La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Il marengo ingoiato

Questa curiosa storia inizia il 12 aprile 1875 quando il bracciante torinese Vittorio Valimberti, di 21 anni, ritorna dalla Francia, dove ha lavorato per qualche tempo a Mentone. Appena giunto a Torino, Valimberti va a far visita ad una cugina che lavora in una “accensa” (tabaccheria), al n. 47 di via Ponte Mosca, come si chiama a quel tempo il tratto iniziale, alberato, dell’attuale corso Giulio Cesare.

 

La cugina, Leonilda Angelini, di 22 anni, appena vede entrare Valimberti lo riconosce e, dopo il ben tornato, gli chiede se in Francia abbia fatto fortuna.

«Fortuna no – risponde Valimberti - ma qualche biglietto da cento me lo sono risparmiato; e poi vedi ho anche dei marenghi…». Così dicendo, apre il portafogli per esibire una moneta d’oro da 20 lire (marengo), una da 10 lire (mezzo marengo), un’altra da 5 lire e uno scudo d’argento, sempre del valore di 5 lire, monete che Leonilda contempla con ammirazione.

Ci vuole a questo punto una breve spiegazione per far comprendere la soddisfazione di Valimberti nel mostrare le monete d’oro e d’argento e la meraviglia estatica di sua cugina nell’osservarle.

 

I piemontesi preunitari, soprattutto se di modesta condizione economica, non amavano le banconote di carta, preferivano le monete metalliche che, nel Regno di Sardegna erano usate in modo nettamente prevalente. Nel Regno d’Italia - anche in relazione ai gravi problemi finanziari dello Stato - l’impiego delle banconote si è diffuso, soprattutto perché il «corso forzoso», in vigore dal 1866, sospende la convertibilità della moneta cartacea in moneta metallica: ecco spiegato il motivo di tanto interesse dei due cugini per le monete metalliche preziose!

 

Riprendiamo il racconto: Valimberti compra un sigaro, lo accende, saluta la cugina e fa per uscire e andarsene per i fatti suoi. In quel momento entra un uomo, che squadra Valimberti da capo a piedi, lo ferma e gli chiede dove abiti.

Il nuovo arrivato è Giuseppe Margara, guardia di pubblica sicurezza della Sezione Borgo Dora, che è vestito in borghese ed è entrato per caso nella tabaccheria: ha sospettato che Valimberti fosse un disertore e così esce in strada con lui per identificare l’individuo che ritiene sospetto.

Valimberti risponde francamente a tutte le domande del poliziotto e gli consegna il suo portafoglio perché controlli il suo libretto di lavoro e gli altri documenti: Margara lo apre, controlla le carte, poi lo restituisce a Valimberti e gli dice di andare.

 

Fatti pochi passi, Margara si sente chiamare da Valimberti che gli dice: «Ehi! Signore, mi spieghi un po’ come va questa faccenda; qui dentro c’era un marengo d’oro, e adesso non c’è più!».

«Non so che dirvi, buon uomo, se c’era prima, vi sarà ancora, purché non l’abbiate smarrito… io non ve l’ho preso di sicuro».

«Non dico questo… ma l’accerto che quando le diedi in mano il portafoglio, il marengo vi era ancora…».

«Cercate, cercate e lo troverete…».

«Torniamo all’accensa, e là potrà sapere precisamente che io l’aveva il marengo…».

«Ma sì, torniamoci pure, andiamo».

 

Ritornano nella tabaccheria e qui si accende un battibecco fra Margara, che vuole discolparsi, e Valimberti, che vuole provare, sostenuto da Leonilda, che quel benedetto marengo nel suo portafoglio c’era davvero.

In quel momento entrano nel negozio due allievi carabinieri, forse attirati dai begli occhi di Leonilda: non è da escludere che il tabaccaio metta a frutto l’avvenenza della commessa per attirare i clienti!

Quel giorno per i due allievi carabinieri, i vice-brigadieri Pilade Bernardi e Giuseppe Candiotti, si presenta un’occasione migliore di quella di corteggiare la bella tabaccaia: sentono il diverbio, si fanno raccontare la questione per filo e per segno, poi non si lasciano sfuggire la ghiotta occasione di “operare il fermo” di una guardia di pubblica sicurezza.

 

È scattata la rivalità tra i due corpi di polizia: i due carabinieri invitano Margara a seguirli nella caserma della pubblica sicurezza di quella Sezione, lui acconsente e pochi istanti dopo vi arrivano tutti e quattro. Margara chiede di essere perquisito ma non vi è nessun superiore, gli allievi non vogliono procedere e lo portano nella sottostante caserma dei carabinieri. Là arriva poi un delegato di polizia, si fa la perquisizione in piena regola, il marengo non si trova, né addosso a Valimberti, né a Margara.

 

Dove è finita quella moneta?

«Se lo è messo in bocca - esclama allora Valimberti - se lo è ingoiato. Non avete visto con che furia appena giunto alla sua caserma egli ha salito le scale? E poi ha chiesto da bere… ha bevuto… e con che sforzi l’ha mandato giù».

L’ipotesi pare convincere i due carabinieri e il delegato, così Giuseppe Margara, di 32 anni e nativo di Cigliano, viene trattenuto in arresto e si inizia un procedimento penale.

 

Il 31 luglio 1875 si svolge il processo. I testimoni sono numerosi ma possono solo accertare che il marengo era presente nel portafogli: non possono provare né il furto né tanto meno che Margara lo abbia rubato. Le informazioni sul conto di Margara sono ottime: è stato un buon soldato nel 2° reggimento artiglieria e un buon poliziotto, le dichiarazioni di tutti i suoi superiori sono assai favorevoli. Anche il tenente Guarnà, del quale Margara è stato l’attendente per cinque anni, gli attesta il suo elogio.

Appaiono invece sfavorevoli le informazioni fornite sul querelante Valimberti, indicato come persona senza stabile lavoro e inattendibile.

 

Il Tribunale accoglie le conclusioni dell’avvocato difensore di Margara e lo assolve.

Il cronista giudiziario Curzioncino (M)., che descrive l’episodio sulla «Gazzetta Piemontese» del 21 agosto 1875, parteggia apertamente per il poliziotto Margara, si dice incredulo che il processo sia stato iniziato, con queste parole che fanno riferimento alla difficile situazione economica dell’Italia del 1875: «Ma che presentemente, in Italia, affetta dal male epidemico, universale della bolletta, in questi tempi che uno scudo d’argento, un marengo d’oro son divenuti oggetti d’antichità e roba da museo, si trovi chi mandi giù in corpo dei pezzi da venti lire, la è cosa veramente meravigliosa e incredibile».

 

Rispetto ad oggi, nel 1875 mancava la possibilità di eseguire una radiografia, strumento che avrebbe risolto la questione in modo inoppugnabile: i raggi X verranno scoperti da Röntgen nel 1895, esattamente vent’anni dopo.

Si mantiene, per contro, allora come adesso, la difficile situazione economica dell’Italia, «affetta dal male epidemico, universale della bolletta»…

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Articolo pubblicato il 02/08/2014