Sherlock Holmes e la polizia scientifica

Il microscopio (e l’amore)

Il microscopio è uno strumento, considerato il simbolo della indagine scientifica. Già ampiamente utilizzato dalla polizia, in letteratura, come si può leggere nella “Lettera rubata” di Poe (1845), nel Canone (come si indicano i cinquantasei racconti e quattro romanzi, scritti da Arthur Conan Doyle, che hanno come protagonista Sherlock Holmes) compare soltanto nell’ultimo racconto, “L'avventura di Shoscombe Old Place” (1927).

 

La vicenda si apre con un elogio dell’impiego del microscopio nelle indagini di polizia. Sherlock Holmes ne utilizza uno di portata modesta, e finalmente dopo un lungo esame esclama con soddisfazione: «È colla!». Mostra a Watson il campo microscopico dove si osservano fili che provengono da una giacca di tweed, masse grigie irregolari di polvere, frammenti di epitelio e, al centro, piccole macchie di colore marrone che sono sicuramente colla.

 

Holmes spiega che nel caso di St. Pancras, accanto a un poliziotto ucciso, è stato trovato un berretto. L’accusato nega che sia suo, ma è un corniciaio che impiega abitualmente la colla per il suo lavoro. Holmes ha condotto l’esame microscopico per fare un favore all’ispettore Merrivale di Scotland Yard.

La polizia londinese ha finalmente capito l’importanza del microscopio nelle indagini perché in precedenza Holmes ha smascherato un falsario evidenziando all’esame microscopico filamenti di rame e zinco nelle cuciture dei suoi polsini.

In questo modo, nota impietoso il critico Garlaschelli, Conan Doyle attribuisce a Holmes la prodigiosa perizia di riuscire a identificare al microscopio la limatura di zinco e rame e granuli di materiale amorfo come la colla, reperti che decideranno della vita di un uomo!

 

A proposito di microscopio e di lenti impiegate da Holmes per le sue investigazioni, non è strano se esponiamo qualche cenno sulla sua concezione dell’amore mentre parliamo delle tecniche investigative.

 

Dobbiamo premettere che Holmes considera l’amore come un qualcosa che disturba l’investigazione.

 

Lo dice ne “Il segno dei quattro” (1890) quando Watson gli annuncia il suo matrimonio: «… l’amore è una emozione, e tutto ciò che è emozione contrasta con la fredda logica che io pongo al disopra di tutto. Personalmente, non mi sposerei mai per non alterare le mie facoltà mentali».

 

Lo ribadisce ne “L'avventura della Criniera di Leone” (1926): «Le donne mi hanno sempre interessato pochissimo, poiché il mio cuore è stato costantemente dominato dal mio cervello».

 

Questa visione di Holmes è ulteriormente chiarita da Watson in “Uno scandalo in Boemia” (1891), dove espone un esplicito collegamento con lenti, microscopi e apparecchiature scientifiche: «Non che egli provasse un’emozione simile all’amore nei confronti di Irene Adler.

 

Tutte le emozioni e quella in particolare, erano respinte con orrore dalla sua mente fredda, precisa, mirabilmente equilibrata. A mio parere, era la più perfetta macchina pensante e ponderante che esista al mondo ma il sentimento amoroso lo avrebbe messo in una posizione falsa. Non parlava mai delle passioni più dolci se non con un sorriso ironico e beffardo.

 

Erano utili all’osservazione – uno strumento eccellente per sollevare il velo che ricopre motivi e azioni dell’umanità. Ma per un professionista del ragionamento, ammettere questi elementi estranei nel delicato macchinario di precisione del proprio temperamento equivaleva ad introdurre in esso un fattore di distrazione che avrebbe potuto pregiudicarne tutti i risultati mentali. Per un carattere come il suo, un granello di sabbia in un strumento particolarmente delicato o un’incrinatura in una delle sue potenti lenti non gli avrebbero arrecato maggior disturbo di un’emozione profonda».

 

L’amore per Holmes rappresenta dunque un guasto o almeno il cattivo funzionamento di una apparecchiatura scientifica e disturba l’attività investigativa!


La pensavano come lui anche i burocrati del neonato Regno d’Italia, quando in una monumentale circolare del ministero dell’interno, in data 27 settembre 1862, contenente Norme generali per l’amministrazione del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, scrivevano: «In ogni modo si esortano i signori Prefetti a volere, ove sia possibile, … desistere totalmente dagli arruolamenti degli ammogliati o vedovi con prole, perché la condizione di questi Agenti è sempre tale che distrae dalla disciplina e dal servizio …».

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Articolo pubblicato il 20/10/2014