Torino “scomparsa”

C’era una volta il Borgo del Rubatto…

Parliamo dell’antico borgo del Rubatto, posto lungo l’attuale corso Moncalieri, dove fin dalla metà del ‘700 è segnalata la presenza di un folto gruppo di case, dove vivono barcaioli e lavandaie. Ne abbiamo anche una immagine visiva, con una litografia di Vaudone su disegno di Francesco Chardon, datata al 1844.

 

Per parlare del borgo del Rubatto, ci aiutiamo col libro “Passeggiate nei dintorni di Torino” (1853) scritto dell’erudito sacerdote Giuseppe Baruffi (Mondovì, 1801-Torino, 1875).

 

In compagnia di Baruffi attraversiamo il Po sul ponte in pietra di piazza Vittorio, raggiungiamo l’attuale corso Moncalieri, troviamo il piccolo aggregato di case del Borgo Po strette alla chiesa della Gran Madre, procediamo lungo la riva assai poco antropizzata e, giunti più o mano all’altezza dell’attuale via Mazzini (sull’altra sponda), giriamo a sinistra per incamminarci lungo l’ampio sentiero della Valle dei Salici che si apre lungo il muro ai piedi della Chiesa dei Cappuccini, appena varcato il piccolo ponte che attraversa il rivo Paese.

 

Si attraversa così il piccolo borgo del Rubatto, nome che deriva dalla famiglia dello stesso nome, un tempo proprietaria di questo luogo: un conte Rubatti morì nel 1799 e le sue spoglie sono sepolte nella cappella di una villa privata della regione.

Baruffi lo presenta come uno dei borghi torinesi più ricchi di lavandai: lo dimostrano i panni stesi qua e là e le lavandaie che si scorgono lungo le rive del Po e del torrente. Il piccolo borgo cresce a vista d’occhio, presto si unirà al Borgo Po e procede in direzione di Moncalieri, lungo il fiume Po. Nella bella stagione e nei giorni di festa si svolgono balli campestri nei vicini prati e, talvolta, anche in mezzo alla pubblica strada, quella che diventerà il corso Moncalieri!

 

Al Rubatto si trova una caserma con buoni musicanti: Baruffi ritiene che, utilizzando questa musica militare, si potrebbe facilmente organizzare la festa annuale delle lavandaie, come quella che si celebra a Parigi sui battelli-lavatoio della Senna, con elezione della regina delle lavandaie.

Questa sua idea non sarà però messa in atto.

 

Il Rubatto è un borgo in crescita, sviluppa una sua vocazione micro turistica, come scrive lo stesso Baruffi: sorgono nuove case, si aprono nuove botteghe e, soprattutto, caffè e osterie con giardinetto per attirare nei giorni di festa gli operai “di Torino”. Il “giardinetto” è la famosa “tòpia” che richiama gli operai torinesi perché presenta loro un ambiente campagnolo, lontano dall’affollamento della città, dove non esistono veri quartieri operai e questi vivono nell’affollatissimo centro storico del quadrato romano, ancora di impianto medievale, con vie strette, maleodoranti e senza sole.

 

La cronaca nera della «Gazzetta Piemontese» deve occuparsi di alcune di queste gite al Rubatto di operai torinesi. Eccone un primo esempio, pubblicato il 23 settembre 1872. Il giorno prima, una comitiva di giovani operai, fra cui diverse donne, è andata a divertirsi fuori della Barriera di Piacenza, oltre il Rubatto. La Barriera di Piacenza si vede ancora oggi, in uno slargo di corso Moncalieri, di fronte a via Marsala: è quella costruzione col portico, dove alloggiavano le Guardie daziarie che controllavano le merci in entrata.

 

Verso sera, i giovani operai hanno fatto cena nella Trattoria dei Cacciatori. Nella sala da pranzo, al muro era appesa una pistola e il sellaio Giovanni R., di 32 anni, ubriaco o poco pratico di armi, l’ha impugnata per scherzare con la sorella Teresa, di 35 anni. L’arma è scattata ed ha ferito la donna piuttosto gravemente ad una gamba. La comitiva era costernata, Teresa perdeva molto sangue ed è stata messa nel letto dell’oste, qualcuno è corso a chiamare un medico dell’Ospedale San Giovanni. L’arma è stata sequestrata dai poliziotti accorsi sul luogo.

 

Dopo alcuni anni, la «Gazzetta Piemontese» di lunedì 24 gennaio 1876, in Cronaca Nera, racconta che al Rubatto vi è stata la notte precedente un violento diverbio fra alcuni giovinastri, che si sono scambiati botte e coltellate. Uno dei litiganti, un fonditore in ghisa di 26 anni, ha riportato nella mischia ferite di coltello al costato sinistro, giudicate gravi dai medici dell’ospedale di San Giovanni, dove è stato ricoverato. Due dei feritori sono stati arrestati dai carabinieri.

 

Qualche domenica “santificata” a coltellate non impedisce la continuazione di queste gite domenicali, descritte come frequenti ancora nel 1926 dal giornalista Pietro Abate Daga: trattorie e bettole si sono moltiplicate e, quando scrive Abate Daga, nella Valsalice non si contano più.

 

Il Rubatto non è solo micro turismo, dobbiamo illustrarne alcune realtà.

Vi si può giungere attraversando il Po con il “ponte di ferro”, posto in fondo all’attuale corso Vittorio Emanuele II: è il ponte che porta il nome della regina Maria Teresa, moglie del re Carlo Alberto, un ponte sospeso, costruito nel 1840, che si attraversa a pagamento (5 centesimi) e che è anche tristemente noto come “ponte dei suicidi”.

 

Attraversato il Po, si trova subito un poligono di tiro militare, dove si esercitano i cannonieri. Baruffi, nel 1853, si augura che questo poligono sia dismesso e che sulla spianata di fronte al “ponte di ferro”, venga fabbricato un buon numero di eleganti case con portici, disposte a semicerchio: si potrebbe così ottenere uno stupendo quartiere con una bella piazza, questo il suo primo auspicio. Poi, in futuro, sarebbe bello sostituire l’umile ponte in ferro con uno monumentale di marmo e così abbellire Torino.

 

La riqualificazione auspicata da Baruffi si avvera soltanto in parte nel 1906 quando il ponte in ferro è abbattuto e sostituito dal ponte monumentale Umberto I.

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Articolo pubblicato il 18/09/2014