L'Isis non fa paura.

Dietro all'espansione del Califfato Islamico una serie di fattori che ne hanno condizionato la sopravvivenza. Adesso, tuttavia, il terreno fertile è finito.

 

Che l'Isis abbia dimostrato capacità di penetrazione nei territori mediorentali è fuori da ogni dubbio. Altresì non si possono mitigare i metodi barbari e truci, un'intolleranza religiosa degna dei peggiori regimi della storia del mondo e una fitta rete di cellule sparse per il mondo intero.

 

Ma possiamo considerare i sunniti del califfato islamico tanto pericolosi da temere un'espansione su scala macroregionale, tanto forti da giungere in Africa, nelle zone asiatiche più lontane o addirittura in Europa ? Approfondendo un'analisi circa la forza effettiva dell'Isis e gli sviluppi della sua ascesa, ci si può rendere conto che da un punto di vista militare questa fazione estremista è assolutamente inadatta a travalicare i confini entro cui adesso sopravvive.

 

Le zone entro cui l'Isis è riuscita a spadroneggiare sono zone di nessuno: se nel caso dell'Iraq si ha uno stato che non si è mai ripreso dal dopo-guerra con la NATO, con istituzioni deboli e un esercito mai ricostruito completamente, nel caso della Siria si arriva addirittura alla situazione di uno stato dissolto, con un esercito regolare, o quello che ne rimane, impegnato a combattere in una guerra civile una grande moltitudine di fazioni in lotta con lui e tra loro. In un teatro del genere non deve essere fonte di stupore il fatto che una forza militare transnazionale riesca a prevalere.

 

D'altronde i miliziani dell'Isis sono computabili nell'ordine delle decine di migliaia, un numero troppo basso per affrontare con successo una guerra di terra contro stati veri e propri, a prescindere dalla qualità degli armamenti. Non è un caso che l'esercito curdo, pur con tutte le difficoltà, sia riuscito fino ad ora a tenere testa al Califfato, malgrado una disponibilità di uomini e di armamenti inferiore.

 

Inoltre, se ci guardiamo intorno, possiamo ben vedere che le zone di espansione dell'Isis sono finite: oltre i confini attuali si trovano forze statali e militari infinitamente superiori a quelle del Califfato. Proviamo ad immaginare che chance di sopravvivenza avrebbe questo se provasse a dirigersi verso gli stati confinanti.

 

Ad est troverebbe l'Iran, una nazione estremamente potente da un punto di vista militare, probabilmente dotata di armi nucleari -a prescindere dalle dichiarazioni- e di fede sciita. Uno stato quindi che avrebbe tutti i mezzi e i motivi per attaccare con forza fino al completo annienamento.

 

A sud troverebbe l'Arabia Saudita. Se la comune fede sunnita potrebbe sembrare un fattore di collante tra le due entità politiche, è quasi impensabile pensare che gli arabi abbiano la minima intenzione di abbandonare la sovranità su uno stato tanto ricco in favore di un'unione con dei guerriglieri. Se lo scenario fosse addirittura quello della guerra, la NATO correrebbe a dare manforte a chi fornisce il petrolio per la sussistenza di mezza Europa.

 

Rimane ancora aperta la possibilità di un'espansione in Africa passando per Giordania e Israele. Inutile dire che le possibilità dell'Isis di fronteggiare lo stato Ebraico sono pari a zero. Anche ipotizzando che le frange islamiche più estremiste dell'Egitto possano convergere verso Israele di concerto con il Califfato, ricordiamo che lo stato israeliano è riuscito nella Guerra dei sei giorni a sbaragliare una compagine militare internazionale ben più nutrita. E al tempo non aveva ancora alcun armamento nucleare.

 

Rimane il nord. A nord-ovest la Turchia: se da un punto di vista ideologico il discorso è simile a quello dell'Arabia, ricordiamo la propensione del presidente turco Erdogan al mantenimento del proprio potere. Se anche l'opzione fosse quella della guerra, il califfato si troverebbe ad affrontare un membro della NATO, quindi, per estensione, la NATO in persona. A nord-est si trovano invece le repubbliche islamiche del caucaso: sia nel caso di un'unione politica consenziente che nel caso di una guerra, piomberebbe sull'Isis la potenza militare della Russia, che non avrebbe remore né problemi a schiacciarla.

Possiamo concludere che il Califfato islamico non costituisce un problema militare al di fuori della zona in cui è tutt'oggi contenuto.

 

Il pericolo più probabile viene da altri fattori di rischio. Anzitutto il fatto che nei paesi occidentali abbiano soggiornato membri anche influenti dell'Isis per anni, senza che nessuno se ne accorgesse. Secondariamente la preoccupazione che tale fazione possa fare come propri alcuni strumenti terroristici tipici dei suoi predecessori, come ad esempio Al-qa'ida. In ultima il pericolo per cui, riuscendo ad evitare un intervento di potenze estere, l'Isis possa sedimentarsi e moderarsi a tal punto da stringere alleanze, a quel punto possibili, con altri paesi del Medio Oriente o della penisola araba.

 

Picture credits: Daily Mail

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Articolo pubblicato il 03/09/2014