Le allegorie lillipuziane di via Baretti n. 3

Girando col naso all’insù per il Borgo San Salvario…

Il portone di via Baretti n. 3 presenta a destra e a sinistra due tondi in gesso: è l’inizio di una serie di tondi ornamentali di buona fattura, contenenti allegorie delle Arti posti a decorazione delle facciata della casa, su via Baretti, su largo Saluzzo e su via Saluzzo. Le due allegorie ai lati del portone di via Baretti n. 3 rappresentano, forse, il Modellamento e il Disegno. Diciamo “forse” perché appaiono come le allegorie di più difficile interpretazione.

 

Il presunto “Modellamento”, a sinistra del portone, mostra un uomo barbuto che strofina con un panno un bambino alato, che dovrebbe essere una scultura. Si notano anche due anfore, un braciere e altri oggetti poco decifrabili.

 

Il presunto “Disegno” è in cattive condizioni di conservazione: si vede una fanciulla seduta, vestita di veli trasparenti, che si regge pensosa la testa con la sinistra e con la destra scrive, o disegna sul foglio che regge sulle ginocchia.

Ai suoi piedi è appoggiata una cetra e si osserva una civetta (animale sacro alla dea Minerva), molto consunta e poco decifrabile. Alla destra di chi osserva, un fanciullo alato versa dell’olio in una lampada, collocata su un alto parallelepipedo che, con il basso prisma su cui siede la ragazza, compone l’arredo dell’ambiente.

 

Seguono le rappresentazioni della Musica, della Pittura, e della Scultura.

L’allegoria della Musica, meglio de “Il Genio della Poesia e della Musica ispiratore delle Arti Belle”, come si legge nella didascalia, consiste in un robusto giovanotto alato nudo che suona la cetra, seduto su una roccia. Ai suoi piedi giacciono strumenti musicali (due pifferi e un flauto di Pan) e rotoli di carta. Al lato sinistro si nota un arbusto con una civetta e a destra uno stralunato cigno.

 

“La Gentile Pittura”, come è definita dalla didascalia, è una bella ragazza in topless che dipinge con aria assorta, impugnando tutto il veristico armamentario da pittore, come è veristico il cavalletto che regge la tela. A sinistra, dietro una tenda compare un oggetto che può ricordare una macchina fotografica schematizzata.

 

Il tondo della Scultura contiene una sorta di dedica: “La Nobile Scultura / Carlo Alberto protettore magnanimo / delle belle arti e sciense (sic!) / Bogliani / data illeggibile in numeri romani”. La “Nobile Scultura” è la meno vestita delle donne che impersonano le Arti, il che permette di apprezzarne il fisico notevole, la pettinatura a coda di cavallo al modo delle matrone romane e un bel visino, purtroppo col naso spezzato. Sul veristico cavalletto, con strumenti da scultore, si trova un somigliantissimo busto del re Carlo Alberto, raffigurato con i baffi e quindi risalente agli ultimi anni di regno. A terra è appoggiata una testa di Minerva con elmo, messa di profilo, e a destra si vede un ragazzino nudo, col viso molto deteriorato, di oscuro significato.

 

Sull’angolo di via Baretti con largo Saluzzo si trova l’allegoria dell’Architettura.

“Architettura Regina delle Arti” è la più vestita delle donne allegoriche, anche se l’autore ha fatto ricorso all’effetto “maglietta bagnata” per evidenziarne i seni prosperosi. La “Regina delle Arti” è chiaramente connotata dagli strumenti, la squadra e il filo a piombo; sullo sfondo si osservano, un po’ di scorcio, il Colosseo e il Panteon.

 

In largo Saluzzo si possono osservare due allegorie, non più dedicate alle Arti,

la prima non è identificata e la seconda rappresenta “Italia libera”.

 

L’allegoria non identificata rappresenta una donna alata in volo, vestita di veli: dalle sue mani cadono fiori. La donna porta sulle spalle un putto alato che regge una fiaccola.

 

“Italia libera” è una giunonica matrona, vestita ma con un seno di fuori che ricorda la «Liberté guidant le peuple» di Delacroix del 1830. Porta in capo la corona turrita e una stella a cinque punte sfavillante, nella destra tiene l’asta di una bandiera che le svolazza intorno al braccio. Alla sua sinistra un fanciullo alato, col cappello frigio, regge nella mano sinistra quella che appare come una lunga penna di struzzo stilizzata. Alla base, sulla sinistra dell’osservatore, un radioso sole nascente - quello che per molti anni, al tempo delle prima Repubblica, vedevamo sul simbolo del Partito Socialista - e a destra una bestiaccia (un lupo?) che sbrana una preda atterrata con l’aiuto di un cucciolo.

 

Fino ad ora abbiamo assistito ad un consistente campionario della retorica risorgimentale: Carlo Alberto baffuto, l’Italia rappresentata da una matrona con corona turrita e stella massonica a cinque punte e, ancora, il cappello frigio, il sole nascente, il tutto nel culto di Roma antica, confermato dai suoi antichi monumenti e dall’uso dalla “V” in sostituzione della “U”. Mancano soltanto i fasci littori, che venivano rappresentati molto di frequente nel periodo risorgimentale, come simbolo di Roma antica: erano tempi non sospetti, visto che ci sarebbe voluto ancora più di mezzo secolo per giungere alla marcia su Roma!

 

All’angolo del largo con la via Saluzzo e nella via Saluzzo si osservano due spazi rotondi vuoti, forse perché i rispettivi tondi sono andati perduti. Mi viene il sospetto che questi due tondi mancanti contenessero dei fasci littori e che qualche fenomeno abbia pensato bene di spezzarli, per salvare la patria!

 

In via Saluzzo si trovano gli ultimi due tondi, che rappresentano entrambi tre putti.

Il primo è ambientato in una vigna, dove due putti sembrano pigiare l’uva in una bigoncia. Uno è alato, con arco e frecce mentre l’altro impugna una mazza da guardaportone poco adatta al lavoro enologico che sta svolgendo. Un terzo putto, vestito, si appoggia alla bigoncia e sembra guardare gli altri due ma è completamente sfigurato dal degrado e non si può più coglierne l’espressione.  

Nell’ultimo tondo osserviamo alla nostra sinistra due putti, senza ali e più monelli: uno è salito sulle spalle dell’altro per prendere della frutta dai rami di un albero, quello che in piemontese si dice “andè a la maròda” e che, al tempo della realizzazione dei tondi, era sicuramente una attività svolta di frequente dai “birichin” torinesi. Alla nostra destra, il terzo putto, alato, cavalca un grosso cigno del quale abbraccia strettamente il collo. Il viso del putto e soprattutto la testa del cigno sono in cattivo stato di conservazione e perciò poco decifrabili.

 

Questa casa rappresenta l’edificio d’abitazione più ragguardevole del largo Saluzzo e di questo largo, i residenti del Borgo San Salvario sono molto fieri, lo paragonano addirittura a piazza della Repubblica, certo non per le dimensioni ma per la pianta ottagonale.

 

Queste ambiziose idee sono riportate dal libro “Guida al Borgo di San Salvario-volume primo” (CICSENE, 2001), che ci ha anche aiutato nella decifrazione delle allegorie dei tondi. Questo libro spiega che largo Saluzzo è contornato dalla chiesa dei Santi Pietro e Paolo e da case d’abitazione la cui costruzione risale alla seconda metà dell’Ottocento.


Largo Saluzzo ricorda la classica piazza di un paesetto, con la chiesa parrocchiale e le casette con i negozi: tutto questo, per “parlè dificil” cioè in termini eruditi - e vagamente iniziatici - si dice: «… esempio di quel particolare rapporto armonico tra edifici per il culto e tessuti minori residenziali e produttivi circostanti che ha caratterizzato molti ambiti microurbani e spazi di relazione nella Torino di fine secolo», come scrive la già ricordata “Guida al Borgo di San Salvario”. Parla pà!

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Articolo pubblicato il 30/08/2014