Sherlock Holmes e la polizia scientifica

Orme di persone e altre tracce

Le orme sono l’elemento più importante nelle indagini di Sherlock Holmes e talora gli permettono di ricostruire nelle linee essenziali il succedersi degli avvenimenti: lo sottolinea Federica Bonalumi (2002) evidenziando come il nostro detective non dimostri altrettanto interesse per le impronte digitali.

 

Le orme erano già presenti in altre opere letterarie, anche non appartenenti al filone della detective story. Honoré de Balzac descrive il reperto di orme nella polvere, nella novella “Maître Cornelius” del 1831, la cui trama essenziale si trova nel Libro di Daniele, nel Vecchio Testamento.

 

In “Monsieur Lecoq” (1869), per rilevare delle significative impronte nella neve, Lecoq ricorre al gesso, perché non dispone della gelatina che sarebbe stata necessaria per ricorrere al procedimento di Hugolin, previsto dalla manualistica dell’epoca.

 

Può essere curioso ricordare un fatto criminale realmente commesso nel regno di Sardegna nel 1851, quando l’anziano sacerdote don Tommaso Re venne ucciso a colpi di falcetto, la sera dell’11 marzo 1851, sulla strada da Saluzzo a Revello. Sul luogo del delitto furono trovate le orme lasciate dall’assassino nel fango insanguinato, che furono accuratamente riprodotte con un «processo plastico». Con altri indizi, queste impronte portarono all’incriminazione di un vagabondo, Chiaffredo Borgna di ventiquattro anni, di Martiniana Po (Cuneo), condannato a morte con sentenza dell’11 dicembre 1851 e impiccato il 10 febbraio 1852 (Julini, 1999).

 

Holmes è ben conscio dell’importanza delle orme. Nei suoi esami della scena del crimine non le trascura oppure si rammarica che i poliziotti le abbiano cancellate. Afferma che «… nella scienza dell’investigazione non c’è un’altra branca più importante e più trascurata dell’arte di riconoscere le orme» (“Uno studio in rosso”, 1887). Ha anche pubblicato una monografia “Sul modo di riconoscere le impronte” (data presumibile il 1897), che contiene alcune osservazioni sull’uso del gesso per fissare e conservare le impronte stesse (“Il segno dei quattro”, 1890). Dalle impronte del piede Holmes calcola approssimativamente l’altezza della persona e ricava molte altre informazioni. In questo modo, arriva praticamente a descrivere l’assassino, indicandone l’altezza, il tipo di scarpe che indossava, l’andatura claudicante (“Il mistero di Boscombe Valley”, 1891).

 

Ne “L’avventura del diadema di berilli” (1892), dopo un esame meticoloso delle orme, Holmes rileva particolari non attinenti al furto - come il fatto che il fidanzato della cameriera abbia una gamba di legno - ma soprattutto ricostruisce sommariamente l’accaduto, scagiona da una ingiusta accusa il figlio del derubato, trova le impronte del vero ladro che in seguito confronta con un suo stivaletto.

Ne “Il paziente fisso” (1893), l’incursione nella camera della vittima è provata da una chiara impronta. Immediatamente Holmes esclude un intervento del dottor Trevelyan, con un veloce confronto delle sue calzature con l’orma.

Ne “I pupazzi ballerini” (1903), Holmes stabilisce il sesso della persona a partire dalla contorno delle sue orme e ne “Il caso dell’uomo deforme” (1893), deve addirittura occuparsi delle tracce di una mangusta (Bonalumi, 2002).

 

A proposito delle tracce lasciate dai pneumatici di bicicletta sul terreno umido, Holmes dice di essere in grado di capire la direzione presa (“La scuola del priorato”, 1904). Questa affermazione, come scrive lo stesso Conan Doyle nella sua autobiografia, gli fu vivamente contestata da molti lettori, tanto che si sentì in dovere di verificare con la sua bicicletta. Giunse a una spiegazione che sosteneva l’affermazione di Holmes, ma che era diversa da quella inizialmente prospettata (Agostinis, 2000).

 

Può essere curioso ricordare a questo proposito che Cesare Lombroso scrisse uno studio intitolato “Il ciclismo nel delitto” (1900).

 

Sulla scena del crimine e sulle persone coinvolte, inoltre, Holmes osserva macchie, polvere e residui vari (Agostinis, 2000). È autore di una monografia “Sulle differenze tra le ceneri di diversi tipi di tabacco”, con illustrazioni a colori, più volte ricordata (“Uno studio in rosso”, 1887; “Il segno dei quattro”, 1890, “Il mistero di Boscombe Valley”, 1891).


Secondo il chimico Luigi Garlaschelli, questa capacità di riconoscere a occhio nudo i vari tipi di cenere di tabacco e di sigaro sarebbe quasi miracolosa!

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Articolo pubblicato il 21/10/2014