Torino “scomparsa”

Trasformare via Porta Palatina nel corso Cesare Augusto?

Nella Torino degli anni ’30 del Novecento fervono i lavori di abbellimento e di “risanamento” come al tempo è chiamata la demolizione degli isolati della Torino romana per sostituirli con caseggiati moderni, di solito in stile razionalista. Il rifacimento di maggiore entità è quello dei primi sei isolati di via Roma, da piazza San Carlo a piazza Castello: inizia nel 1931 e gli edifici abbattuti sono sostituiti con edifici porticati in stile eclettico. Questa primo tratto è inaugurato il 28 ottobre del 1933.

 

Il rinnovamento di via Roma crea problemi di viabilità: si scarica sulle vie laterali il servizio tramviario e il traffico pesante da Porta Nuova ai quartieri orientati sul corso Regina Margherita. Un corollario del rifacimento del primo tratto di via Roma è quindi il “risanamento” dei due isolati di Sant’Eusebio e di Sant’Aventino, che permette di allargare la via Bertola e, soprattutto, la via San Tommaso. Ne abbiamo già parlato in un precedente articolo.

 

Nel 1933, parlando del “risanamento” di questi due isolati, il cronista de “La Stampa” spiega come sia nata l’idea di affiancare a via Roma una arteria parallela, che raggiunga Porta Palazzo dal corso Vittorio Emanuele II, senza strozzature. La via XX Settembre non è adatta e si è deciso di utilizzare la via Arsenale, con la sua prosecuzione in via San Tommaso e in via Porta Palatina.

 

Via San Tommaso e via Porta Palatina formano l’antico “cardo” romano e ne mantengono le dimensioni: per giungere al corso Regina Margherita, con l’arteria prevista lo “sventramento” deve assumere proporzioni imponenti, come prevede il cronista fin dal 1933. Eliminato fin dal 1934 lo strozzamento che l’isolato di Sant’Aventino in via San Tommaso, il tratto di via San Tommaso tra via Pietro Micca e via Garibaldi, appare angusto, anche se è stato ricostruito l’isolato all’angolo di via Monte di Pietà, con un palazzo in stile razionalista: questo allargamento, secondo il cronista del 1933, «aveva iniziato a immettere aria nella vecchia strada».

 

Questo progetto di allargamento non è stato realizzato: i due successivi isolati di via San Tommaso mantengono ancor oggi le dimensioni del quadrato romano, come si può notare dalla via Pietro Micca, da dove la via San Tommaso assume un caratteristico aspetto a imbuto.

 

Tornando al 1933, la parte più difficile della creazione dell’arteria per corso Regina è rappresentata da via Porta Palatina, che continua il tracciato del cardo romano oltre la via Garibaldi, tocca piazza Corpus Domini, incrocia la via Palazzo di Città e la via Cappel Verde e, dopo la via IV Marzo, prosegue lungo un asse lievemente spostato. Il cronista de “La Stampa”, nel 1933, inizia quella campagna di “terrorismo igienico” costantemente attuato negli anni ’30 quando si parla delle antiche costruzioni, per giustificare il ricorso al “piccone risanatore”. La via Porta Palatina è così descritta: «Stretta, tortuosa, dall’aspetto fosco all’esterno, cela nelle mura delle sue case una situazione igienica ed edilizia da mettere i brividi. Gli interni sono dei labirinti, dove raggio di sole forse non è mai penetrato. Affacciarsi a quegli androni vuol dire ricadere nella vita dei secoli passati».

 

L’idea dell’allargamento e del collegamento con corso Regina negli anni successivi ha una ulteriore evoluzione. Così la presenta il giornalista Carlo Merlini: «Una grandiosa opera di risanamento edilizio e al tempo stesso, di solenne esaltazione storica è stata deliberata dal Municipio. La seconda laterale a destra di via Garibaldi, quella via Porta Palatina che vanta memorie secolari, ne uscirà trasformata, pur conservando integre le nobili vestigia del passato.

La trasformazione, oltreché allo scopo di creare una modernissima arteria di traffico mira infatti ad assicurare più degna esistenza a monumenti ragguardevoli o addirittura insigni. Col progetto già definito, l’odierna via - larga, secondo i punti, da sei a nove metri - diventerà un superbo corso largo metri diciotto, al quale verrà imposto il nome di Cesare Augusto» (“Stampa Sera”, 29/07/1935).

 

L’allargamento della via comincerà dall’angolo con via Garibaldi e avverrà sul lato alla destra, a sinistra si trovano edifici da conservare, il fianco della Basilica del Corpus Domini e la facciata della chiesa dello Spirito Santo.

L’allargamento a destra permetterà di riportare in luce la maestosa abside della cappella del Seminario, costruita nel 1723, con l’intero palazzo, su disegni di Filippo Juvarra. Il giornalista Merlini enfatizza questo aspetto “artistico” della creazione del corso Cesare Augusto, sottolinea le difficoltà per ammirare l’abside juvarriana: «Bisogna entrare nel cortile dello stabile numero 8 di via Porta Palatina, dove oscure abitazioni, bottegucce e magazzini contrastano con la severa mole dell’edificio settecentesco a cui si addossano».

 

Sarebbero stati così ridimensionati, e valorizzati, i primi tre isolati della via Porta Palatina, compresi tra le vie Garibaldi, Palazzo di Città, Cappel Verde e via IV Marzo (questo tratto la via Porta Palatina conserva ancor oggi il suo antico aspetto!). Il corso Cesare Augusto avrebbe fatto risaltare anche la casa Broglia, o Albergo della Corona Grossa, posta sull’angolo di via Torquato Tasso, costruzione della fine del Medio Evo (secolo XVI) che l’architetto Riccardo Brayda, mezzo secolo prima, aveva riportato all’antico stile.

 

Merlini accenna poi alla costruzione posta all’angolo con via Basilica, nota come la casa di Filiberto Pingone, consigliere aulico del duca Emanuele Filiberto, passato alla storia come “Monsù Pingon” e personificazione dei tempi remoti. Nel 1935, la casa Pingone è soltanto un vetusto edificio con un’alta facciata di colore giallino sbiadito, dove un breve arco ribassato con semplice cornice in cotto ricorda l’antica architettura. Non si parla ancora del restauro, eseguito soltanto nel 2000.

 

L’ultima operazione, forse la più rilevante per l’antica struttura della via Porta Palatina, è la prevista costruzione di un roboante Palazzo della Provincia che occuperà l’intero isolato di Santa Lucia, tra il corso Cesare Augusto e la piazza San Giovanni, la via IV Marzo e della Basilica. La demolizione di questo isolato, eseguita nel 1936, comporta l’abbattimento di Palazzo Richelmy, edificio porticato di Carlo di Castellamonte risalente al 1622, ma la guerra impedisce la realizzazione del Palazzo della Provincia.

Ma di questa storia, che riguarda anche la piazza San Giovanni, parleremo un’altra volta.

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Articolo pubblicato il 06/10/2014