TORINO

La capitale che fu

Torino, sei stata snaturata in aspetti essenziali. In nome dell’Unità nazionale, ti hanno depredata di innovative iniziative nate qui. Hanno cancellato i percorsi tranviari e i tuoi storici tram, provocando reazioni indignate ed appassionate da parte di molti torinesi. In proposito si è osato addurre ragioni ecologiche, da parte di coloro che neppure conoscono il significato del termine.

Nonostante tutto, i turisti accorrono e rimangono estasiati dai palazzi progettati dagli architetti che nel ‘700 resero maestosa e severa quella che era diventata la capitale di uno Stato importante sullo scenario Europeo. Costoro sono ansiosi di visitare i musei, come sono avvezzi fare in ogni altra città d’Europa.

Qui purtroppo, tra coppole e braccialarghe, manca la capacità mentale e le conoscenze più elementari per adottare misure e sistemi non certo costosi, seguiti altrove, per non trasformare il piacere per la cultura in un’orribile coda. Dobbiamo purtroppo prendere atto della mediocrità dei nostri pubblici amministratori, che neppure si vergognano.

In un’epoca di profonda trasformazione sociale, non sono in grado di cogliere il cambiamento ed ottimizzare la domanda di Cultura e di servizi che, oltre a soddisfare l’orgoglio dei torinesi, contribuirebbe anche a creare non pochi posti di lavoro.

Rileggiamoci Torino, la bella poesia di Guido Gozzano che, in questo momento, quasi con tocco profetico, torna d’attualità e contribuisce, saggiamente a rasserenarci un po’.

“Come una stampa antica bavarese

Vedo al tramonto il cielo subalpino…

Da Palazzo Madama al Valentino

Ardono l’Alpi tra le nubi accese…

E’ questa l’ora antica torinese,

è questa l’ora vera di Torino.

  L’ora ch’io dissi del Risorgimento,

l’ora in cui penso a Massimo d’Azeglio

adolescente, a I miei Ricordi e sento

d’essere nato troppo tardi … Meglio

vivere al tempo sacro del risveglio,

che al tempo nostro mite e sonnolento!

  Un po’ vecchiotta, provinciale, fresca

Tuttavia d’un tal garbo parigino

Da te ritrovo me stesso bambino,

ritrovo la mia grazia fanciullesca

e mi sei cara come la fantesca

che m’ha veduto nascere, o Torino!

  A te ritorno quando si rabbuia

Il cuor deluso da mondani fasti.

Tu mi consoli, tu che mi forgiasti

quest’anima borghese e chiara e buia

dove ride e singhiozza il tuo Gianduia

che teme gli orizzonti troppo vasti.

  Evviva i bogianen…Si, dici bene

O mio savio Gianduia ridarello!

Buona la vita senza foga, bello

Goder di cose piccole e serene…

  A l’è question d’nen piessla…Dici bene

O mio savio Gianduia ridarello!”

Francesco ROSSA

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Articolo pubblicato il 06/05/2014