Zagrebelsky al Salone del Libro: l'oligarchia non può fa altro che mentire, viviamo nel tempo della democrazia esibita

Gustavo Zagrebelsky e Luciano Canfora dialogano e rispondo alle domande sulla maschera democratica dell'oligarchia in relazione al loro ultimo libro “Democrazia e oligarchia”

La democrazia appare come una messinscena. Questo è cio che ci dice l'ultimo libro di Gustavo       Zagrebelsky e Luciano Canfora, un libro che contestualizza le oligarchie italiane e che fa sorgere la domanda: tra capitalismo e democrazia vi è un divorzio annunciato?

La politica fa di tutto per rendersi oligarchica o peggio ma essa è tale perchè c'è un problema strutturale. Siamo condannati a questo scenario?

 

Gian Antonio Stella: Bisogna partire dal 1862, anno in cui l'Italia fa il primo investimento nelle strade ferrate, l'Expo dell'epoca in pratica e lo affida a una società di Pietro Bastogi che fino a poco prima era il ministro delle finanze, si può notare dunque che fin da subito le due cose si mischiano insieme. Il miscuglio sopratutto nel nostro Paese va avanti da molto tempo, altro esempio di cui possiamo avere memoria sono le acciaierie di Termini.

Trovo in Italia la presenza di molte e diverse oligarchie, piccole e molto prepotenti, penso agli ordini professionali così come alle oligarchie universitarie.



Democrazia quindi come una promessa. Quella di procacciarsi favori e promettere voti. Esiste la tentazione di chiusura in un bunker della classe dirigente, rispetto alla crisi economica e sociale e alla difficoltà della politica nel governare i processi e i problemi di legittimazione e del suo stringersi intorno ad un potere difficile da sostenere?

 

Ezio Mauro: leggendo questo libro ho pensato che Canfora stia portando avanti una analisi antidemocratica che fa da anni e pure il mio amico Gustavo da qualche tempo, di cui molte volte abbiamo discusso.

L'oligarchia è al centro di questo testo, come governo dei pochi che significa quindi che toglie potestà a qualcuno a vantaggio di qualcun altro, diverso dalla élite che son gruppi che si susseguono e si spodestano, mentre le oligarchie no.

Zagrebelsky sostiene che esse siano caratterizzate dal fatto che formino un quadrato nei confronti dell'esterno, l'esclusione dunque uno degli elementi caratteristici della nostra epoca, insieme alla disuguaglianza. La materia dell'oligarchia è il denaro e il potere, avverte Zagrebelsky, essi furono sempre potere presenti ma considerati come mezzi, ora invece son divenuti fini. In qualche caso la democrazia contemporanea somiglia a una conchiglia su una spiaggia, si legge nel libro, a prima vista lucente e perfetta, senza vedere che dentro l'organismo sta deperendo lentamente.

Ho come l'impressione che Canfora e Zagrebelsky diano per morto questo organismo ed io non sono d'accordo. Da un lato vede il sistema politico come blocco unico con il sistema dominante che include per cooptazione, per assimilazione, sulla base di una debolezza o attitudine del soggetto.

“E' caduto un velo” - scrive Canfora - “gli euroamericani pensano di essere gli inventori della democrazia, ma i fatti dicono che non è così”. Non siamo all'altezza delle promesse delle quali ci nutriamo, cioè del patto sociale che scambiano tra i noi, può essere vero, ma ciò non significa che non abbiano valore. Se così non  fosse dobbiamo prendere atto che l'occidente poteva essere definito solo per differenza quando esisteva l'Urss, con la sua scomparsa l'occidente non ha dunque più ragione di esistere, mentre io credo che noi vorremmo e dovremmo essere la terra della democrazia, dei diritti e delle istituzioni.

C'è invece una parte del libro con la quale sono più d'accordo: quella sul disincanto europeo, pagine di amarezza in cui Canfora ritiene l'euro un grandissimo errore e Zagrebelsky sostiene che uscirne comporterebbe gravi conseguenze sopratutto per i ceti più deboli e indifesi, si pone una questione istituzionale al di là di tutto, quella di una moneta che non ha un sovrano che la batta e non ha politica estera capace di spenderla nel mondo. C'è un altro elemento che si collega a quanto detto prima, Canfora parla ad un certo punto di “astuzia di nascondimento del potere” che si nasconde dietro le procedure democratiche, come un organismo virale che si acquatta dentro le pieghe della democrazia. Si nasconde e la espropia dall'interno, escludendo e concentrando il potere su di sé.

“Il potere sposta se stesso lontano e lo sposta dai luoghi dove è possibile il controllo, in una zona transnazionale” dice Zagrebelsky e poi da costituzionalista qual è ci ammonisce: “ lo Stato è una creatura territoriale”, oggi i problemi si scaricano a livello territoriale e le decisioni vengono presi in un non luogo.

Vi è una sorta di autonomizzazione del potere rispetto al controllo dei cittadini e la tecnologia la accentua sempre di più, ad esempio lo spionaggio della NSA da parte degli Usa.

Ci si può giustificare dicendo che la tecnologia lo può fare e noi lo facciamo, ma è la stessa frase che disse Clinton nel processo Lewinski, quando si assunse le proprie responsabilità: “l'ho fatto per la ragione peggiore: perchè potevo farlo”. Il potere che riconosce dei limiti, sapendo di averli violati. Lo spettacolo che la tecnologia offre, l'inversione della conoscenza tra le vecchie e le nuove generazioni ci portano a dire questo, ci portano a farlo perchè “ premo solo un tasto”, che non è come premere un grilletto, a difendermi e giustificarmi c'è la distanza. In termini democratici questa facilitazione si traduce, per la prima volta nella storia, in distanza tra l'attore e l'azione. Nella distanza tra l'attore e la decisione che viene presa. Nella distanza tra l'azione, la decisione e l'opinione pubblica, che non può esercitare una critica di tutto questo.

Tutto ciò che stiamo vedendo anche in questi giorni legato all'Expo è spaventoso, riconducibile alle oligarchie, riconducibile al fatto che “mani pulite” è stata una illusione, non è stata fatta pulizia. Il problema non è la casa di Scajola comprata a sua insaputa e quanto faccia ridere, il problema è la decapitazione della classe dirigente che ha fondato tutto questo, di quel partito della nuova destra italiana che ha governato il paese per vent'anni. Berlusconi ai servizi sociali, dell'Utri latitante, Previti condannato definitivamente, Scajola che reclutava le prime liste, ma in che Paese abbiamo vissuto in questi 20 anni?

Mettiamo i nostri problemi in scala, non diciamo che è tutto un blocco unico, questo è il compito di chi ha una funzione culturale grande o piccola che sia, come quella di un giornale: fornire a noi stessi gli elementi per distinguere e dare dei giudizi motivati e non solo prendere a calci il sistema, perchè non è la soluzione. Dobbiamo avere il coraggio di dire, che se il sistema non cambia è anche colpa nostra.

 

Lo Stato sociale c'è stato e ha funzionato vent'anni perchè c'era un nemico o perchè rappresenta un valore in sé ma non  siamo abbastanza capaci di essere adeguati ad esso? Questo popolo com'è che si è messo nelle mani di questa classe dirigente?

 

Luciano Canfora: c'è da rimuore innanzitutto un equivoco, mi ha colpito la frase di prima di Mauro che diceva che son da anni ostile alla democrazia e che “ non bisogna prendere a calci il sistema”,  è tutto sbagliato e lo dico schiettamente. Solo chi ha un alto principio del concetto democratco si ostina a formulare critiche sul modo in cui esso viene stravolto.

Mi posso quindi quasi definire un iperdemocratico, sapendo quanto sia utopistico esserlo.

Questa nostra forma politica che chiamiamo democrazia è nata da una battaglia, una lotta dei molti contro i pochi, in piccole comunità le antiche città greche; questa lotta è senza compimento, è stata sempre e soltanto un tentativo di impedire che i pochi continuassero a comandare ed è una lotta entusiasmante. Ma cosa accadeva in quelle grandi città? Alcuni grandi politici ogni anno dovevano descrivere idealizzando al pubblico il sistema politico, che però era diverso da quello esistente, come risulta da “I discorsi di Pericle”, una utopia straordinaria. Che facciamo dunque lo tacciamo di ipocrisia? O possiamo notare invece che è un meccanismo nel quale a distanza di quattro secoli ci troviamo tutti? Una cosa è compiacersi del dominio dei pochi, altra cosa ricordare che esso comunque rinasce.

A questo punto ci sono molte strade: quello dell'anacoreta, del moralista truce, quello di chi si impegna e fa del suo meglio laddove si trova a lavorare. Poi c' è anche un compito, quello della stampa e mi viene in mente, spero di essere perdonato per questa impertinenza, che persino la stampa più amabile è reticente. Ne faccio un esempio, dato che mi riesce difficile essere teoretico: noi siamo bombardati da un po' di tempo dalla notizia che avremo ottanta euro in più in bustapaga, tranne gli incapienti. Traduciamo questa frase. Intanto non sono ottanta, ma un po' meno e in base al reddito il cadeau diminuisce, inoltre dire “in bustapaga” è falso, perchè è una detrazione fiscale i cui effetti ricadono sull'importo finale della bustapaga, proporzionale alla tassazione, indi più si è poveri meno si avrà. Ed i famosi incapienti? Ricorriamo a un libro utile, ma al contempo pericoloso: il vocabolario italiano.

Cosa vuol dire “incapiente”? Ho preso il dizionario e ho letto. Incapiente: colui che non è in grado di soddisfare i debiti, la condizione in cui si trova il malcapitato a cui son stati pignorati i suoi beni perchè non poteva pagare i debiti e tuttavia egli non ha sanato il debito. Ora di grazia, che c'entra con il fatto che tutti coloro che son al di sotto di un salario minimo non avranno nemmeno un ero di quei famosi ottanta?

La lingua italiana si è attrezzata per parlare chiaro e allora perchè dobbiamo servire l'astuzia meschina, demagogica di qualcheduno che vuole dire di aver girato il mondo dall'altra parte?

Questo ne è un esempio piccolissimo, ma ce ne sono molti altri. Siamo a un livello rattristante di reticenza, io mi allarmo per questa mancanza di tentavito di svelamento di questo gioco.

Ora rispondo alla domanda, non voglio sottrarmi: lo stato sociale. Hobsbawn già si chiedeva se fosse autoevoluzione, il punto di approdo del sistema occidentale o il frutto di un conflitto di sistema che durò gran parte del secolo XX? Il grande risultato della rivoluzione sovietica è lo stato sociale in occidente, esso ha visto la sfida della rivoluzione e la risposta che è lo stato sociale.

Oggi la mano libera per smantellare lo stato sociale c'è eccome. Qui l'ultimo punto: le oligarchie quante sono, quali sono? Esse son concentriche e ci son quelle che si nascondono. Si va dalle oligarchiucce a oligarchie più influenti e ci accorgiamo che tra la nostra sponda e quella americana c'è una intesa sostanziale di cui alcune figure sono l'emblema.

Costoro rapressentano una unità che non ha più un nemico, chi sta sopra lotta contro chi sta sotto e in questa situzione mi sento molto democratico anche se so che è molto difficile.

 

Gustavo Zagrebelsky: io vorrei concentrare la nostra attenzione su alcuni punti che si possono esprimere con delle domande. Storicamente la democrazia è stata la rivendicazione degli esclusi, è stato detto. Come i diritti. Oggi vi pare che la demo sia al centro delle rivendicazioni degli esclusi? A me pare che essi abbiano perso fiducia in essa, mentre gli inclusi usino questa parola per legittimare la loro inclusione. Se questa idea fosse corretta siamo di fronte ad un rovesciamento radicale che ci inquieta profondamente. Oggi coloro hanno sempre resistito all'allargamento della democrazia sono quelli che ne espongono la bandiera a difesa del loro potere.

Vorrei aggiungere che il punto di disaccordo che ha espresso Mauro, dicendo che avrei dato un giudizio definitivo e mi permetto di dire che io non ho fatto questo. I giudizi definitivi possono darli i profeti ed io non sono tale. “La cattedra è per coloro che cercano di capire”, diceva Max Weber e io non voglio proiettare le mie riflessioni sull'oggi nel futuro.

La democrazia, come forma politica, ha vinto la sua battaglia. Quale governante si presenterebbe oggi come antidemocratico?

L'oligarchia non può che mentire, perchè viviamo nel tempo della democrazia esibita, perchè i regimi non democratici sono delegittimati. Il guscio rimane e son dell'idea che così come si è svuotato, esso si possa riempire. Osservare ciò che accade non è una condanna definitiva.

La casta generalmente è una struttura orizzontale e impermeabile, viceversa la casta in Italia è molto mobile e può apparire perfino democratica, perchè pesca in basso. C'è in pratica un giro di potere: come un ruota che va in basso e torna in alto. Un giro del potere in cui si entra vendendo la propria fedeltà, ma devi essere disposto alla rinuncia della tua libertà individuale e intellettuale. Un meccanismo che è divoratore di risorse pubbliche.

Un esempio ne è il concorso universitario: le registrazioni pubblicate in questi giorni dimostrano cose che conosciamo bene, per fare carriera ed entrare nel giro universitario devi essere disposto ad affiliarti ad una catena di potere che si mette in movimento e questo vale anche per gli appalti.

Questo meccanismo crea consenso, ma non da chi sta fuori dal giro.

Credo che siamo sempre più vicini al punto del collasso, perchè un sistema di questo genere consuma le risorse e il nostro le ha consumate tutte o quasi.

Non c'è un regista dietro tutto questo, ma un meccanismo che a un certo punto si incepperà.

Quale sarà la soluzione? Può essere totalitaria oppure una ripresa di vita democratica, cioè una spinta dagli esclusi di riappropriarsi da un potere dal quale son stati emarginati.

Ci troveremo presto ad un bivio in cui dovremo prendere una posizione, se siamo per una chiusura totalitaria del sistema politico o per una battaglia di democrazia.

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Articolo pubblicato il 11/05/2014