conan Doyle NON è l’autore si può definire “apocrifo”, in mancanza di un termine più felice.

Sinonimo di apocrifo è “pastiche”, cui pare decisamente preferibile “apocrifo”.

Va ricordato che il linguaggio degli appassionati di Sherlock Holmes ricalca quello teologico, per cui parlano di “Canone” e di “apocrifi”, oltre al dogma centrale riguardante la reale esistenza di Sherlock Holmes (Olivero, 2002).

Sempre secondo Falzon, l’autore dell’apocrifo è denominato “autore secondo”, totalmente subordinato a Arthur Conan Doyle, considerato come “autore primo”.

Gli “apocrifi” rappresentano un fenomeno molto interessante ed è stato loro dedicato il I° Convegno Nazionale su “Il Romanzo Popolare: il caso Sherlock Holmes” che si è svolto a Roseto degli Abruzzi (Teramo) nei giorni 5-7 Luglio 2002, organizzato dall’Accademia Piceno Aprutina dei Velati col suo Presidente, professor Franco Eugeni. Oltre alle importanti comunicazioni dei relatori, dal convegno sono scaturiti i due volumi “Sherlock Holmes: ‘il grande detective di rinomanza internazionale’ Raccolta di pastiches, inediti, parodie, cronologie e osservazioni”, a cura di Franco Eugeni e Leo Marchetti (2000).

Alla nascita e al proliferare di “apocrifi” hanno contribuito svariati fattori concomitanti. Molti sono legati a fatti commerciali, come il forte successo del personaggio che portò alla precoce comparsa di parodie e di imitazioni. Qualche apocrifo venne alla luce anche con la benedizione di Arthur Conan Doyle.

Del Buono (1981) narra con dovizia di simpatici dettagli le vicende di una commedia con Sherlock Holmes come protagonista, inizialmente scritta da Arthur Conan Doyle e totalmente rimaneggiata dall’attore americano William Gillette (col plauso di Arthur Conan Doyle che scrive alla madre: «Gillette l’ha trasformata in una commedia bellissima!»), andata in scena con successo in America e in Inghilterra nel periodo in cui Sherlock Holmes era ufficialmente morto alle cascate del Reichenbach.

Va ricordato, a questo proposito, che sono per così dire apocrifi anche due elementi tipici di Sherlock Holmes, come il tipico aspetto e l’abbigliamento, in particolare il cappello da cacciatore di cervi, ideati dal disegnatore Sidney Paget e l’espressione «Elementare, Watson!», imposta dall’attore William Gillette, il quale era una vera e propria incarnazione di Sherlock Holmes, tanto che Arthur Conan Doyle quando lo vide per la prima volta rimase senza parola.

Dopo queste premesse, vogliamo soffermarci su un particolare aspetto degli “apocrifi” holmesiani, cioè quelli collegati ad alcuni scrittori londinesi della fine del XIX secolo: negli anni in cui Arthur Conan Doyle pubblicava i romanzi e i racconti del Canone, sempre a Londra, apparvero anche altri libri destinati a creare personaggi e situazioni immortali non soltanto nel campo del poliziesco, ma anche dell’orrore e della fantascienza.

Si iniziò con la pubblicazione, nel 1886, del racconto “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” di Robert Louis Stevenson.

Arthur Conan Doyle pubblicò “Uno studio in rosso” nel 1887.

In Australia, Fergus Hume pubblicò “The Mystery of a Hansom Cab”, che ebbe uno splendido successo editoriale (Ciriello, 1993).

L’anno seguente si verificarono le sinistre imprese di Jack the Ripper (preferiamo la dizione originale «the Ripper» a quelle italiane sempre un po’ infelici di «Squartatore» o «Sventratore»).

“Il segno dei quattro” uscì nel 1890, nel 1897 Bram Stoker pubblicò “Dracula”. Contemporaneamente, Herbert George Wells, diede alle stampe il suo romanzo “La guerra dei mondi”, sul “Cosmopolitan Magazine” nel 1897 e in volume nel 1898.

Così tutti questi personaggi letterari e, anche in misura minore, i loro autori sono entrati in numerosi apocrifi. Lo stesso Jack the Ripper è diventato un personaggio letterario.

Iniziamo con Robert Louis Stevenson, autore di un inquietante racconto come “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”, quasi anticipatore delle imprese del vero Jack the Ripper.

Lauren D. Estleman, l’autore che nel 1978 fa incontrare Sherlock Holmes con Dracula, mette Sherlock Holmes a confronto con il personaggio “cattivo” di Stevenson, in “Dr Jekyll and Mr Holmes” (New York, 1979).

Per contro, in “Sherlock Holmes in the Curious Case of the Vanishing Villain”, di Gordon Rennie, è il “buono” dottor Jekyll che ricorre a Sherlock Holmes, in seguito alla scomparsa di Hyde dalle pagine del romanzo: è fuggito dal «noioso racconto» di Stevenson per entrare nel mondo più emozionante di Edgar Allan Poe (de Zordo, 2000).

Un altro scrittore inglese dell’epoca vittoriana, Herbert George Wells, compare negli apocrifi per il suo romanzo “La guerra dei mondi”. Sherlock Holmes si allea al professor Challenger per sgominare i marziani. Lo dicono Manly W. Wellman e Wade Wellman in “Sherlock Holmes’s war of the worlds” (New York, 1975). Dal libro emergono anche strani rapporti tra Sherlock Holmes e la signora Hudson.

L’anno seguente i marziani fanno un nuovo tentativo di invadere la Terra ma Sherlock Holmes e Watson li mettono in fuga. Lo narra George H. Smith in “The second war of the worlds” (New York, 1976).

Anche se non coinvolge Sherlock Holmes, vogliamo ricordare il romanzo di fantascienza di Karl Alexander, “Time After Time” (New York, 1979).

Jack the Ripper fugge nella macchina del tempo di H. G. Wells – il libro “La macchina del tempo” era apparso nel 1895 - e arriva nella San Francisco del Novecento, dove è inseguito da Wells. Questo romanzo ha ispirato il film di Nicholas Meyer, “Time after Time” (1979).

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 30/10/2014