Augusta Taurinorum e umorismo torinese

Le statue di Cesare Augusto e di Giulio Cesare coinvolte a Torino nella segnaletica postribolare

Dopo aver letto su “Civico 20 News” l’articolo intitolato “Testimonianze e Arte ricordando le città augustee”, mi è venuta in mente una battuta di spirito nata a Torino quando vennero collocate copia delle statue romane di Cesare Augusto e di Giulio Cesare davanti alla Porta Palatina, liberata dalle incrostazioni medievali che l’avevano trasformata in una caserma della Polizia municipale del Vicariato e poi in un carcere femminile, rimasto attivo fino al 1870.

 

Il regime fascista amava in modo particolare la Porta Palatina come testimonianza della città che nel I secolo d. C. si chiamava Augusta Taurinorum, e riteneva che queste vestigia fino ad allora fossero state neglette. Con molta retorica, erano state collocate queste statue di Cesare Augusto e di Giulio Cesare per valorizzarne la “romanità”.

 

Qualche bello spirito torinese trovò il modo di ironizzare: valendosi della posizione delle mani delle due statue, escogitò questo dialoghetto tra loro e un passante che voleva sapere dove si trovavano le case di tolleranza.

 

Il passante chiede ad Augusto: Ch’a scusa, monsù, ‘ndoa a l’è ‘l casin?

(Scusi, signore, dov’è il casino?).

 

Augusto, indicando col dito: Monsù, a son lagiù, an via Conte Verde!

(Signore, sono laggiù, in via Conte Verde).

 

Giulio Cesare, che pare far scorrere le dita della mano sinistra sul pollice, come per indicare del denaro, ricorda al passante che in via Conte Verde vengono erogate prestazioni “a pagamento”: Monsù, ma a costa! (Signore, ma costa!)


In via Conte Verde vi era una serie di case chiuse di basso livello ma a costo contenuto, molto frequentate, così assiduamente che una lunga fila di uomini entrava e un’altra usciva, tanto che la via era indicata popolarmente come “via Rotaie”. Anche questo appartiene alla “Torino scomparsa!”

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Articolo pubblicato il 06/09/2014