Via Francesco Azzi

Nel quartiere Cenisia, una via è dedicata per meriti di guerra a un giovane studente torinese che aveva compiuto un atto di valor civile

A Torino, la via Francesco Azzi costituisce l’asse centrale di un complesso di case popolari che occupa sei isolati, chiusi tra corso Racconigi, corso Peschiera, via Luigi Capriolo e via Frassineto, attraversato dalle vie Pragelato e Cenischia.

Siamo nel quartiere Cenisia, nei pressi del mercato di corso Racconigi: via Azzi appare come un riposante rifugio dalla confusione del mercato e del viavai di persone, autobus, furgoni e automobili nel trafficatissimo corso. Un rifugio senza nome, perché le targhe viarie, collocate troppo in basso sulla cinta e per questo già abbondantemente vandalizzate, sono coperte dalle foglie degli alberi verdeggianti che bordano gli angoli dei due isolati posti a destra e a sinistra dell’origine della via.

 

Via Azzi prosegue per tre isolati fra edifici tutti molto simili: quattro piani, intonaco giallo-grigio, serramenti di legno dipinti di verde, elaborate inferriate alle finestre del piano terreno, decorazioni semplici alle finestre ma con suggestioni Liberty. Gli alberi sono abbondanti, soprattutto negli angoli dei sei isolati. Curiosamente questa via, sicuramente tranquilla, ma certo appartenente ad un zona non signorile come asse del complesso di case popolari, è dedicata a un eroe di guerra, un giovane ufficiale aristocratico ed elegante che, forse, nella sua breve vita non si era mai recato in questo borgo di Torino.

 

Francesco Azzi, nato a Napoli il 4 gennaio 1914, ma residente a Torino, studente al quinto anno di medicina e sottotenente di complemento del Nizza Cavalleria, era partito volontario per la guerra d’Etiopia, iniziata il 3 ottobre 1935, che portò alla proclamazione dell’Impero il 9 maggio 1936.

Francesco desiderava emulare suo padre, anche lui volontario nella grande guerra (1815-1918) e decorato con una medaglia al valore.

Francesco venne aggregato ai primi reparti militari in partenza dall’Italia e giunse in Libia, dove dall’agosto 1935, il maggiore Antonio Ajmone Cat arruolava e addestrava elementi arabi a cavallo per formare cinque Gruppi Spahis per l’Africa Orientale. Francesco fu assegnato all’istruzione dei cavalieri del V Gruppo.

 

A dicembre era sul fronte etiopico, ad Adua. Nel corso della prima battaglia del Tembien – durata dal 14 dicembre 1935 al 24 gennaio 1936 – nel pomeriggio del giorno di Natale, a Selaclacà, Francesco attaccò con il suo reparto la postazione di una pericolosa mitragliatrice nemica. Nel corpo a corpo venne ferito gravemente alla colonna vertebrale e restò paralizzato alle gambe. Dopo la conquista della postazione, Francesco venne trasportato all’ospedale di Axum: come studente in medicina, aveva compreso tutta la gravità della ferita. Morì il giorno seguente.

 

La notizia della morte di Francesco, a Torino ebbe grande rilievo perché il padre Azzo era professore ordinario all’Università, nella Facoltà di Medicina e Chirurgia. Azzo Azzi, nato a Imola (Bologna) nel 1887, microbiologo, dal 1932 era direttore e titolare della cattedra di Immunologia. Era anche consulente  generale dell’Istituto Biologico Chemioterapico Torinese.

 

A Torino, le celebrazioni per la morte del figlio Francesco furono importanti: anche se era un caduto dell’Esercito, il regime fascista ne enfatizzò l’appartenenza alla 1° Legione Universitaria della Milizia Volontaria. Nell’aprile del 1936 giunse a Torino la notizia del conferimento della Medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Una fotografia d’epoca, trovata in rete, ricorda una commemorazione svoltasi a Pialpetta di Groscavallo (Torino), il 13 agosto 1936, come si legge sul retro, scritto a mano: “Campeggio Milizia Universitaria Principe di Piemonte. Il Luogotenente Generale Gr. Uff. Mazzoni commemora la Medaglia d'Oro Francesco Azzi”.

 

A Imola, città natale del padre, venne dedicata a Francesco Azzi una statua collocata nei Giardini Pubblici presso la Chiesa di San Domenico. Anche il locale campo sportivo prese il suo nome.

 

Il 20 giugno 1940, a dieci giorni dall’entrata in guerra, “La Stampa” scriveva che era stato deciso il cambiamento di nome di alcune vie torinesi. Fra i nuovi nomi, vi era anche quello di Francesco Azzi. Il giornale presentava questa decisione del Podestà di Torino del 10 giugno, come la volontà di dare nomi “italianissimi” alle vie di Torino con denominazioni anglo-francesi. In realtà il nome di Francesco Azzi era attribuito alla via Graziadio Ascoli (Gorizia, 1829-Milano, 1907), glottologo insigne e senatore del Regno ma ebreo. Per motivi a noi sconosciuti, la decisione venne confermata nell’ottobre del 1940 e resa esecutiva nel novembre dello stesso anno, come apprendiamo da “La Stampa” del 27 novembre 1940.

 

Fin qui si potrebbe pensare, con un certo fastidio, a un eroe di guerra esaltato e militarista. Un articolo di cronaca de “La Stampa” del 25 maggio 1933, debitamente sfrondato dalla retorica di regime, ci presenta Francesco Azzi in una luce assai più simpatica, come salvatore di un bambino che stava per annegare.

 

Il 18 maggio 1933, Francesco andava in barca sul Po con l’amico Umberto Gabri. Mentre passavano nello specchio d’acqua posto fra la Società Canottieri Cerea e la Fontana fredda, alle grida di persone sulla riva, avevano visto un bimbo caduto nel fiume che stava per annegare. Senza esitazione, si erano gettati in acqua e a nuoto avevano raggiunto il bambino, lo avevano sollevato e portato in salvo. Si erano sottratti alle dimostrazioni di ammirazione e riconoscenza delle persone sulla riva: dopo essersi assicurati che il piccolo era sano e salvo, si erano allontanati in fretta.


Francesco Azzi ha quindi dato il suo nome ad una via di Torino per meriti di guerra ma ha anche compiuto un atto di valor civile, salvando una persona in grave pericolo di vita.

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Articolo pubblicato il 13/08/2014