Piazza Marmolada e il “Polo Nord”

Divagazioni tra il “Polo Nord” e la “colonia napoletana” della Torino del 1926

Si è più volte parlato su “Civico 20 News” di piazza Marmolada, dapprima del degrado e poi dei controversi lavori di risistemazione che hanno comportato curiosi decori ispirati alle montagne, alla neve e al ghiaccio.

 

Non mancano dei bassi divisori stradali, realizzati in lamiera azzurra, che riportano l’indicazione “Polo Nord”. E questo ha fatto scattare la molla dei ricordi perché, nel secolo passato, per molti anni ho preso l’autobus in piazza Marmolada per andare all’Università e poi al lavoro, sempre all’Università: allora nelle vicinanze, se ben ricordo, in corso Lione angolo via Rivalta vi era un’osteria col nome di “Polo Nord” che oggi è diventata “Pizzeria da Totò e Martina”.

 

Era l’ultimo ricordo del piccolo rione chiamato “Polo Nord”, nome che oggi si ritiene derivare dal fatto che questa zona era anticamente utilizzata come riserva di neve per le ghiacciaie cittadine.

 

Quello che era il rione “Polo Nord”, oggi è collocato tra il Borgo San Paolo e il quartiere Santa Rita. È formato da un condominio sull’angolo di piazza Marmolada e, lungo il corso Rosselli, da una serie di villette a due piani progettate e costruite, tra il 1912 e il 1916, da una cooperativa di ferrovieri. Ma al “Polo Nord” vi era anche la colonia napoletana, come la chiamava Pietro Abate Daga (Racconigi, 1868 - Torino, 1948), avvocato e giornalista.

 

Abate Daga, entrato nel 1894 alla “Gazzetta del Popolo”, vi lavorò per circa cinquant’anni occupandosi dei problemi cittadini torinesi. Tra il 1923 e il 1925 produsse una serie di articoli dedicati ai vari quartieri di Torino poi raccolti nel libro “Alle porte di Torino” apparso nel 1926.

 

Qui leggiamo che «Forse pochi torinesi sanno che non occorre fare molto viaggio ed affrontare molti pericoli per andare al “Polo Nord”. Il Polo Nord non è lontano. Esiste in borgo San Paolo una piccola borgata che ha assunto questo nome, non si sa perché, ed è abitata da famiglie di condizione non troppe agiata».

 

Ci permettiamo di sottolineare che, secondo Abate Daga, «non si sa perché» la borgata abbia preso il nome di “Polo Nord”: nel 1926, il ricordo delle ghiacciaie cittadine avrebbe dovuto essere molto vivo anche perché i frigoriferi casalinghi non esistevano ancora e per refrigerare gli alimenti nelle case più agiate si usavano le ghiacciaie con il blocco di ghiaccio.

 

Al “Polo Nord”, sempre secondo Abate Daga, «… si vive come vivono le popolazioni operaie dei piccoli paesi. Là vi sono modestissime abitazioni, là ogni famiglia provvede direttamente a tutte le faccende domestiche, compreso il bucato ed il pittoresco sciorinamento della biancheria al sole: ciò che più non si osserva, che in modo molto ridotto, nel centro principale del borgo [San Paolo, n.d.r.]».

 

Ed ecco la descrizione della “colonia napoletana” fornita da Abate Daga: «… Si è … formata in quella estrema parte della città di Torino una numerosa accolta di famiglie napoletane o dell’Italia meridionale, le quali si sono rassegnate alla locazione di una o due camere al piano terreno, dove hanno aperto negozio, dove vivono, mangiano e dormono con una promiscuità di sessi, di adulti e di bambini, che preoccupa gli osservanti dell’igiene e della morale.

 

- Ma perché siete venuti a Torino? Perché vi rassegnate ad una vita così disagiata? - si domanda loro.

 

- Che vulite, signurì? Al nostro paese stentavamo la vita per il lavoro poco rimunerativo. Per altra parte non potevamo mandare a scuola i nostri bambini, i quali crescevano così ignoranti ed infingardi. Qui siamo allo stretto, è vero, ma sbarchiamo il lunario e i nostri bambini vanno a scuola senza costarci un soldo. Anzi, il Patronato scolastico fornisce loro libri e quaderni ed anche scarpe e zoccoli ed altri oggetti necessari.

 

È successo infatti così. Qualche famiglia delle regioni meridionali d’Italia, per circostanze speciali, si è stabilita in borgo San Paolo. Vi si è trovata così bene che, scrivendo a congiunti ed amici del proprio paese, si è espressa in modo tale da fare la propaganda più efficace all’immigrazione. Come le ciliegie, una dopo l’altra, nuove famiglie hanno preso la via di Torino e di quella regione, ed ecco in breve creata la colonia».

 

Da tutto questo si evince che la spiegazione oggi fornita per il nome del vecchio borgo torinese molto probabilmente è stata escogitata a posteriori, visto quello che scriveva Abate Daga nel 1926 e tanto più che a Torino esiste una strada delle Ghiacciaie, nelle vicinanze dell’Ospedale Amedeo di Savoia… ma facciamo finta che e tiriamo avanti.

 

Ci pare poi da sottolineare il fatto che nella voluminosa decorazione tridimensionale che rappresenta una montagna con mosaici e con la scritta “Torino 2006” dovrebbe comparire anche il profilo del Vesuvio!

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Articolo pubblicato il 11/08/2014