Il ponte Candido Ramello

Ricordo di un medico ligure, torinese d’adozione, fondatore dell’Ospedale Amedeo di Savoia

Credo di essere uno dei pochi torinesi che conosce il personaggio che dà il nome al ponte che permette al corso Svizzera di attraversare la Dora per arrivare a via Pianezza, all’Ospedale Amedeo di Savoia, al centro Pier della Francesca e al Santo Volto, il ponte Candido Ramello, personaggio che voglio ricordare ai Lettori di “Civico 20 News”.

 

Candido Ramello nasce il 25 dicembre 1840 a Diano Calderina (Porto Maurizio), oggi frazione di Diano Marina (Imperia) e si laurea a Torino in Medicina e Chirurgia nei primi anni Sessanta dell’Ottocento. Non lascia più la nostra città, si specializza in ostetricia ed inizia la sua attività professionale come primo assistente all’Ospedale Mauriziano.

 

Nel 1866, Ramello entra a far parte del personale medico dell’Ufficio d’Igiene di Torino. Inizia così una attività di medico-igienista, ricca di risultati concreti per il servizio sanitario cittadino e per l’igiene pubblica, che durerà senza posa per ben 37 anni e che sarà interrotta soltanto dalla morte. Ramello, che nel 1884 viene nominato medico-capo, trasforma letteralmente il modesto Ufficio d’Igiene torinese, lo riorganizza e vi introduce una serie di ammodernamenti. Sotto la sua direzione, l’Ufficio d’Igiene torinese diventa, come diremmo in termini moderni, un “centro di eccellenza” che spicca nettamente nella sanità pubblica italiana del tempo, ancora su base municipale. Molte amministrazioni pubbliche, in Italia e all’estero, prendono a modello l’Ufficio d’Igiene di Torino.

 

Ramello si occupa con attenzione della cura delle malattie infettive: istituisce il Laboratorio sieroterapico, il Laboratorio vaccinogeno e l’Istituto antirabbico.

Caldeggia poi la fondazione di un ospedale per la cura di queste malattie e il suo progetto si realizza nel 1890 con l’Ospedale Amedeo di Savoia.

 

Ramello, che è un esponente della cultura laica, sostiene inoltre nelle fasi iniziali il movimento torinese per la cremazione, promosso dalla Società per la Cremazione, che porta il 17 giugno 1888, all’inaugurazione del Tempio Crematorio presso il Cimitero Monumentale. Al tempo, questa pratica è vietata dalla Chiesa Cattolica (lo sarà fino al 1963) e il movimento per la cremazione assume connotati nettamente anticattolici.

 

Ramello è un uomo robusto, iperattivo, lavoratore infaticabile. Ha la curiosa abitudine di alzarsi alle 3 del mattino, verso le 5 si siede a tavola per l’unico pasto della giornata, un pasto abbondantissimo perché potrebbe sfamare quattro persone. Poi Ramello non tocca più cibo fino a sera, quando beve un po’ di latte. La sua dedizione totale al lavoro, la mancanza di adeguato riposo saranno ricordate al momento della sua morte prematura. Ramello muore, infatti, all’età di 63 anni, nel mattino del 3 dicembre 1903, mentre è al lavoro nel suo studio all’Ufficio d’Igiene di Torino, per un colpo apoplettico.

 

In omaggio alla sua cultura laica, Ramello ha lasciato precise disposizioni scritte: non vuole funerali, né religiosi né civili, la sua salma dovrà essere trasportata al Tempio Crematorio del Cimitero Monumentale dove, posta nel giardino, riceverà l’ultimo saluto di amici, di colleghi, dei torinesi illustri o sconosciuti.

 

Così avviene: sabato 5 dicembre, dopo i discorsi del sindaco di Torino, Secondo Frola, dell’assessore all’Igiene, Tacconis, del rappresentante della Società per la Cremazione, professor Luigi Pagliani, e di altri ancora, la salma di Ramello è cremata e le ceneri deposte al Tempio Crematorio.

Non è il caso di addentrarsi nelle parole di commemorazione pronunciate a quel tempo: oggi suonerebbero inevitabilmente gonfie di retorica e rischierebbero di alienare la simpatia verso il personaggio. Basta riferire questa definizione: “Valente scienziato, operoso funzionario, solerte amministratore”.

 

Nel 1925 il ponte sulla Dora, costruito nel 1862, è intitolato a Candido Ramello, fondatore del vicino Ospedale Amedeo di Savoia.

Fin dall’anno precedente, il ponte originale è stato ampliato, con una struttura analoga affiancata a valle. Dopo 42 anni, è realizzato un ulteriore ampliamento, con due archi in cemento armato accostati ai lati che gli conferiscono l’aspetto attuale.

 

Non è una zona dove si va a passeggiare per passatempo, vaste aree sono abbastanza degradate, le rive del fiume sono piene di erbacce e di rifiuti e il vandalismo delle bombolette spray imperversa: la targa stradale che indica il nome del ponte è stata addirittura coperta con vernice verde, le spallette in cemento del ponte sono decorate da scritte idiote.

 

“Povera Torino!” penso quando passo da queste parti, riflettendo sul fatto che tanto degrado materiale è stato provocato da un degrado intellettuale che non può essere rimediato con qualche intervento di pulitura e riverniciatura! Mi amareggia, soprattutto, il fatto che gli autori del degrado materiale siano in gran parte dei giovani…


Perché tanto pessimismo? Perché nel degrado scorgo anche un segno tangibile della attuale cultura che si disinteressa del passato, che vive di effimero, che si fa vanto dell’ignoranza delle proprie radici. Ho sempre pensato che “Chi è senza passato, è senza futuro” e nella triste situazione attuale dell’Italia mi pare di vedere una conferma di questa affermazione.

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Articolo pubblicato il 23/08/2014