"E' ancora attuale una giurisdizione amministrativa?"

Le riflessioni del Prof. Massimo Stipo

E’ più che comprensibile che per motivi affettivi e sentimentali, stimati Colleghi che, oltre all’attività scientifica e didattica, esercitano con meritato successo la libera professione nelle aule dei Tar e del Consiglio di Stato, possano essere inclini a perorare la conservazione sic et simpliciter dello status quo della giurisdizione amministrativa del nostro Paese. Ma, pur con il doveroso rispetto per queste certamente apprezzabili posizioni, forse è opportuno guardare alla realtà con maggior distacco e con lungimiranza.

Personalmente ritengo che il riparto di giurisdizione nei confronti degli atti e dei comportamenti della P.A. debba ancor oggi rimanere fondato sulla dicotomia giudice civile – giudice amministrativo e che la categoria giuridica dell’interesse legittimo depurata dalle scorie del passato, possa mantenere nell’Ordinamento contemporaneo una sua validità concettuale e pratica, per gli atti di diritto pubblico della pubblica amministrazione: se non altro perché consente pur sempre un’ulteriore tutela nei confronti della P.A. rispetto a quella che è impartita dal giudice ordinario a difesa dei diritti soggettivi.

La potestà della P.A., in uno Stato sociale di diritto, a mio avviso, non può essere retrocessa al rango di una situazione giuridica soggettiva passiva o quasi passiva del tipo dell’obbligo; parimenti  la tutela degli interessi pubblici istituzionalmente affidata alla P.A. non può ridursi ad una mera esclusiva sintesi o risultante di interessi privati particolari (individuali, collettivi etc.).

Esistono infatti interessi meta individuali superiori o primari che non possono essere relegati al livello di interessi parziali o egoistici ma che sono invece degni di essere presi in considerazione e salvaguardati e, sia pure in una visione autenticamente democratica, non possono essere gestiti se non da una figura giuridica soggettiva di diritto pubblico (o a questa equiparata).

Ma ciò non può significare una accettazione acritica e trionfalistica dell’attuale assetto della giurisdizione amministrativa, essendo invece commendevoli iniziative politiche non appiattite sull’esistente, quando, ad onor del vero, oltre che luci, sussistono varie zone d’ombra in relazione all’effettività della tutela giurisdizionale del cittadino verso la P.A. (specie se appartenente a categorie o a  gruppi deboli o a classi indifese).

Sia ben chiaro, massima considerazione per il livello di professionalità dei magistrati amministrativi, ma non appare utile rinchiudersi in una torre d’avorio ritenendo che “tutto va bene madama la marchesa”. Occorre, a mio sommesso avviso, al di là di apriorismi o petizioni di principio, un adeguato ripensamento critico del ruolo odierno della magistratura amministrativa, nell’evoluzione storica della società civile, in funzione delle aspettative di giustizia dei comuni cittadini (e non solo dei potentati di fatto delle odierne società a capitalismo avanzato).

Ciò, a mio parere, occorre fare senza pregiudizi, senza intenti agiografici, tenuto conto che (come altre volte ho già scritto) sono cambiati significativamente il ruolo della P.A. e la giustificazione su cui essa si fonda, nel rincorrersi di mutamenti sociali sempre più rapidi ed intensi.

Il processo dev’essere al servizio dei princìpi della pienezza e della completezza della tutela nei confronti della pubblica amministrazione: ciò è nell’interesse della società civile e degli stessi magistrati amministrativi, i quali vanno certamente apprezzati per la loro cultura specialistica, ma non pare opportuno che si arrocchino in un’autoreferenziale difesa corporativa se non vogliono essere destinati a divenire come sacerdoti di una religione defunta.

Sono infatti caduti molti di quei referenti politico-culturali che nel 1889 condussero in Italia alla stagione di un giudice specializzato nelle controversie amministrative. Ancor oggi la magistratura amministrativa può meritare di essere conservata ma senza nostalgie e senza lamentele da tragedia greca, in una ben diversa prospettiva ideologica storica e culturale in aderenza alle esigenze di una società ben diversa da quella che abbiamo ereditato dal passato.

Lo stesso recente codice del processo amministrativo, pone di fronte al magistrato un sistema di diritto rigido e statico, il che appare più consono al diritto civile e al diritto penale, laddove invece il diritto amministrativo sostanziale oggi richiede un giudice particolarmente sensibile alla mutata realtà sociale, un giudice creativo, ricco di fantasia, d’inventiva, ed ampiamente elastico, non rinchiuso nelle gabbie di un sistema codicistico inevitabilmente approssimativo e superficiale.

Si rammenti che Piero Calamandrei ha ammonito che il versante del diritto processuale “per sua natura è, più degli altri rami del diritto, destinato ad arrivare sempre con un certo ritardo sulla vita”: gli è che il ritardo del diritto processuale è doppio o al quadrato, perché come il diritto sostanziale ritarda sull’economia e sui rapporti sociali, così il diritto processuale ritarda a sua volta su questo (P.Calamandrei, ora in Studi sul processo civile, IV, Padova, 1939, pag. 17).

Non a caso, come è noto, il prof. Vincenzo Caianiello, ex presidente della Corte Costituzionale, che proveniva dalle file della magistratura amministrativa, che aveva onorato per tanti anni, esprimeva forti perplessità e riserve su un’eventuale codificazione del processo amministrativo.

Occorre, a mio avviso, guardare, come ha sempre ammonito Norberto Bobbio, al di là delle schermaglie quotidiane più in alto e più lontano verso nuovi traguardi di giustizia, ed in tale contesto accrescere la terzietà e l’indipendenza del giudice amministrativo (v. art. 111, secondo comma Cost. novellato) analogamente a quanto già ora avviene per il giudice ordinario, attesa l’unitarietà della funzione giurisdizionale, quale disegnata nella nostra carta costituzionale.

In tale contesto pare opportuno, recependo un acuto suggerimento dal compianto prof. Giorgio Berti, che l’organo di autogoverno della magistratura amministrativa (al pari del CSM) sia presieduto dal Capo dello Stato, il che si può fare con semplice legge ordinaria, al fine di conferire maggiore autorevolezza e prestigio al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa (organo che in legislature precedenti la classe politica al potere tendeva a ridimensionare in omaggio ad indirizzi politici reazionari e di restaurazione).

In ogni caso occorre superare la frattura tra processo e società al di là di un carattere eccessivamente tecnicistico della giurisdizione amministrativa e quindi rifuggendo da un giudice funzionario “burocratizzato” non in grado adeguatamente di tradurre i fatti sociali e che si avvalga quindi semplicemente degli strumenti logico- formali dell’ermeneutica tradizionale.

Per rispondere alle esigenze provenienti dalla Carta costituzionale democratica ed all’Unione Europea e dai valori fondamentali quali, per esempio quelli espressi dall’art. 3 secondo comma Cost., (principio di eguaglianza sostanziale) la magistratura amministrativa storicamente oggi non può più essere quella dello Stato liberal borghese o, comunque, di ordinamenti autoritari od aristocratici, del tutto anacronistici e superati. 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 09/05/2014